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‘The Beast in Me’: accordo tra antieroi

Il blocco della scrittrice e il suo lato oscuro, in un bivio morale tra cosa è giusto e cosa è sbagliato

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The Beast in Me

Disponibile dal 13 novembre su Netflix il thriller psicologico The Beast in Me. La serie vede il ritorno della coppia Claire Danes e Howard Gordon, attrice e showrunner dell’iconica Homeland. La miniserie, prodotta da Jodie Foster e Conan O’Brien, è creata da Gabe Rotter (X Files) con Gordon come showrunner. Danes condivide il ruolo da protagonista con Matthew Rhys (The Americans). Otto episodi diretti da tre registi: Antonio Campos, Tyne Rafaeli, e Lila Naugebauer.

Il TRAILER – The Beast in Me

The Beast in Me

Dopo la tragica morte del figlioletto, l’acclamata scrittrice Aggie Wiggs (Claire Danes) si è ritirata dalla vita pubblica, incapace di scrivere e andando sempre più incontro al noto blocco dello scrittore. Ma quando la casa accanto viene acquistata da Nile Jarvis (Matthew Rhys), un famoso e formidabile magnante immobiliare, principale sospettato della scomparsa della moglie, in Aggie subentra un anomalo meccanismo tra paura e fascinazione. La scrittrice dovrà gestire il suo lato oscuro, scappando dai propri demoni.

Il tragico come opportunità

La miniserie Netflix, nei suoi toni tra thriller e noir, pone la protagonista al centro del suo denso e conflittuale plot relazionale. The Beast in Me viene avvolta dalla tradizione dei due generi. La cittadina del New Jersey, luogo atmosferico di scomparse e omicidi, un poliziotto che indaga sul probabile assassino, e la suspence psichica tra i due protagonisti. Queste due componenti vengono però direzionati dal profilo di Claire Danes, la cui interpretazione ricorda per lunghi tratti quella di Carrie Mathison della serie cult Homeland. Non ha un carattere bipolare ma la tragedia alla base del suo vissuto, la morte del figlio, innesca in lei, già dal primo episodio, una dinamica relazionale abbastanza complessa. È compulsiva, isterica, sospettosa per ogni goccia di pioggia o cane che bussa alla sua porta. In più non riesce a uscire dal blocco dello scrittore a causa della tragedia che l’ha coinvolta.

Il romanzo a cui sta lavorando, una storia omosessuale tra due giudici, non prende piede sia in lei che nelle pagine reali. Trovandosi al bivio tra ipoteche e scadenze con la sua casa editrice, Aggie deve trovare una soluzione. Una disperata via d’uscita. E l’incidente scatenante con il nichilista e contorto magante immobiliare è proprio quell’opportunità che la fragilità creativa ed esistenziale della scrittrice cerca disperatamente.

The Beast in Me' Trailer - Claire Danes Has Bloodlust in Netflix Mystery Thriller Series - Bloody Disgusting

Una storia di rivincite e scelte

Il meccanismo di The Beast in Me sembra puntare sul plot relazionale tra interno ed esterno e quello interiore della protagonista. Nel primo episodio Aggie è rinchiusa nel suo fatal flaw, ossia l’ostinato attaccamento a un sistema di sopravvivenza, superato, inservibile, teorizzato da Dara Marks. Così, nell’inizio di The Beast in Me, la scrittrice rimane impantanata nella sua tragedia e nel non superamento di questa. È l’incidente scatenante, l’incontro con il controverso magnante, che attiva il secondo plot tra interno ed esterno. Tra i due nasce una gerarchia tra personaggi contrapposti con obbiettivi inizialmente diversi ma che si allineano verso un comune orizzonte: superare la reciproca fase di stallo.

Jarvis in qualsiasi crime o thriller sarebbe il cattivo della storia, e andando avanti con la serie sicuramente lo sarà, ma è anche la molla vitale che rigenera il personaggio di Aggie, producendo nella sua voglia di riprendere l’ispirazione il paradigma antieroico verso il quale tende dal secondo episodio. In questa struttura episodica, abbastanza contorta ma fluida, la tragedia diventa un’opportunità. Il modus operandi criminoso del magnante scatena in Aggie un transfert e un passaggio evidente dalla paura alla fascinazione. Il tragico così attraversa la moralità fragile della scrittrice superando il confine rischioso tra bene e male.

Claire Danes tornata ai livelli di Homeland

In The Beast in Me si riforma la gloriosa accoppiata Danes/Gordon che ha fatto la fortuna della spy story politica Homeland, la serie di Showtime vincitrice di ben cinque Golden Globe. Con Homeland  la miniserie Netflix condivide alcuni aspetti. Il personaggio interpretato da Claire Danes, disorientato e imprevedibile, riprende per larga parte una dinamica già vista tra Carrie Mathison (un richiamo riscontrabile anche nella sua dissociazione sociale) e il marine Brody. Entrambi sono affascinati dal proprio lato oscuro, internamente eccitati da ciò che potrebbero ricevere l’uno dall’altro.
Siamo davanti a due antieroi. Un cattivo evidente e un agnello indifeso, la scrittrice, verso una palese mutazione opportunistica. Il contrario dell’archetipo eroico.

Nemmeno si contano le situazioni nelle quali in Homeland si è assistito all’irruenza egoistica dell’analista della CIA per i propri tornaconti, scelte sbagliate che causavano il caos politico e diplomatico ma di cui Mathison non si curava. Così testardamente decisa ad arrivare al suo obbiettivo.

Ugualmente, quando Aggie propone a Jarvis un libro-inchiesta sulla sua verità, o presunta tale, i primi piani immersivi del regista Campos suggeriscono la fascinazione dell’alterego della scrittrice verso il suo lato oscuro. Un’opportunità oltre ciò che è giusto e sbagliato, favorendo la propria e individuale linea d’orizzonte. Ovviamente The Beast in Me suggerisce un probabile rientro della protagonista nella sfera del bene, riposizionando il magnante nella sua funzione di villain (come dimostra il controllo quasi da gangster che il contorto immobiliarista ha sulle istituzioni e sull’F.B.I. che indaga). Ma come ben suggerisce il titolo, siamo dinnanzi a una miniserie sulla negazione della moralità umana.

Le due bestie sono in una stanza anti-etica dove i colpi bassi non sono esclusi, e l’arco narrativo di Aggie dipenderà soltanto da quanto il suo personaggio vorrà realmente farsi travolgere dal suo nemesi-alleato.

The Beast in Me' Review: Netflix Series ft. Claire Danes Is Too Timid

La fotografia di Lyle Vincent

Grazie all’affermazione e alla posizione centrale di cable tv come la HBO, l’estetica televisiva degli ultimi anni (se non decenni) è cambiata assottigliando sempre di più il confine tra cinema e serialità. In The Beast in Me emerge il lavoro sontuoso del direttore della fotografia Lyle Vincent, muovendosi un po’ come “il principe dell’oscurità” Gordon Willis. Lo stile visivo della miniserie ricorda Il Padrino di Francis Ford Coppola; composizioni simmetriche e un controllo meticoloso creano un’atmosfera scarsamente illuminata e oscura. L’estetica della miniserie replica l’aspetto di un film girato su pellicola da 35mm.

Per fare ciò Vincent ha manipolato il colore usando una Arri Alexa 35 con un mix di obiettivi anamorfici Panavision Ultra Panatar e obiettivi sferici a focale fissa e zoom Primo. Inoltre il direttore della fotografia, per spingersi oltre i limiti televisivi, si è servito di lenti a diottrie divise per manipolare la messa a fuoco mentre la profondità di campo ha la funzione di far immergere il pubblico nel mondo di Aggie. Vincent aveva dato ampia dimostrazione della sua capacità di unire illuminazione e narrazione già in un’altra serie noir, The Staircase. Così fa anche nella serie Netflix usando essenzialmente inquadrature di stacco per suscitare, grazie alla fotografia, una risposta emotiva molto più profonda.

The Beast in Me, quindi, già nei suoi primi episodi si impone nella sua declinazione psicologica e morale della forma seriale. Anche attraverso al suo eccezionale lavoro tecnico, il thriller-noir diventa un viaggio tortuoso nella metamorfosi della coscienza umana. Se riuscirà a evitare possibili pericoli di natura melodrammatica o troppo basati sull’intreccio, il dramma di Netflix non potrà che candidarsi come una delle migliori serie del 2025.

 

  • Anno: 2025
  • Durata: 50'
  • Distribuzione: Netflix
  • Genere: thriller noir
  • Nazionalita: Usa
  • Data di uscita: 13-November-2025