Dalla coralità all’intimismo, dalla storia alla cronaca familiare, il cinema di Scola è un viaggio nel cuore dell’Italia,
condotto sempre sul filo di un profondo umanesimo
Forse il meglio la commedia all’italiana lo ha dato quando è riuscita a rappresentare un’antropologia di perdenti, uomini senza arte né parte che si trovavano a sopravvivere. Da parte dei registi c’era uno sguardo pieno di pietas (frammista a una sana cattiveria), che superava le divisioni manichee del bene e del male. Ecco, il cinema di Ettore Scola è riuscito a rappresentare meglio di altri questo umanesimo di personaggi a tutto tondo che hanno avuto difficoltà a comprendere le ricette dell’esistenza. Un umanesimo talmente verosimile nei suoi tic e ossessioni che un po’ tutti vi ci possiamo riconoscere. Scrive a tal proposito Ennio Bíspuri, nel suo toccante volume Ettore Scola, un umanista nel cinema italiano (Bulzoni editori, Roma, 2006): «Scola è un autore che si è sempre distinto, in ogni sua singola opera, […] per un umanesimo di fondo, senza il quale i suoi film non avrebbero lasciato una traccia tanto profonda nell’immaginario collettivo e nella cultura italiana. Come tutti gli artisti che scendono in profondità nell’analizzare il rapporto tra gli esseri umani e la loro esistenza, Scola ci parla dei nostri problemi, ma li osserva da una prospettiva che li pone su un piano superiore rispetto a quello che si esaurisce nel quotidiano e nel divenire concreto e banale. Affronta tematiche che spaziano nella filosofia e nella vita che si consuma nel Tempo, come gli ideali che tramontano, le difficoltà dell’amore e dell’amicizia, la drammaticità delle scelte, l’imponderabilità degli eventi esterni che ci condizionano, il sopraggiungere inesorabile della vecchiaia e della morte». Attraverso il volto e il corpo degli attori (Gassman, Tognazzi, Manfredi, Mastroianni, Troisi), Scola ha raccontata una storia d’Italia in cifre stilistiche personali sempre diverse, ma con un’attenzione sempre viva verso l’essere umano con risultati sorprendenti nella loro modernità narrativa: la coralità in C’eravamo tanto amati, l’intimistico minimale in Una giornata particolare, o il magnifico viaggio nel tempo di Ballando ballando, film dove «si articola in episodi che ripropongono in epoche differenti una medesima situazione: uomini soli e donne sole che vanno a ballare per conquistare ed essere conquistati. Un canovaccio sul quale una meticolosa sceneggiatura innestò una miriade di situazioni grottesche, paradossali, da clownerie triste, personaggi che vivevano immersi nei loro tic, occhiate seduttive e occhiatacce, alzate di spalle, sospiri, sbuffi».
Per informazioni e il programma completo:
Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale