Bianca (1984) è considerato uno dei film più noti e più belli tra quelli diretti ed interpretati da Nanni Moretti. Nella storia si intrecciano drammi psicologici e sentimentalismo, insieme alla commedia. Il suo tradizionale alter ego, Michele, si carica di ambiguità e di malessere: feticisimi, fobie ne comprimono l’esistenza e ne sconvolgono l’equilibrio. Moralità e scandalo hanno margini ristretti di convivenza.
Sinossi
Michele insegna in una bizzarra scuola privata. Passa il tempo libero nella maniacale osservazione e schedatura della vita privata e sentimentale di amici e vicini. Una vicina viene trovata uccisa; la polizia indaga. Michele conosce una nuova collega, Bianca, con cui intreccia una relazione. Una coppia di amici chiude la propria crisi in modo anomalo. I due vengono trovati morti a loro volta.
Il capolavoro di Moretti
Uno dei capolavori di Nanni Moretti, il primo dalla narrazione distesa e quasi “classica”. Dopo Ecce bombo (1978) e Sogni d’oro (1981), Bianca lo si può definire il film della maturità del regista romano. Bianca è al tempo stesso una storia d’amore e la descrizione di un caso clinico, amaro, divertente e freudiano fino a sfiorare il surrealismo (nel film precedente il protagonista girava un film intitolato La mamma di Freud, con l’inventore della psicanalisi interpretato da Remo Remotti, che qui torna nella parte di Siro Siri). Pur essendo una sorta di film cerniera tra la prima maniera, per così dire fumettistica, e quella più classica di La messa è finita (1985) – sebbene i successivi Palombella rossa (1989), Caro diario (1993) e Aprile (1998) tradiranno nuovamente la narrazione tradizionale – Bianca è un’opera che contiene elementi “morettiani” per eccellenza: quelli di Michele Apicella sono sproloqui assurdi, domande provocatorie, azioni inutili e controproducenti (obbligare i ragazzi alla ginnastica, lo schiaffo allo studente riottoso), prese di distanza autolesioniste dalla storia con Bianca («voi due chi?… perché lo ha detto insieme?»), per difendersi da un modo assai superficiale, per quanto moderno, di intendere la vita di coppia e le storie d’amore.
Michele Apicella
Per questo il protagonista vuole intrufolarsi nell’unica storia d’amore puro che si trova davanti, quella tra i suoi studenti Matteo e Martina, per questo si trasforma in serial killer, giustiziere di tutte le coppie che non rispondo al suo ideale di perfezione e di complementarità, significativamente simboleggiato dalle scarpe, sempre in coppia e, se non proprio uguali, sempre complementari. La consapevolezza della diversità di Michele Apicella, qui professore di matematica, sfocia stavolta nella disperazione («è triste morire senza figli»), ma anche in un film compiuto e divertente, del quale non per caso ancora oggi si mandano a memoria – spesso anche a sproposito – citazioni e battute («continuiamo così, facciamoci del male»).