Nella nuova versione restaurata in 4k di Fino alla fine del mondo, Wim Wenders restituisce una visione organica, senza compromessi con logiche commerciali. Un risultato che appare più ricco e stratificato.
Al cinema dal 9 Dicembre.
Un’odissea Fino alla fine del mondo
Il film appare come un’opera ambiziosa: un ibrido tra fantascienza, road movie e riflessione esistenziale. Ambientato in un futuro prossimo, racconta di un mondo sull’orlo dell’apocalisse ambientale e di un’umanità sempre più dipendente dalle immagini, dalla tecnologia, dai sogni digitali. Al centro, il viaggio: geografico, ma anche psicologico ed esistenziale. I protagonisti attraversano città, continenti, ma soprattutto paure, desideri, sogni e memoria.
Il montaggio perduto
Quando uscì, nel 1991, il film fu pesantemente tagliato: la versione distribuita durava circa 158 minuti, forzata dalle esigenze commerciali. Ma Wenders non era soddisfatto. Due anni dopo diede forma a un Director’s Cut, di circa 287 minuti, che rappresentava la sua vera visione: una narrazione più ampia e complessa, con personaggi meglio definiti, paesaggi più articolati, e tempo per lasciare assaporare l’atmosfera. La versione restaurata in 4K, supervisionata dallo stesso regista, restituisce al film la sua pienezza. Le immagini ricche, i paesaggi vari, le musiche e le sequenze oniriche acquistano una profondità che andava in parte perduta.
Sognare a occhi aperti
Il cuore del film è la riflessione sul rapporto tra uomo e immagine, fra realtà e rappresentazione. Wenders si chiede cosa accade quando le immagini diventano surrogati della vita, quando la tecnologia consente di registrare sogni, di trasferire ricordi, di vedere attraverso dispositivi. E soprattutto, quanto rischiamo di perdere il contatto con la dimensione umana.
A livello visivo, l’opera si articola come un grande viaggio: panorami urbani e naturali, metropoli e deserti, spostamenti incessanti. Un ritmo che diventa metafora dell’epoca contemporanea, della disgregazione, del nomadismo esistenziale.
Anche la colonna sonora, con contributi di artisti rock/pop dell’epoca, rafforza la sensazione di spaesamento e nostalgia, costruendo uno sfondo emotivo che accompagna e, a volte, anticipa l’ansia o la meraviglia dei protagonisti.
Perché (ri)vederlo oggi
La versione restaurata di Fino alla fine del mondo offre qualcosa di raro: un film d’autore che dimostra quanto il cinema possa essere specchio e anticamera del presente. In un’epoca dominata da immagini, social, realtà virtuali, la riflessione di Wenders su tecnologia, alienazione, visione e memoria risuona con forza. Un film che combina con tanta coerenza sguardo autoriale, impegno tematico e potenza estetica. Una versione fondamentale per il pubblico; non solo da vedere, ma da vivere come un’esperienza immersiva e provocatoria.