L’esorcista (The Exorcist) è un film del 1973 diretto da William Friedkin e tratto dall’omonimo romanzo di William Peter Blatty, che scrisse anche la sceneggiatura del film. La pellicola ha avuto molto successo malgrado i problemi di censura e, negli anni seguenti, sono usciti nelle sale due sequel: L’esorcista II – L’eretico del 1977, L’esorcista III del 1990 e una riedizione in versione integrale del 2000, con circa undici minuti di scene inedite. Nel 1974 è stata anche realizzata una versione cinematografica turca chiamata Şeytan. Ben accolto dalla critica, il film divenne presto un punto di riferimento del cinema moderno, acquisendo una notevole popolarità e avendo un forte impatto culturale. Nel 2010 entrò a far parte del National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
La sceneggiatura del film è tratta dall’omonimo romanzo di successo del 1971 L’esorcista, scritto dallo stesso autore e produttore del film, William Peter Blatty. Il romanzo era stato a sua volta ispirato da un articolo del Washington Post dell’agosto 1949 che narrava di un presunto esorcismo praticato ad un ragazzo di 14 anni a Mount Rainer, nel Maryland; tra i fenomeni soprannaturali descritti nell’articolo, poi rilanciati anche da altri quotidiani, vi erano movimenti autonomi del letto del ragazzo, del materasso, di una pesante poltrona e altri oggetti minori, rumori inspiegabili provenienti dai muri e grida del ragazzo in latino, una lingua che non aveva mai studiato. Dopo il successo del libro, Blatty vendette i diritti per realizzare un film alla Warner Bros. per 641.000 dollari, per poi scrivere un primo adattamento per il grande schermo di 225 pagine, corrispondenti a circa quattro ore di scene da filmare. In seguito iniziò la ricerca del regista. La Warner propose tale lavoro a Stanley Kubrick, Arthur Penn e Mike Nichols, ma tutti e tre rifiutarono. Il primo spiegò che in quel periodo non voleva dirigere film che non avesse anche scritto; Penn disse che dopo Gangster Story (Bonnie and Clyde) non voleva fare un altro film violento, specialmente se avesse coinvolto una bambina; mentre Nichols asserì che sarebbe stato impossibile trovare un’attrice dodicenne in grado di interpretare la bambina stessa. Alla fine la scelta ricadde su William Friedkin, fortemente voluto sin dal principio da Blatty, il quale aveva alle spalle esperienze da regista anche per documentari. Friedkin spiegò che tra i principali elementi che lo convinsero a dirigere il film vi era il fatto che fosse ispirato da una storia realmente accaduta, quindi si pose l’obiettivo di dare una visione più realistica possibile di eventi inspiegabili. Inizialmente tuttavia la Warner Bros. aveva rifiutato di affidargli l’incarico, determinante nel convincere i produttori fu la sua vittoria del premio Oscar grazie a Il braccio violento della legge (The French Connection). Lo stile di William Friedkin ricorda quello di David Wark Griffith per il suo modo di sfruttare i componenti del cast in modo da ottenere reazioni il più realistiche possibili; la scena in cui padre Dyer dà l’estrema unzione a padre Karras richiese molte riprese, alla fine Friedkin arrivò a dare degli schiaffi a William O’Malley pur di riuscire ad ottenere l’espressione desiderata. Linda Blair e Ellen Burstyn venivano spesso legate e strattonate violentemente, tanto che entrambe accusarono problemi alla schiena. Tra Friedkin e Blatty, i quali erano entrambi determinati a produrre un film più seguendo uno stile documentaristico che da genere horror, vi era un ottimo rapporto sia professionale che personale; tuttavia i due si ritrovarono su posizioni diverse in fase di post-produzione. Secondo il regista, Blatty, cattolico convinto, voleva fare proselitismo verso la Chiesa cattolica, offrendo un finale più ottimista e rassicurante. In tale direzione va l’edizione pubblicata per il mercato home video dal 2000 in poi, la quale presenta un finale, ri-montato secondo le volontà di Blatty, diverso dall’originale. Il finale originale voluto da Friedkin, invece, offriva una chiave di lettura volutamente ambigua, bilanciata tra un’interpretazione più cinica e una più rassicurante.
All’uscita del film, il critico Stanley Kauffmann su The New Republic descrisse il film come l’unico veramente pauroso che abbia visto negli ultimi anni, in grado di provocare davvero forti reazioni emotive. Joe Dante scrisse che rappresentava qualcosa di diverso da qualsiasi altra avesse mai visto, dicendosi convinto che sarebbe diventato un classico del cinema dell’orrore. Variety ne esaltò la regia e la sceneggiatura, descrivendo il film come un’esperta narrazione di una storia soprannaturale, i cui fatti risultano credibili grazie alle ottime interpretazioni del cast; secondo la rivista il lavoro congiunto di Blatty e Friedkin è coeso e avvincente, riuscendo a stimolare sia la mente che i sensi. Tra le testate a giudicare negativamente il film vi furono il New York Times, che lo definì uno sproloquio sull’occulto con grotteschi effetti speciali, e Rolling Stone, che lo giudicò un «film pornografico-religioso che tenta di rifarsi a Cecil B. DeMille». Con il passare degli anni il responso della critica migliorò ulteriormente; sull’aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes il film registra un punteggio di 87/100. Roger Ebert nel 1993 lo definì «uno dei migliori film del suo genere che siano mai stati realizzati, il quale trascende sia il genere di terrore, orrore e soprannaturale, sia gli ambiziosi sforzi che vanno nella stessa direzione del film Rosemary’s Baby». L’esorcista è comunemente riconosciuto come un classico del cinema horror.