Connect with us

Medfilm Festival

‘Calle Malaga’ di Maryam Touzani, la poesia del corpo come forma di resistenza

Maryam Touzani in un momento di grazia: gira un film capace di raccontare con ironia, delicatezza e poesia la tragica condizione dei conflitti familiari.

Pubblicato

il

In un’epoca in cui risulta quasi impossibile svincolare la portata etica di un’opera artistica dal contesto socio-economico in cui viene prodotta, e, in ultima istanza, dalla sua possibile portata simbolica rispetto al conflitto più lacerante dei nostri giorni – quello tra coloni e colonizzati – anche il film di Maryam Touzani appare dotato, nella sua apparentemente innocua patina intimista, di un forte valore politico.

La sua forza emotiva travalica i limiti generazionali e ci costringe a riflettere sulla mancanza di pietà e sulla resistenza interiore dell’essere umano.
Sì, formalmente si tratta della storia di una donna anziana e di sua figlia in difficoltà. Ma ciò che vibra più a fondo è una domanda scomoda: con quale diritto ci appropriamo del terreno degli altri?

Due solitudini in conflitto

La donna anziana, ormai sola, si chiama María Ángeles. Vive l’ultima parte della sua vita in indipendenza e armonia con il mondo circostante, seguendo con leggerezza la propria routine quotidiana; sua figlia Clara, in crisi matrimoniale ed economica, vive invece una profonda depressione.
Una cosa le unisce: la solitudine.

È nello spazio di queste due solitudini che il film scava, scegliendo di dare voce alla madre, la donna più anziana.
Fiera, ironica, libera, María Ángeles viene improvvisamente “colonizzata” dalla figlia che, per sopravvivere, è pronta a sacrificare la serenità della madre. Una colonizzazione affettiva e domestica, spinta da paura e disperazione. L’abilità della regista sta nel non cedere al giudizio facile, pur lasciando che le contraddizioni si mostrino. Non ci convince però l’equidistanza della regista dalle ragioni delle sue protagoniste, equidistanza espressa anche verbalmente nel suo intervento finale al MedFilmFest di cui Calle Malaga è stato il film d’apertura.

Ma andiamo per ordine.

L’arte di resistere con grazia

María Ángeles non nasconde l’astio, né la paura. La sua mortificazione di fronte alla decisione unilaterale della figlia ha solo l’apparenza di una resa disarmata. Reagisce con creatività e lucidità, anche di fronte alla delusione.
Straordinaria la sequenza iniziale in cui prepara con cura il pranzo per Clara: un gesto che annuncia l’arrivo di un grande amore che s’infrange contro una cinica e arida realtà.
Le due donne si allontanano, ciascuna lungo il proprio percorso di autodeterminazione.
Chi delle due soccomberà?

Poco importa a Maryam Touzani, al suo terzo lungometraggio e al primo in lingua spagnola. Ci trascina in un vortice poetico di immagini, suoni e colori tanto realistici quanto sospesi, con uno sguardo che accompagna María Ángeles fino a farci letteralmente diventare lei. Dettagli, inquadrature materiche che riproducono lo sguardo della protagonista sulle cose come fosse una carezza fragile e tuttavia ricca di memoria.

La bravura di Carmen Maura, classe 1945, regala al film un ponte tra generazioni cinematografiche: un ritorno potente, maturo, libero dall’ossessione della giovinezza.
Quando nella vita di María Ángeles irrompe lo straordinario, prima come violenza e perdita, poi come sorprendente rinascita, la protagonista trasforma il danno in possibilità, con un’arte che solo l’età può insegnare.

 

Carmen Maura, Marta Etura interpretano Maria Angels e la figlia Clara

 

Il tempo è un bambino che gioca coi dadi

I temi si moltiplicano: l’appartenenza alla casa come radice identitaria, la vecchiaia come desiderio di autonomia, la città di Tangeri come personaggio a sé stante, di confine, crocevia di culture spagnole e marocchine. E come Tangeri sono molti gli oggetti che prendono vita, trasformandosi in veri e propri personaggi: la sedia a dondolo, il giradischi, il mortaio…

In che modo si intende il tema della morte, in relazione alla vecchiaia? In una scena in cui María Ángeles al cimitero, come racconta Maryam Touzani, la vediamo prendersi cura delle tombe altrui oltre che di quella del marito, e poi “giocare” con i frammenti di una lapide come se fosse un puzzle da ricomporre. Il sistema, e la figlia, la vorrebbero prossima alla fine, relegata al silenzio.
Ma María Ángeles, come il tempo di Eraclito, gioca coi resti del mondo, con la stessa innocenza di un bambino che lancia i dadi. In quel gesto, lieve e sovversivo, la morte perde il suo dominio e diventa parte del gioco della vita.

La voce della regista

Nelle domande aperte che seguono, raccolte la sera dell’inaugurazione del MedFilm Festival, emerge una regista mite, tollerante verso i suoi personaggi. Ignara, forse, di quanto profondo sia il viaggio emotivo che ci ha fatto compiere.

«Per il finale avevo bisogno di rimanere nell’emozione di queste due donne, di compiere un cammino insieme a Clara, la figlia. Per me quel percorso inizia davvero nel momento in cui Clara tocca la sedia a dondolo: in quel gesto si concentra l’assenza della madre, ma anche la sua presenza viva.»

Clara è davanti a un dilemma: può tagliare i legami per sopravvivere o restare accanto alla madre rispettandone i desideri. E il pubblico resta sospeso con lei.

«Volevo un finale aperto perché nella vita è raro avere finali felici. È più vero lasciarsi attraversare dai sentimenti. È quello che ho fatto anch’io con questo film.»

La verità degli estremi

«Ho trascorso molto tempo nella casa di cura di Tangeri che si vede nel film.
Ci sono passata tante volte, mia nonna spagnola è stata ospite lì, e anche i nonni di alcuni miei amici.
Credo che la verità stia agli estremi della vita: nei più piccoli e nei più anziani, gli unici davvero liberi e senza maschere.»

La regista spiega di aver voluto celebrare la vecchiaia, rendendola un atto di bellezza.
Un’età in cui si può ancora dire la verità, lasciare un testamento emotivo, riscoprire la libertà, anche attraverso il corpo e la sessualità.

«Volevo mostrare una donna che riscopre la propria sensualità senza vergogna. Siamo la stessa persona, a vent’anni come a settanta. Non dobbiamo farci rinchiudere in modelli sociali su come si deve invecchiare.»

Nel rapporto tra María Ángeles e l’antiquario c’è questa libertà: quella di lasciarsi guardare e toccare, di sentirsi viva.
È una scena di verità, non di provocazione.

Lingua e identità

«Il film è nato dal desiderio di tornare a dialogare con mia madre. L’ho scritto in spagnolo perché è la lingua dei miei affetti, quella di casa. Tangeri è un luogo di confine, permeato dalla cultura spagnola, e io volevo celebrare questa ricchezza.»

Quando sono nata, la mia nonna spagnola viveva già con i miei genitori a Tangeri. Come molti
spagnoli, si era trasferita lì da bambina e vi era rimasta per il resto della sua vita. Non avrebbe mai
potuto immaginare di lasciare la città che adorava, la sua città. Oggi riposa in un cimitero dimenticato
di Tangeri, insieme ad altri che, come lei, hanno scelto questa terra come casa. Crescendo, ho visto
i suoi amici – parte della grande comunità spagnola – lottare per evitare di essere sradicati. Erano
spesso incompresi dai loro figli, che si erano trasferiti in Spagna e volevano che li seguissero.
Quell’attaccamento viscerale mi ha commosso profondamente. Ho sentito il bisogno di esplorare
questo forte legame, e il personaggio di María Ángeles ha finito per incarnare non solo quel desiderio,
ma anche altri interrogativi che mi tormentavano da anni
(Maryam Touzani)

Attraverso Calle Málaga, Maryam Touzani rende omaggio alle comunità spagnole presenti sul territorio, ma anche a tutte le identità che convivono in un corpo solo, come in un’unica casa.

La regista risponde alle domande al MEDFilmFest -Foto @Angelica Alemanno

Calle Malaga

  • Anno: 2025
  • Durata: 116'
  • Distribuzione: Movies Inspired
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Marocco, Francia, Spagna, Germania e Belgio
  • Regia: Maryam Touzani