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Alice nella città

‘Ultimo schiaffo’ di Oleotto: “Un film libero, senza paura dei generi”

Presentato ad Alice nella Città, L’ultimo schiaffo racconta la rabbia e la dolcezza di due fratelli abbandonati a sé stessi.

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Cosa significa costruire un personaggio che non ha paura di mostrarsi per quello che è? E quanto può essere fragile e feroce una figura come Petra, la protagonista di Ultimo schiaffo, film di Matteo Oleotto presentato ad Alice nella Città? Ne abbiamo parlato con il regista, che racconta la nascita di un film libero ed istintivo, dove ogni emozione trova spazio: la rabbia e la dolcezza, la solitudine e la tenerezza. Un set popolato di neve, improvvisazioni e di un cane indimenticabile, Marlow, in cui anche l’ultimo schiaffo può diventare un abbraccio.

 Quanto è stato cruciale per lei costruire il personaggio di Petra e soprattutto cosa può rivelare una figura moralmente così ambigua oggigiorno alla nostra comunità?  Poiché lei si mostra proprio per quello che è, non ha paura di rivelarsi, e questo mi ha molto colpita. 

Sicuramente Petra è un personaggio che amo molto, è una ragazza molto forte, molto forte quando combatte in pubblico, ma i pochi momenti di fragilità che vediamo nel film è veramente una ragazzina sola, sconfitta, che combatte, è una specie di tigre che qualsiasi persona si avvicini cerca di dar una zampata.

Volevo raccontare una coppia di fratelli e mi piaceva l’idea di una donna forte. Mi piacciono molto i personaggi femminili e quindi ho cercato un’attrice che potesse dare quest’immagine solo guardandola, e lei, Adalgisa Manfrida, secondo me ce l’ha fatta. Io sul set proprio la guardavo, me la godevo proprio, perché era diventata Petra ad un certo punto. Quindi insomma mi piaceva molto questo modo suo di aver agguantato il personaggio.

Quindi si è creato il personaggio anche in base all’attrice? 

Assolutamente, io ho scelto un’attrice, poi abbiamo cominciato a lavorare tanto. Abbiamo fatto un sacco di prove, c’è stato l’acting coach sul set, abbiamo lavorato su tutte le scene prima di andare a girare. Lavoravamo molto prima di girare ogni scena, alcune scene le abbiamo girate in totale improvvisazione, buttando via i copioni. Quindi anche questa è la dimostrazione che lei c’era. Tant’è che lei poi parla nel film con questo accento un po’ veneto, ma lei è romana, c’è di Roma e di una città siciliana. Però ormai non parlava più, parlava sempre così, anche quando ci vedevamo fuori dal set, quindi era diventata proprio lei, era diventata Petra.

Mentre parlando sempre del set, com’è stato lavorare con Marlow, il cane? Un altro personaggio importantissimo

Marlow è stato molto divertente. Anche lì c’è un po’ l’ossessione per i cani sul set, nel senso che quando vedo cani sul set sono cani molto nervosi perché siano cani reattivi. Quindi vedo spesso che guardano verso l’addestratore, sono molto distratti, e quindi abbiamo fatto un casting anche lì. Abbiamo preso un cane più vecchiotto, tutti mi sconsigliavano di prendere cani vecchi perché sono meno reattivi, invece io volevo proprio quello. Volevo che avesse questo passo un po’…

Siamo stati all’addestratrice slovena di Ljubljana, la firma ha portato 4-5 cani finalisti. Il casting lo abbiamo fatto io, mia moglie e mio figlio, che ha 9 anni. Abbiamo un cane a casa, siamo amanti, e quindi anche con mio figlio che ha 9 anni. Abbiamo visto che aveva la faccia giusta, è stato dolcissimo, simpaticissimo. Essendo un cane un pochino più vecchietto era meno reattivo su alcune cose, ma diciamo il suo primo piano secondo me ci ha fatto dimenticare qualche difficoltà. Siamo tutti molto legati a Marlow adesso.

Poi tra l’altro, il film tocca tantissimi generi, dal giallo al thriller al dramma, soprattutto poi la black comedy. Com’è stato, proprio durante la stesura della sceneggiatura, unire tutti questi generi, è stato difficile? Come è avvenuta l’organizzazione?

Ma guarda, non ci siamo organizzati rispetto a questo. Nel senso che il grande tempo a disposizione, il fatto che avevamo quattro soldi in croce e l’avere tanto tempo libero ha cambiato il tutto. Nel senso che le stesure ne facevamo una, poi aspettavamo qualche finanziamento, poi ne facevamo un’altra. Quindi in questo senso il tempo ci dava anche la possibilità di riprendere il copione ogni tre, quattro mesi, rileggerlo e vedere un po’ a che punto eravamo.

Il diktat che ci siamo dati all’inizio era di non scegliere un genere, di restare sicuramente liberi. Quindi ci siamo fatti un po’ sorprendere dai personaggi, ci siamo fatti un po’ sorprendere, appunto. Rimeggiavamo il copione dopo due o tre mesi e diciamo, secondo me ha ragione Petra, proviamo ad andare in questa direzione qua, e quindi non ho pensato mai che dovesse essere un film che avesse un genere preciso.

Per arrivare al set, dove ancora di più abbiamo, e lo dico con grande sincerità, io ad oggi diciamo non so bene ancora che genere di film abbiamo fatto. Questo mi piace da morire, perché appunto mi dà una sensazione di libertà proprio, infatti alcuni spettatori sono un po’ confusi da questa cosa. Invece altri che si fanno un po’ trasportare, che non hanno bisogno di generi, appunto apprezzano che si possa ridere e ci si possa commuovere all’interno dello stesso film.

Volevo fare un film un po’ massimalista, un film popolare, con l’accezione più nobile del termine popolare. Insomma anche l’utilizzo di un certo tipo di musica, senza paura, in maniera un po’ provocatoria. Mi dicevo sempre, ma perché solo Kubrick può usare dei pezzetti di musica, e io no? Cioè nel senso è vietato? Invece volevo, siccome ho fatto tanta televisione in questo periodo, provare ad emozionare con immagine e musica. Un certo tipo di immagine ed un certo tipo di musica insieme, e vedere l’effetto che fa. Quindi questo era un po’ l’obiettivo.

Quindi credo che sia un film un po’ contenitore di tante suggestioni che ho in questi anni maturato, diciamo, di cinema che amo.

Un’altra curiosità, Ultimo Schiaffo, dunque proprio il titolo, l’ho trovato non solo lo schiaffo, ma anche un po’ una metafora della società che schiaffeggia questi due protagonisti. I due fratelli, e quindi il titolo quante metafore ha? 

Ci sono tante, sì, sì. Ultimo Schiaffo è questo che dici tu, è l’ultimo schiaffo di Jure, è l’ultimo schiaffo perché due persone che stanno di fronte all’altra si prendono a schiaffi. Secondo me siamo vicini a qualcosa di ultimo, perché dopo questo non credo ci sia ancora tanto, non c’è tanto margine se non succede qualcosa. E poi gli schiaffi appunto sono quelli fisici, sono quelli morali, sono quelli che loro cercano di dare, sono quelli che ricevano ogni giorno. Certo, questo è l’ultimo.

Forse mi sarebbe piaciuto chiamarlo il penultimo schiaffo, ma forse non suonava per dare un po’ di speranza, però invece questa volta è andata così, perché l’ultimo schiaffo ha chiuso tutto.

Mentre Jure e Petra, forse la sto ponendo in modo troppo semplicistico, rappresentano un po’ il bene ed il male. Quanto è stato difficile poi fare in modo che si coordinasse questa cosa, anche perché Jure a tratti può sembrare una vittima. Però in qualche modo la sua personalità emerge lo stesso, malgrado ci sia comunque Petra che comunque ha una personalità fortissima. Come hai lavorato su questo aspetto, sia dal punto di vista registico, ma anche dal punto di vista di sceneggiatura e a livello attoriale per gli attori? 

Sono due personaggi che si compenetrano l’un con l’altro. Diciamo che Petra ha il carattere forte, Jure è quello un po’ più debole. Il gioco era, nel film, cercare di far uscire il forte di Jure ed il debole di Petra, che erano le anime più nascoste. Perché poi, come dici tu, quello che appare in maniera più lineare è questo. Si è creata una sinergia e un amore incredibile tra i due attori, quando li ho scelti. Hanno cominciato a vedersi, hanno cominciato a frequentarsi.

Quando siamo stati solo a girare in montagna erano sempre insieme, bisticciavano. Lei lo trattava male. Anche al di fuori. Anche al di fuori lo prendeva in giro, lo bullizzava, gli si arrotava. Quindi si è creato questo mondo, ma lei lo adora, cioè si adorano.

Ma si adorano proprio che anche durante il set si sono commossi vedendo una scena di uno dell’altro. Quindi è nata un po’ questa magia qua, una magia che io mi sento di dire che ho incanalato sicuramente. Perché appunto sono attori giovani, sono attori ancora, diciamo, vergini da questo mondo un po’ ogni tanto complesso. Quindi mi piaceva.

Quindi quello che si vede poi sullo schermo è anche tanto frutto del back di quello che è stato fuori prima e anche durante. E’ nato un bellissimo rapporto di amicizia tra di loro.

Infatti si vede proprio la sintonia fra i due attori. Poi anche la location l’ho trovata molto suggestiva, soprattutto perché da proprio l’idea del paese abbandonato. Un po’ come i protagonisti pure sono abbandonati a loro stessi. Com’è avvenuta la scelta della location? E soprattutto un’altra cosa che secondo me è molto azzeccata è ambientarlo durante il Natale, che appunto è un periodo in cui bisognerebbe farsi del bene, diciamo. Quindi com’è avvenuto tutto questo? 

Il paesino è un paesino che conosco da sempre. Un paesino, un’ex miniera, un’ex paesino minerario. Un paesino che vent’anni fa, trent’anni fa aveva 15.000 abitanti e adesso ne ha 200. Quindi tu arrivi, c’è queste case che ospitavano un sacco di gente e adesso non c’è più nessuno.

E quindi è un paese che diciamo ci cimi ad alcuni di noi, diciamo, della troupe, del mondo, del nostro film. Un paese che ci appassionava molto. Quindi l’idea di fare un film lì è da un bel po’.

Quindi questo è stato un elemento, facciamo un film e ambientiamolo lì. Ambientiamolo con la neve, perché la neve in tutto il mondo, quando la neve cade dà quella sensazione di grande pace. Invece lì, in quel posto neanche la neve, diciamo, aiutava a smussare gli spigoli. E il Natale, sì, anche quello rappresentava mettere nel calderone anche questo elemento, per creare un ulteriore contrasto.

Il Natale lo si ama quando si è bambini. Poi c’è un periodo di adolescenza in cui lo si rifiuta e poi io sono diventato padre e ho cominciato a godere il Natale attraverso gli occhi di mio figlio e mi sono rinnamorato del Natale. E il Natale esponenzializza i sentimenti, se sei felice a Natale sei ancora più felice, se sei solo a Natale sei ancora più solo. E quindi l’idea era provare a mettere tutti questi elementi così forti all’interno dello stesso film e vedere, come dicevo prima, shakerarli, lanciarli e dire boh, vediamo cos’è venuto fuori.

Però proprio, sì, mettere elementi a contrasto perché credo che il contrasto sia la base per ogni storia, insomma. Se il filo è teso c’è più facilità che la gente si appassioni alla storia. Quindi ho messo tutti elementi che vanno a contrasto, insomma anche questa musica classica, che dà su alcuni tipi di scene.

Ho cercato di mescolare tutto questo senza darmi troppe risposte mentre lo facevo e adesso sto cominciando a raccogliere un po’ di sensazioni. Però ecco, così è nato il progetto.