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La trilogia della vendetta di Park Chan-wook: tra giustizia ed ironia

Il destino come prigione, un ciclo di vendetta senza uscita

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Se c’è un filo conduttore che attraversa l’intera Trilogia della Vendetta di Park Chan-wook, (regista di Decision to leave)  è l’inesorabile intreccio tra ironia e cinicità. Nessuno dei personaggi può sfuggire al proprio destino, nessuno può veramente controllarlo. La vendetta, anziché liberare, incatena. Sympathy for Mr. Vengeance (2002), Oldboy (2003) e Lady Vengeance (2005) non narrano storie relative alla giustizia, bensì di un’umanità persa, accecata dall’illusione di poter riparare ciò che oramai appartiene solo al passato.

L’ironia: il destino che ride dei personaggi

L’ironia di Park è spietata, quasi crudele. In Sympathy for Mr. Vengeance, ogni gesto, anche il più nobile scatena una spirale di tragedia, dove nessuno ottiene ciò che vuole, anzi, più si lotta per riparare il danno e più si precipita nell’abisso. In Oldboy, Oh Dae-su (Choi Min-sik) crede di essere il burattinaio della sua vendetta, ma è solo un pupazzo in un gioco già scritto da qualcun altro. E in Lady Vengeance, Lee Geum-ja (Lee Young-ae) porta a termine il suo piano, ma il senso di colpa non la abbandona. Come dice Park, “Una persona che soffre di un senso di colpa è una persona nobile”. Ma la nobiltà non salva nessuno.

Un universo controllato dall’alto: il regista come deus ex machina

Il mondo di Park non è mai lasciato al caso. Gli eventi si incastrano con una precisione inquietante, come se un’entità superiore orchestrasse ogni dettaglio. E chi è questa entità? Lui stesso, il regista. In Sympathy for Mr. Vengeance, l’etichetta della clinica di trapianti trovata nei momenti chiave o la trasmissione radiofonica che inchioda il protagonista non sono coincidenze: sono sentenze. I personaggi non hanno controllo, ne posseggono solamente l’illusione.

Persino le relazioni tra i protagonisti sembrano rispondere ad una logica di superego. Young-mi guida le azioni di Ryu, Woo-jin manipolando Oh Dae-su fino all’ultimo respiro. Questi ultimi non sono semplici antagonisti, bensì il destino incarnato, che spinge i protagonisti verso il loro inevitabile epilogo.

Il tempo come prigione: il montaggio della condanna

In questi film, il passato non è un ricordo, ma una condanna. Il montaggio alterna presente e passato in modo chirurgico, ricordandoci che ogni azione ha un peso intramontabile. In Oldboy, la rivelazione finale è una pugnalata proprio perché ci mostra come il passato non lasci mai scampo. In Lady Vengeance, il senso di colpa si riflette in un montaggio che ne sottolinea la dissociazione della protagonista stessa. Park Chan-wook a tal proposito ci dice che il passato non si supera: si subisce.

Sympathy for Mr. Vengeance (2002): l’innocenza che diventa tragedia

Crediamo di esserne immuni, convinti che si possa commettere un crimine restando moralmente innocenti. È questa la convinzione dei due protagonisti quando decidono di rapire una bambina “a fin di bene”. Ma l’effetto domino che segue è inarrestabile. Park non giudica, osserva da lontano, con una freddezza quasi documentaristica. I personaggi sono piccoli nel paesaggio, inghiottiti da un destino che li sovrasta. La violenza è secca, inevitabile.

Il film, al momento dell’uscita, fu un disastro al botteghino in Corea del Sud, finendo al 30º posto tra gli incassi dell’anno. Eppure, negli anni è stato rivalutato come un’opera essenziale, uno dei Revenge movie più crudeli e realistici mai girati.

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Oldboy (2003): il film che ha cambiato il cinema coreano

Oldboy, disponibile su Prime Video, non è solo un film, è un manifesto. Un’esplosione di violenza, disperazione e poesia nera che ha ridisegnato il cinema sudcoreano. La storia di Oh Dae-su, prigioniero per quindici anni senza motivo apparente, è una discesa negli inferi orchestrata con una regia chirurgica. La scena del corridoio, girata in un unico piano sequenza, è leggenda.

Quentin Tarantino, presidente di giuria a Cannes nel 2004, lo definì

“Il film che avrei voluto fare”

Gli assegnò il Grand Prix Speciale della Giuria, elevandolo a capolavoro internazionale. Oldboy ha segnato il destino di un intero Paese, dimostrando che la Corea del Sud poteva imporsi nel panorama mondiale con un linguaggio cinematografico radicale ed innovativo.

Il successo fu tale da attirare Hollywood, che nel 2013 affidò un remake a Spike Lee. Ma l’essenza dell’originale era irripetibile. Oldboy resta un film unico, intrappolato nella memoria collettiva come il suo protagonista nella prigione che gli ha distrutto la vita. Lo stesso è successo a Bollywood, Sanjay Gupta con il suo film Zinda ha presentato una notevole somiglianza con il film sudcoreano, che nel 2005 ne è stata riferita l’inchiesta per violazione del copyright.

Lady Vengeance (2005): la vendetta in abito bianco

Con Lady Vengeance, Park chiude la trilogia con un’opera visivamente raffinata e carica di ambiguità morale. Geum-ja, uscita di prigione dopo anni di ingiusta detenzione, prepara la sua vendetta con meticolosa freddezza. Ma il film, anziché glorificare la giustizia personale, mostra il peso della colpa e la distruzione interiore che la vendetta porta con sé.

L’uso del colore è simbolico: esiste una versione del film che sfuma gradualmente dal colore al bianco e nero, come a voler rappresentare il progressivo svuotamento emotivo della protagonista, consumata dalla vendetta. La scena della “giuria” composta dai genitori che decide il destino del carnefice è uno dei momenti più disturbanti della trilogia. Quando Geum-ja viene interrogata sul perché voglia uccidere il suo carnefice, risponde con una battuta gelida:

– “Cosa intende fare con lui? Ucciderlo? Perché?

– Per avermi reso una peccatrice.”

Il film fu un successo in Corea ed arrivò in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, impressionando il pubblico e la critica.

L’ombra che guida la vendetta: la psicologia del male

In tutti e tre i film, la vendetta non è solo una scelta, ma un processo psicologico guidato da una figura oscura. È l’ombra di Jung, la parte più repressa ed animalesca dell’anima umana, che si manifesta attraverso gli antagonisti, che spingono i protagonisti a seguire il cammino della distruzione.

In Sympathy for Mr. Vengeance, Ryu (Shin Ha-kyun) segue senza esitazione il piano di Young-mi, che lo convince della giustizia della loro causa. In Oldboy, Woo-jin non è solo un nemico, ma l’ombra stessa di Oh Dae-su, colui che lo ha manipolato per anni, costringendolo ad una catarsi forzata. In Lady Vengeance, Geum-ja incarna sia vittima che carnefice, ed i genitori delle vittime si trasformano a loro volta nell’ombra, divenendo spietati esecutori del loro stesso dolore. Park mostra che il vero antagonista non è mai una persona, ma la parte più nascosta dell’anima, che una volta liberata divora tutto.

Nessuna via di fuga

La trilogia della vendetta non offre soluzioni, non cerca redenzione. Ogni vendetta si trasforma in una condanna, ogni scelta è già scritta. Con uno stile visivo inconfondibile, un montaggio spietato ed una riflessione feroce sull’ironia del fato, Park Chan-wook ha ridefinito il revenge movie. Non per glorificarlo, ma per distruggerlo. E per ricordarci che, alla fine, la vendetta non libera. Divora.