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Festival del cinema di Porretta Terme

Raccontare la storia al femminile: Margarethe Von Trotta

Il Festival del Cinema di Porretta dedica nella sua 24esima ediziona una rassegna monografica alla cineasta Margarethe Von Trotta

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Nella sua ventiquattresima edizione, Il Festival del Cinema di Porretta Terme dedica una rassegna speciale a Margarethe von Trotta, una delle voci più autorevoli del cinema europeo contemporaneo. Un’occasione per incontrare l’autrice che, da oltre cinquant’anni, attraversa la storia e la politica con uno sguardo sensibile e profondamente umano. Attraverso questa retrospettiva si può ripercorrere la sua carriera, dai primi passi nel Nuovo Cinema Tedesco ai film più recenti, e notare la coerenza e l’evoluzione di un linguaggio che ha segnato in modo indelebile la rappresentazione del femminile e della memoria in Europa.

Il cinema di Margarethe Von Trotta unisce impegno politico e introspezione psicologica ponendo attenzione alle forme della soggettività femminile. Sin dai suoi esordi ha dimostrato particolare interesse per una rosa di tematiche che sono poi diventate leitmotiv delle sue opere. Tutti i suoi film si possono descrivere come percorsi di indagine sulla politica, sulla responsabilità individuale, ma soprattutto sulla memoria storica. Von Trotta ha sempre dimostrato particolare interesse all’analisi del rapporto tra storia e identità, indicando come le grandi lacerazioni del Novecento si insinuano nelle vite quotidiane.

Le origini

La sua carriera ha inizio sulla scia del Nuovo Cinema Tedesco, ma con il tempo riesce a costruire un linguaggio peculiare che la rende riconoscibile come autrice autonoma. Le storie che racconta sono contraddistinte dall’impiego del femminile come specchio privilegiato attraverso cui comprendere un mondo in conflitto.

“Quando ho iniziato a fare film non c’erano praticamente registe in cui riflettersi. Quindi ho sentito di avere la responsabilità di parlare delle donne. Innanzitutto perché sapevo meglio cosa significasse essere donna, ma anche per dare voce a chi nella società non ce l’aveva.”

Margarethe Von Trotta nasce a Berlino nel 1942. Cresce tra la Germania e la Francia; durante una sua permanenza a Parigi inizia ad avere contatti con il cinema partecipando a delle riprese. Inizialmente si addentra nel mondo della settima arte ricoprendo il ruolo di attrice, prima teatrale e poi cinematografica, collaborando con autori del calibro di Rainer Werner Fassbinder e Volker Schlöndorff.

Da attrice a regista del dissenso

Il suo passato da attrice diventa fondamentale per la carriera da regista, perché le ha fornito gli strumenti per dirigere all’interno del set. Come regista infatti ha sempre privilegiato il rapporto con le sue attrici, instaurando anche dei veri e propri sodalizi artistici come quello con Barbara Sukowa. La relazione con l’attrice, nel set dei film di Von Trotta, assume quasi le sembianze di un rapporto simbiotico; si crea una sorta di famiglia artistica. Dal suo passato come attrice infatti la regista tedesca ha appreso come “dirigere non significa imporre ma ascoltare”.

Il legame con Sukowa è sicuramente uno dei più significativi e rappresentativi. L’attrice è una delle interpreti più iconiche del cinema di Von Trotta: ha dato vita a figure  hanno segnato il cinema europeo, da Rosa Luxemburg a Hanna Arendt. L’idea di Von Trotta è quella che un personaggio nasca dalla collaborazione di due persone e non che sia frutto esclusivo della volontà del regista. Il rapporto con le sue attrici incarna uno dei motori più profondi della sua poetica: le protagoniste dei suoi film sono le sue complici e le permettono di esplorare le contraddizioni delle sue storie.

I primi approcci alla macchina da presa avvengono tramite collaborazione. Insieme a Schlöndorff infatti firma il film Il caso Katharina Blum nel 1975, tratto dal romanzo di Heinrich Böll,  dando inizio a un’unione sia professionale che sentimentale.

In seguito a questa esperienza, decide di trasferirsi dietro la macchina da presa. Descrive questo passaggio come una “necessità” al fine di trovare un linguaggio personale e non ancorato alle figure maschili con cui ha lavorato finora. Inizia così il suo percorso autoriale caratterizzato da una vena più dichiaratamente politica con il suo primo film, Il secondo risveglio di Christa Klages del 1978. Qui, e in Sorelle- L’equilibrio della felicità (1979), cominciano a tracciarsi le linee guida che verranno poi riprese in tutta la sua filmografia: il legame tra donne, la conflittualità tra libertà e responsabilità e il legame indissolubile tra vita privata e storia.

“Nei film metti parte della tua vita, dei tuoi interessi, delle tue preoccupazioni, del tuo sguardo sul mondo. Il cinema è un modo di guardare il mondo.”

L’importanza dello sguardo femminile

Il potere e la forza del cinema di Margarethe Von Trotta risiedono nella centralità che viene data allo sguardo femminile, lente storicamente marginalizzata attraverso cui raccontare storie (politiche). Un punto di vista intricato ma anche contraddittorio, decisamente più umano. Per questa ragione è conosciuta con l’appellativo di “regista delle donne”, perché capace di mettere in scena figure sommerse in conflitti morali e che resistono alle semplificazioni cercando di realizzare il proprio desiderio di autonomia in un mondo che le designa come mere pedine.

I suoi film, seppure profondamente e apertamente politici, mantengono comunque saldo il loro legame alla vita reale rappresentata attraverso la psicologia e le relazioni. Uno degli obiettivi del cinema è quello di dimostrare come la storia sia ciò che accade tra le persone comuni.

La storia vista attraverso il privato

Esce nel 1981 il film che la consacra definitivamente, Anni di piombo, ispirato alla vicenda delle sorelle Christiane e Gudrun Ensslin. Il film racconta magistralmente la tensione politica di quegli anni e come questa si riversa nelle relazioni private, in questo caso nel rapporto tra due sorelle profondamente diverse. Entrambe militanti nella sinistra radicale tedesca, seguono però due strade differenti. Anni di piombo non è un film sul terrorismo quanto un dramma sulla responsabilità individuale. Su come due vite possano condividere affetti e matrici giungendo poi a scelte così diametralmente opposte. Ne risulta un dialogo incalzante tra passato e passato, intimità e pubblico, idealismo e disillusione.

gli anni di piombo

In questo film la regista dimostra la sua destrezza nell’utilizzo del mezzo cinematografico come strumento per interrogare e per osservare la manifestazione delle ideologie e la frantumazione nel privato.

Con Anni di piombo la regista tedesca vince il Leone d’Oro al miglior film alla 38ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e si afferma come una delle autrici più rilevanti a livello europeo.

Come la biografia diventa spazio politico

Nel 1986 dirige Rosa Luxemburg, un ritratto della rivoluzione socialista polacca

Qui coglie non solo la dimensione politica, ma anche e soprattutto quella intellettuale e affettiva della protagonista,  mettendo in scena una donna capace di vivere la politica senza rinunciare alla propria interiorità. Ritorna la collaborazione con Barbara Sukowa che dona corpo a un personaggio valoroso e indomabile che le vale il premio alla miglior interpretazione femminile al  39º Festival di Cannes. Questo film rappresenta una biografia critica che mostra la solitudine di Luxemburg e la sua lucidità teorica, la sua difficoltà di collocarsi in un mondo radicalizzato e frammentato.

Il potere delle donne nella memoria della Shoah

Con Rosenstrasse, girato nel 2003, torna alla memoria tedesca del Novecento mettendo in scena un avvenimento storico che spesso passa in sordina: l’occupazione della Rosenstrasse, nel ’43,  da parte delle donne berlinesi per ottenere il rilascio dei mariti ebrei arrestati. Si tratta di un episodio di resistenza civile inesplorato, ma che risulta fondamentale per la sua importanza come risposta popolare al nazismo. Anche qui la ricostruzione storica s’intreccia con un’indagine familiare tramite la quale vengono investigati temi come la memoria intergenerazionale e la trasmissione dei traumi, la loro reinterpretazione o rimozione. Il gesto collettivo delle donne tedesche diventa un punto di partenza per osservare la possibilità e il costo del dissenso in un’epoca caratterizzata da assolutismi e oppressioni.

Pensare (e girare) controcorrente

Una decina di anni dopo dedica un suo film a una figura di grande interesse: Hanna Arendt. Il film sulla filosofa e intellettuale teorica de La banalità del male, esce nel 2012 con un titolo omonimo alla sua protagonista. Non si tratta di un’opera di spettacolarizzazione ma più di una documentazione e dimostrazione del lavoro e del processo mentale della filosofa tedesco-ebraica. Le sue contraddizioni e la sua capacità di arrendersi all’isolamento pur di non rinunciare al suo pensiero controcorrente. La figura femminile che Von Trotta dirige in questo film è forse l’apice della figura intellettuale, del soggetto politico che esercita il pensiero come forma di libertà.

Un cinema classico per questioni radicali

Il cinema di Margarethe Von Trotta sembra contenere in sé due anime discordanti: il rifiuto dell’avanguardia formale a favore di un cinema classico nel linguaggio. Caratterizzato da montaggi lineari e messe in scena limpide, convive con una estrema radicalità a livello tematico. A livello linguistico il suo è un cinema sobrio e rigoroso, che si concentra sui dialoghi e sul lavoro attoriale. Ma è questa essenzialità a rappresentarne il punto di forza: permette la chiara emersione delle idee e dei conflitti morali messi in scena. La regista tedesca sfrutta la tradizione narrativa per invitare, o sfidare, lo spettatore a conflitti morali complessi. La traccia melodrammatica delle sue opere non si rifà al sentimentalismo, ma è invece uno strumento per indagare.

“Nei miei film ci sono rivendicazioni politiche perché fanno parte della storia che racconto, delle mie esperienze, di ciò che vedo nella società in cui vivo.”

Pone sempre al centro la figura femminile nel suo essere un soggetto di azione e pensiero, evitando approcci agiografi. I suoi personaggi sono sempre individui reali caratterizzati da profonde riflessioni.

Al di là della forte rappresentanza data alla dimensione politica dell’esperienza femminile, i film di Margarethe Von Trotta sono indiscutibilmente contributi essenziali al dibattito pubblico sulla memoria tedesca, sulle forme e metodi delle militanze e sulle rappresentazioni del trauma collettivo.

Un cinema che continua ad essere ancora oggi uno dei più importanti e significativi a livello europeo.