Sinossi: 40 detenuti della Casa Circondariale Dozza di Bologna, senza nessuna esperienza, sotto la carismatica guida di un allenatore di Rugby, Max Zancuoghi, debuttano nel campionato di serie C2 della F.I.R. Partita dopo partita, tra sconfitte e vittorie, i reclusi di nazionalità e fede diversa, scoprono che l’amicizia e la condivisione di sani principi valgono più che l’egoistico tentativo di sopraffare il prossimo.
Recensione: Debutto al 57° Festival dei Popoli per la regista, Enza Negroni, al suo secondo lungometraggio, dopo il successo di Jack frusciante è uscito dal gruppo. Una prova di forza e coraggio, a dimostrazione di una spiccata propensione verso l’indagine umana. Con La prima meta non si mette in luce solo la storia di una semplice squadra di detenuti, i ragazzi del Giallo Dozza. Quello che traspare maggiormente è la contrapposizione tra due vite parallele, l’una di fronte all’altra, la cui convivenza non è certo scontata. Si tratta del rapporto tra i detenuti, costretti a scontare una pena che varia dai 4 anni all’ergastolo, e gli sportivi, che nel rugby trovano il riscatto, la redenzione.
Alle direttive di un condottiero leale e generoso, il gruppo riesce nel tentativo di tramutare il grigiore di una cella in occasione per cambiare comportamento. Il limbo della prigionia, la sospensione di un vissuto in attesa di essere riavviato o di terminare definitivamente, è cancellato dalla voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Grazie allo sport, a modificare non è solo l’aspetto fisico; quello che muta pian piano è la sensibilità di uomini feriti dalla vita. Inoltre, il loro repentino cambio di percorso permette a chi è fuori di vedere il mondo con occhi diversi – è quello che accade all’allenatore, che, toccato nel cuore, dopo l’esperienza nel carcere bolognese, comprende la vera essenza della libertà.
L’ammirevole lavoro alla regia è supportato da un affiatato gruppo di lavoro. La produzione è affidata a Giovanna Canè – nota al pubblico degli addetti ai lavori per aver coordinato successi quali Romanzo Criminale, Quo Vadis Baby e L’ispettore Coliandro. Degno di nota è anche Roberto Cimatti alla direzione della fotografia, che ha colto appieno il chiaroscuro dei detenuti, offrendone un realistico taglio cromatico. Tra allenamenti massacranti, clima e condizioni variabili, i giocatori raggiungono una meta ben più importante del risultato sportivo. Riescono a superare i propri limiti, smussando gli spigoli di una personalità controversa, in nome di valori quali il rispetto, l’altruismo e il coraggio di vivere con dignità.
Dario Cataldo