L’ultimo imperatore (The Last Emperor) è un film epico e biografico del 1987, diretto da Bernardo Bertolucci. Il soggetto trae spunto da Sono stato imperatore, l’autobiografia di Pu Yi. Colossal di successo mondiale, segnò una svolta decisiva nella carriera del regista e ricevette un vasto numero di riconoscimenti, tra cui nove Oscar e nove David di Donatello.
L’Ultimo Imperatore: Viaggio nella Città Proibita
Il film ha ricevuto il rarissimo permesso, soprattutto per un regista non cinese, di fare le riprese entro le mura della Città Proibita, dove gran parte della vita di Pu Yi ha avuto luogo, divenendo di fatto il primo film occidentale in cui si mostra l’autentica ambientazione della corte imperiale cinese. In previsione del film Bertolucci arruolò circa ventimila comparse e trecento tecnici tra italiani, inglesi e cinesi, che lavorarono sul set per circa sei mesi. Il blocco di riprese totali ebbe luogo tra il 28 luglio 1986 e il 30 gennaio 1987. Oltre che in Cina, a Pechino, le riprese si sono svolte anche negli studi di Cinecittà a Roma.
Il film grazie ai notevoli incassi e al trionfo alla notte degli Oscar segnò una sorta di riscatto dei film storici, o del cinema-spettacolo nella tradizione di Cecil B. DeMille. Il film uscì in Italia il 23 ottobre 1987 e negli Usa il 18 novembre. Gli incassi furono notevoli: la pellicola raggiunse quasi 44 milioni di dollari negli Stati Uniti, e in totale incassò oltre 78 milioni di dollari.
La Storia di Pu-Yi
Nel 1908 a Pechino nella città proibita, l’anziana Imperatrice vedova, prossima a morire, si fa portare Pu-Yi, un fanciullo di tre anni, strappandolo alla madre e lo designa suo successore. Ultimo della dinastia Ching passerà la sua infanzia nella mitica Città, signore e padrone assoluto di uno sterminato Impero. Nel 1912, Sun-Yat-Sen proclama la Repubblica, ma il fanciullo resta là come un simbolo, prigioniero ma onorato (e inoffensivo).
Successivamente, divenuto adulto va a vivere in un’altra città del Paese con le due mogli, l’istitutore scozzese Sir Reginald Johnston e alcuni fedeli, in un esilio dorato, che lo vede anche in Occidente. Poi la volontà di governare prende il sopravvento e lo spinge a compromessi: avendo nel frattempo il Giappone, spinto da mire espansionistiche, invaso e occupato la Manciuria, terra natia di Pu-Yi, questi sale sul trono di tale regione, ribattezzata Manciukuo, destinato al ruolo di re fantoccio, collaborando con Tokio, che ne condiziona a fini bellici l’effettivo potere.
Finita la guerra e caduto in mano sovietica Pu-Yi trascorre, dopo la seconda guerra mondiale cinque anni in Siberia; poi nel 1949 la Cina di Mao ne chiede il rimpatrio come criminale di guerra. Dopo un decennio di rieducazione politica, l’ex Imperatore viene rilasciato dal campo in cui, con molti altri, è stato confinato: ora è un uomo comune, ha riconosciuto le sue colpe (reali o presunte) e lavora da umile giardiniere nell’orto botanico di Pechino. E nel 1967, nel momento in cui coloro che lo hanno rieducato proveranno gli insulti e le vessazioni della rivoluzione culturale Pu-Yi muore.