Se non è il migliore in assoluto, rientra, senza alcun dubbio, tra i maggiori capolavori sfornati dalla Settima arte tricolore, nonché vetta più alta raggiunta dall’indimenticabile maestro della macchina da presa Dino Risi.
È la commedia on the road che ha fatto scuola più di molte altre, tanto da ispirare Easy rider – Libertà e paura (1969) di Dennis Hopper, ma anche di lasciar avvertire la sua forte influenza nel verdoniano Un sacco bello (1980) e in tanto cinema di Carlo Vanzina.
Del resto, tra una ballata sulle note di Don’t play that song riletta da Peppino Di Capri e hit quali Guarda come dondolo e Pinne fucile ed occhiali di Edoardo Vianello a fare da commento insieme alle magnifiche musiche di Riz Ortolani, è impossibile, tra l’altro, non riconoscere la stessa maniera di utilizzare la colonna sonora che ha successivamente caratterizzato anche Sapore di mare (1983) nell’assistere alla quasi ora e cinquanta di visione su cui si costruisce Il sorpasso (1962), percorso di crescita in fotogrammi che prende avvio in una assolata e quasi deserta Roma di Ferragosto.
La Roma sulle cui strade, a simboleggiare il boom che sorpassa le utilitarie della vecchia e più povera classe sociale in circolazione, sfreccia la Lancia Aurelia Spider guidata da Bruno Cortona, personaggio che doveva inizialmente possedere i connotati di Alberto Sordi, ma grazie al quale un immenso Vittorio Gassman si è aggiudicato un David di Donatello.
Personaggio tanto sbruffone quanto esilarante che, mancato un appuntamento con gli amici, pur di non trascorrere da solo il giorno di festa coinvolge in un viaggio sulle quattro ruote il giovane e timido studente di legge Roberto, che meditava di riservare ai libri la tranquillità della giornata e cui concede anima e corpo un eccellente Jean-Luis Trintignant fornito di voce di Paolo Ferrari.
Un viaggio che li porta dalla capitale a Grosseto, fino a Castiglioncello e le spiagge della Versilia; man mano che il primo, pronto ad affermare con tutta la sua romanità “L’età più bella è quella che uno c’ha, giorno pe’ giorno”, contagia con la propria energia – tanto da ribaltarne le certezze di bravo ragazzo – il secondo, convinto, invece, che l’infanzia era l’età più bella perché, in realtà, non ricordiamo più come fosse.

Quell’infanzia che la camera risiana non manca di accomunargli in più di un’occasione per richiamare alla memoria la sua innocenza, testimoniata in maniera allegorica sia dal bambino che lo osserva mentre scambia un gioco di sguardi con una cameriera probabilmente interessata a lui, sia da quello che lo saluta un istante prima del tragico epilogo entrato di diritto nella storia delle immagini in movimento e che sembra suggerire sia che l’azzardo si paga a caro prezzo, sia che determinate anime pure non possono in alcun modo permettersi di adeguarsi ad un mondo che fa del cinismo la propria legge.
Perché è vero che, tra “twist alla burina”, una esilarante frecciatina verbale ai film di Michelangelo Antonioni e il momento in cui Cortona fa la morale alla figlia minorenne Lilli alias Catherine Spaak, prossima al matrimonio con il maturissimo Danilo Borelli detto Bibi’ dal volto di Claudio Gora, non possono fare a meno di spingere a ridere, ma risulta impossibile negare che è il forte velo di amarezza – a partire dalla sequenza in casa dei parenti di Roberto e dall’atmosfera di solitudine accentuata di continuo dai pensieri di quest’ultimo – a rappresentare l’elemento maggiormente affascinante.
Una pietra miliare che, impreziosita da extra costituiti da trentanove minuti di intervista a Risi eseguita dal figlio Marco e quarantotto di featurette In libertà. Appunti su Il sorpasso, nella quale prendono la parola i giornalisti e critici Aldo Grasso, Paolo D’Agostini, Emanuele Sacchi e Mario Gerosa, l’attore Ricky Tognazzi, Gabriele Mainetti e Nicola Guaglianone, rispettivamente regista e sceneggiatore di Lo chiamavano Jeeg robot (2015), CG Entertainment (www.cgentertainment.it) rende finalmente disponibile su supporto blu-ray con fascetta double face, fornendo l’edizione restaurata in 4K della pellicola.
Stesso trattamento che, a proposito di classici intramontabili appartenenti alla filmografia risiana, la label riserva a I mostri (1963), mosaico feroce, fedele e divertito di quella Italia che uscì dal miracolo economico alla metà degli anni Sessanta, trovandosi ad affrontare un futuro diverso, industrializzato e complesso.

Un mosaico strutturato in venti episodi disgiunti tra loro con protagonisti il già citato Gassman e Ugo Tognazzi, memorabili come di consueto; quest’ultimo che non manca di strappare risate, tra l’altro, nel ruolo di un padre impegnato ad insegnare i cattivi comportamenti al figlioletto, di un onorevole e di un addolorato e, forse, neanche troppo ingenuo soldato intento a vendere il diario della sorella defunta ad un giornale, mentre il grande Vittorio non si lascia l’occasione di sfoderare tutte le sue invidiabili qualità di trasformista.
Infatti, dapprima si cimenta in un monologo telefonico con interazione di altri personaggi in scena per poter sfoderare una chiara denuncia rivolta alle discutibilissime dinamiche del mondo dello spettacolo, poi non si tira indietro neppure quando deve calarsi nei panni femminili di una altrettanto discutibilissima sceneggiatrice.
Senza contare le punte di autentica cattiveria che arriva a toccare nel segmento riguardante un elemosinante non vedente e in quello in cui fa da padre di famiglia squattrinato e con figlio malato a letto, in assoluto rientranti tra quelli che maggiormente riescono nell’impresa di racchiudere l’intero senso dell’operazione.
In quanto, seguendo la scia tracciata da I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, da Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi e dallo stesso Il sorpasso, è ridere del dramma che si propone l’agglomerato in questione, che non dimentica neanche di tirare in ballo un Lando Buzzanca sospettoso del tradimento da parte della moglie, rincarando la dose di amanti, soggetti fedifraghi e corna che sono, da sempre, ingredienti immancabili dell’intrattenimento leggero da schermo made in Italy.
Intrattenimento da schermo in questo caso destinato ad approdare alla tanto comica quanto triste impresa di due malandati pugili che, resi attraverso due performance che avrebbero meritato il premio Oscar, racchiudono tutto quel magico mix di disillusioni, sorrisi e speranze tipici del Neorealismo e di buona parte della successiva produzione cinematografica del paese degli spaghetti.
Con sguardo critico ma mai criticabile, morale ma mai moralista e cinico ma mai gratuitamente cattivo, in mezzo a frecciatine a sacerdoti, bizzarrie di Federico Fellini, disgustoso modo di agire di determinati vigili, ed esilarante e coraggiosa (per l’epoca) presa in giro del mondo omosessuale quando ci si trova su una spiaggia sulle note di Abbronzatissima.
Con diciassette minuti di intervista al Ricky di cui sopra e tre in compagnia dei già menzionati Mainetti e Guaglianone a fare da contenuti speciali.