È il 1981. Margarethe Von Trotta porta a Venezia Die Bleierne Zeit (Gli Anni di Piombo) e la giuria, presieduta da Italo Calvino, non può fare altro che assegnarle il Leone D’Oro e consacrare la regista nell’Olimpo del cinema d’autore. I fortunati che saranno in sala a Porretta Cinema (Taxi drivers media partners) potranno godersi il film al cinema grazie alla retrospettiva che il festival dedica alla regista.

Margarethe Von Trotta: la formazione
Figlia di un pittore e dell’erede di una nobile famiglia prussiana, Margarethe Von Trotta nasce al crepuscolo del Terzo Reich, nel 1942, a Berlino. Passa gli anni della formazione tra Monaco di Baviera e Parigi entrando in contatto con quella generazione di cineasti tedeschi e francesi che sconvolgerà la storia del cinema.
L’esordio nel cinema avviene recitando per Rainer Werner Fassbinder nel 1960. Poi conosce e lavora con Volker Schöndorff, suo futuro marito. Nel 1975 arriva la sua prima regia: Il caso Katharina Blum, tratto da un romanzo di Heinrich Böll e diretto insieme al marito. Quindi inizia a lavorare con continuità fino ad arrivare a Gli Anni di Piombo.
Sulla scena sociale e politica il terrorismo è un tema strisciante e sempre presente di cui però, al cinema, si fatica a parlare. Manca ancora la lucidità critica e storica sul fenomeno. Per chi lo affronta il rischio di essere emarginati dal contesto culturale con l’accusa di favoreggiamento o di incorrere addirittura in ritorsioni è troppo alto per qualsiasi intellettuale.
Margarethe Von Trotta: la cronaca diventa cinema
Nel film Gli Anni di Piombo, Von Trotta racconta fedelmente la vicenda delle sorelle Christiane e Gudrun Ensslin, restando nella cronaca ed evitando di incorrere in giudizi e sentenze. Nel film, Gudrum prende il nome di Marianne (Barbara Sukova), un membro attivo del gruppo terroristico Raf (Rote Armee Fraktion) che partecipa a vari attentati fino a essere imprigionata nei carceri speciali per terroristi, dove si suicida in circostanze non del tutto chiare. Christiane è invece Juliane (Jutta Lampe), la sorella femminista e attivista con cui Marianne ha condiviso affetti e formazione, eccetto la militanza attiva. Juliane si batte per tutto il film cercando di aiutare e di capire fino in fondo la sorella e il clima che le sta intorno.
Margarethe Von Trotta ha conosciuto personalmente Christiane Esslin durante il funerale della sorella. In quell’occasione, Gli Anni di Piombo è stato concepito e poi dedicato a Christiane.

Cinema impegnato
Il film, che si propone come testimonianza storica di una particolare pagina politica, è in realtà tutto fuorché un freddo documentario. Ciò che colpisce, e che colpì in prima battuta Italo Calvino e la sua giuria a Venezia, è la portata umana e intima con cui i fatti sono raccontati. Così lo scrittore parlò della decisione di premiare il film:
“Siamo stati unanimi, nessuno ha parlato di terrorismo, nessuno ha pensato di discuterne i contenuti in modo forzoso. Tutti abbiamo visto il film come un film di sentimenti che scava nella coscienza, punti di vista umani e non formali e politici”
E in effetti la formazione parallela delle due sorelle tra simboli religiosi e storia tedesca, tra educazione e ribellione, tra percorso personale e moto collettivo, rappresenta il tema centrale del film.
La generazione delle sorelle Ensslin, così come quella di Margartethe Von Trotta, è nata negli ultimi anni del Nazismo. È cresciuta in un mondo nuovo ma quando sono arrivati gli anni della maturità, in cui si cerca di comprendere chi siamo e perché siamo così, quella generazione ha trovato un muro di silenzio. I genitori, che avevano vissuto e per forza di cose apprezzato o tollerato il nazismo, non volevano che se ne parlasse più: era una pagina orribile che bisognava soltanto dimenticare.
Il rigore dell’oblio
Per raggiungere questo oblio era necessaria una ferma e rigorosa risposta giudiziaria, compresa la negazione di tutti i diritti ai prigionieri politici. La prigione speciale in cui viene richiusa Marianne è una sorta di camera di tortura, immersa nel silenzio assoluto, isolata, illuminata giorno e notte, senza possibilità di comunicazione e quindi redenzione.
Un popolo e uno Stato, quello del dopoguerra, che nei fatti rinnova lo spirito unico e acritico nel nazionalsocialismo. Contro questo fondamentalismo culturale le sorelle Ensslin si battono. Juliane lo fa all’interno del sistema, scrivendo sui giornali di attivismo, Terzo Mondo, ingiustizie e soprusi. Marianne fuori dal sistema: va in Libano e collabora con Al-Fatah, poi torna in Germania, dà scandalo e semina proteste e violenze. Entrambe vogliono attirare l’attenzione su quello che Laszlo Nemes potrebbe definire “l’orrore del mondo”, solo che lo fanno con strumenti e risonanza diversa.
“Hai scelto la strada più facile”, rimprovera Juliane a Marianne quando lei difende la pratica di tirare le bombe. “Sei come me”, le risponde la sorella, sperando dentro di sé che, dopo la simbolica scomparsa che forse già sta meditando, sarà Juliane stessa a proseguire la missione destabilizzante del collettivo.
Margarethe Von Trotta vive sulla sua pelle gli stessi dissidi interiori. La regista è nel sistema e utilizza il suo potente mezzo d’espressione come chiave per risvegliare le coscienze delle sorelle Ensslin e di tutti gli spettatori. Marianne e Juliane vanno a vedere il film Notte e Nebbia (1955) di Alain Resnais e altri documentari sui campi di concentramento e sul processo di Norimberga. Per entrambe, la visione è disturbante al punto che debbono smettere di guardare. Lacrime e sdegno per le colpe scellerate dei padri si impossessano di loro.

La tragedia greca, negli anni Ottanta
In Sofocle, Antigone si toglie la vita nella grotta dove è stata imprigionata dopo essersi battuta invano nella ricerca della verità. Il re Creonte infatti, davanti alla doppia morte dei fratelli di Antigone, ne aveva eletto uno come eroe e condannato l’altro a nemico, vietando anche la sua sepoltura. Il re si avvede che la sua decisione non è accettata nemmeno dagli Dei, ma non fa in tempo a fermare il suicidio di Antigone e dovrà per questo scontare sulla sua pelle le sue azioni empie.
La storia della Germania e delle sorelle Ensslin è per certi versi la stessa. Legge umana contro legge dei governi. Individuo contro autorità. Dovere, lealtà, destino.
L’impossibile redenzione
È impossibile per Marianne essere veramente libera dopo quello che è successo nel suo paese senza una profonda e accurata elaborazione delle colpe.
Di questo, suo malgrado, si renderà conto anche Juliane. Le sue compagne attiviste la stimolano a scrivere di sua sorella, a sensibilizzare almeno una parte dell’opinione pubblica, a evitarne il linciaggio. Juliane dapprima si nega: ha paura di non essere obiettiva, di non essere capace e finire per fare il male della sorella. In una mirabile scena in cui i volti delle due sorelle si fondono nello specchio, Juliane capisce di aver perduto la battaglia.

Quando poi inizierà a scrivere per elaborare il dolore, Marianne in carcere ne disprezzerà i temi e i toni, accusandola di aver parlato della persona invece che dell’idea e del collettivo per cui si batte.
D’altra parte, quando la sorella sarà già morta e Juliane proverà a riaccendere i riflettori sulla vicenda, il caporedattore si rifiuterà di pubblicare. Ormai, le dice, la vicenda non interessa più a nessuno e anche se ci sono nuove prove quel caso va dimenticato. Ecco quindi di nuovo il presente che vuole dimenticare il passato negandolo o semplicemente allontanandolo.
Quanto di questa prospettiva sulla realtà sia facile individuare ancora oggi nei dibattiti pubblici è di chiara evidenza. In molti contesti non si vuole parlare con complessità di temi come inquinamento globale, guerre, conflitti di classe e conflitti razziali. Non si vuole porre adeguatamente l’accento sulle responsabilità del passato e del futuro. Attualità non fa rima con lungimiranza. Si può dire quindi che rispetto a quello che Margarethe Von Trotta denunciava non c’è stata evoluzione. D’altronde quello che le tragedie greche hanno affrontato rimane un destino inevitabile.