Sinossi: Eva e Rocco sono una coppia di mezza età che invita a cena i proprio amici di sempre Cosimo e Bianca, Lele e Carlotta e Peppe. E’ una sera come tante in cui si parla di lavoro, di figli e di partite a calcetto e mai nessuno potrebbe immaginare la facilità con cui la più innocua delle cene tra amici possa trasformarsi, da un momento all’altro, nel peggiore dei giochi al massacro. Basta che uno di loro proponga, quasi come un gioco, di mettere tutti i cellulari sul tavolo per rivelare ai presenti il contenuto di qualsiasi telefonata, messaggio e mail riceveranno nel corso della serata. E’ l’inizio di un viaggio alla scoperta di quanto poco possiamo conoscere chi ci sta accanto, sia che si tratti di un amico che del compagno o compagna con cui si è scelto di passare la vita.
Recensione: Certo, che strano autore Paolo Genovese. Nato artisticamente poco più di dieci anni fa con quell’Incantesimo napoletano – co-firmato con l’ex sodale Miniero e da molti all’epoca salutato come una boccata d’aria fresca nel panorama asfittico della commedia nostrana – e poi rapidamente entrato nei ranghi di quella stessa commedia le cui regole sembrava volere (e soprattutto potere) cambiare dall’interno. I fatti hanno poi dimostrato come non solo Genovese quelle regole non le abbia affatto cambiate, ma vi si sia addirittura adagiato con commediole innocue (i due Immaturi) quando non addirittura nocive per il genere, come nel caso del più recente Sei mai stata sulla luna?. Volendo prescindere infine dalla regia La banda dei Babbi Natale – forse il peggiore tra i film con Aldo, Giovanni e Giacomo – è ravvisabile un solo corpo estraneo nella filmografia del regista ed è Una famiglia perfetta, bel remake dello spagnolo Familia di Fernando Leòn de Aranoa, che ragionava sui molteplici punti di contatto tra realtà e finzione attraverso un’impalcatura dichiaratamente teatrale.
Fortuna vuole che, in occasione del suo nuovo film Perfetti sconosciuti, Paolo Genovese torni idealmente proprio a quella felice esperienza per confezionare così una delle migliori commedie italiane viste ultimamente. La struttura è quella, a dir vero un po’ abusata, del gruppo di persone in un interno (su questo stesso canovaccio, solo nell’ultimo anno, sono già usciti Il nome del figlio della Archibugi e Dobbiamo parlare di Sergio Rubini) ma è evidente quasi da subito come ci si trovi di fronte a qualcosa di ben diverso, che non ambisce solo a distrarre per le sue due ore scarse di durata e, se proprio va bene, a strappare un paio di sorrisi a un pubblico abituato al peggio, ma che prova anche a scuoterlo un po’. Si capisce dall’incipit in cui vediamo, in un montaggio alternato, le tre coppie prepararsi, ognuna a suo modo, per la cena a cui parteciperanno di lì a poco.
Giallini e la Smutniak sono in cucina per gli ultimi preparativi ma sono distanti e quasi evitano di guardarsi negli occhi mentre esprimono i loro antitetici punti di vista sull’educazione sessuale della loro figlia adolescente. Anna Foglietta beve un lungo sorso di vino bianco mentre Mastandrea, nel frattempo, è in bagno a chattare di nascosto. La terza coppia, quella formata da Alba Rorhwacher e Edoardo Leo, consuma invece un amplesso frettoloso in bagno, giusto un attimo prima di uscire di casa. Tre momenti molto intimi, catturati da una macchina da presa che se da un lato già si rivela onnisciente, dall’altro sembra avvertirci che ciò a cui stiamo per assistere, al netto delle sue ovvie finalità ludiche, ha carattere privato e, per questo, suscettibile di fare male.
E in effetti, dopo i primi convenevoli fatti di battute e amichevole scherno, i sette protagonisti del film iniziano a farsi molto male. In un modo nient’affatto usuale per un cinema italiano ossessionato dal politically correct e dall’idea di non andare mai a letto se prima non si è fatto pace, qui si parla di fiducia, il più delle volte mal riposta, e dell’inesorabile fragilità dei legami affettivi. Sembra quasi che Genovese, in uno scatto d’orgoglio drammaturgico, guardi più oltralpe che entro i confini di casa, mentre invita il pubblico a guardare dallo spioncino come le declinazioni più moderne e open-minded di coppia vanno in frantumi per un messaggino su whatsapp.
Altro punto di riferimento obbligato rimane senz’altro Polanski, anche se i livelli di sadico nichilismo di Carnage qui non vengono neanche minimamente lambiti, ma il risultato è comunque feroce a suo modo. Merito di una scrittura mai banale che alterna a dialoghi di immediata presa comica una serie di ribaltamenti progressivi dei diversi punti di vista che destabilizzano piacevolmente lo sguardo. Merito di un cast in pieno stato di grazia, pieno di alcuni dei volti più utilizzati dal cinema italiano contemporaneo, qui impegnati nello sforzo non comune di allontanarsi dai cliché in cui spesso questo li relega e tra cui è d’obbligo citare almeno un Marco Giallini più umano e misurato del solito (leggi meno guitto) e Giuseppe Battiston che si conferma, ancora una volta, come il più legittimo aspirante al titolo di Philip Seymour Hoffman italiano.
E in ultima analisi, ma non in ordine di importanza, merito di una regia elegante e per nulla invasiva che, anzichè gingillarsi in inutili movimenti di macchina, si mette al completo servizio della storia senza mai scollarsi dai volti dei sette commensali. Una delle prime cose che in genere si insegnano in qualunque scuola di cinema riguarda l’oggettiva difficoltà di girare una scena di gente a tavola e di come Quentin Tarantino abbia sfatato in parte questo tabù nella leggendaria sequenza iniziale de Le iene. Ecco, con Perfetti sconosciuti Paolo Genovese riesce nell’intento di girare quasi un intero film di gente a tavola e il risultato è una delle più piacevoli sorprese degli ultimi anni.
Peccato solo – ma è proprio un voler cercare il pelo nell’uovo – per un finale che, forse leggermente impaurito all’idea di avere un po’ esagerato col veleno, approda a un escamotage narrativo che, di fatto, annulla il portato più caustico di quanto fatto fino ad allora. Ma, come dicevamo, è davvero un male minore. Più che consigliato quindi, soprattutto alle coppie.
Fabio Giusti