Connect with us

Approfondimenti

Woody Allen tra Bergman e Fellini

Il cinema hollywoodiano europeo

Pubblicato

il

Woody Allen

Il regista-scrittore è un artigiano del cinema capace di citare per creare qualcosa di nuovo. Il classico così viene continuamente modificato, risultando attraverso l’estetica e la visione dell’autore qualcosa che prima non c’era e che adesso c’è. Woody Allen in questo è stato da sempre capace di collegare i suoi miti con la sua vita, rendendo per immagini la complessità esistenziale dell’individuo sempre fuori posto.

Nella sua filmografia i riecheggi bergmaniani e felliniani vengono costantemente usati evolvendo e trasformando la figura dell’eterno innamorato e dello scrittore in crisi. Ma anche un artigiano infallibile e raffinato come Allen non è senza macchia nel suo sconfinato citazionismo, creando l’originale dal conosciuto o ripetendo in chiave contemporanea immagini che ha visto già.

Il transfert tra ispirazione e riproduzione, però, è lo strumento che Allen previlegia per mettere in scena una commedia tra l’America e l’Europa. Un  periodo, quello della New Hollywood, pieno di destrutturazioni anti tradizionali del cinema americano pienamente orientate al neorealismo europeo. Così Woody Allen non ha solo riformato il cinema e il genere della commedia, ma in primis creato un ibrido del nuovo regista diviso tra la classicità dell’industria americana e quella prettamente europea.

 Il “rimatrimonio” dei non coniugi

Già in Amore e Guerra (1975), nella grottesca filosofica parodia di Lev Tolstoj, Allen assume una sua personale forma citazionista per far rivivere, attraverso i suoi film, il maestro svedese. Boris, l’alterego di Woody Allen nel film, dialoga ironicamente con la Morte con un evidente richiamo a Il settimo sigillo (1957). Anche se viene usato un dispositivo prettamente autoironico, l’opera riprende i dilemmi morali e metafisici propri di Ingmar Bergman: la fede, il destino, il senso della vita, la paura della morte.

Amore e guerra (1975) di Woody Allen - Recensione | Quinlan.it

E la Sonia di Diane Keaton, nella sua realista e filosofica interazione con Boris, è il personaggio scatenante che riprende la dinamica relazionale della coppia bergmaniana in cui l’amore è filosofia e il suo contrario. Perché in questo suo secondo periodo, lasciati i panni del tipico personaggio da slapstick comedy, il cineasta newyorkese si occupa di prendere la tradizione e farla propria, inserendo quella “soggettiva libera indiretta” pasoliniana piena di decadimento culturale ed esistenziale che ne rappresenterà il mantra stilistico dell’Allen autore.

Dentro e fuori Bergman

Tre sono i film, parafrasando la studiosa Elena Dagrada, rappresentativi del “giorno e la notte” di Bergman in Woody Allen: Annie Hall (1977), Interiors (1978), Manhattan (1979). In questi tre titoli Allen passa dalla commedia urbana al dramma famigliare del maestro svedese. Tale percorso autoriale rende visibile l’influenza massiccia di Bergman in tematiche ed estetica, rielaborate da Woody Allen all’interno del cinema americano. In Annie Hall  ci viene mostrata una potente fascinazione verso Bergman che va oltre il citazionismo materiale ( il poster di Persona che appare dietro Alvy e Annie nella scena del cinema).

Annie Hall (1977) - Turner Classic Movies

È cosi reverenziale il rispetto che Allen nutre per il maestro che il suo alterego rifiuta di entrare a vedere il film di Bergman, sottolineando, implicitamente, il riferimento culturale che l’autore svedese ha sempre avuto per l’autore americano. L’impatto bergmaniano esteticamente si evince per il rifiuto per il campo e controcampo (quasi totale), ma è nelle relazioni di coppia che il riferimento diventa abbastanza esplicito; Alvy e Annie mettono in scena un “rimatrimonio” da non sposati: la nevrosi dell’individuo contemporaneo, il conflitto-scontro della convivenza come gabbia matrimoniale, vengono rielaborati da Allen in una commedia privata in cui Bergman viene usato per approfondire il Woody persona attraverso la dimensione relazione del regista svedese.

L’immagine unica di due registi

Mentre con Annie Hall Allen introduce archetipi bergmaniani col la sua innovativa e personale ironia, è Interiors  il caso in cui i due mondi dei due registi si uniscono in modo evidente. È un dramma Interiors, il primo per Allen per toni e senza la sua partecipazione attoriale. L’opera è un figlio quasi legittimo di Sussurri e grida (1972). Il trauma famigliare che vede al centro la madre interpretata da Geraldine Page nel suo rapporto con le figlie, è legato ad una forma così vicina al mondo del cineasta svedese tanto da sembrarne un suo film.

La casa sulla spiaggia (caratteristica di Bergman), i colori freddi e l’ambientazione minimale, escludono la comicità tipica di Allen in favore del teatro asettico bergmaniano composto da lunghissimi silenzi, aperture sui volti e universali riprese su ambiente e personaggi. Tipologia visiva con la quale Allen richiama il Bergman più interessato allo spazio algido e al realismo freddo, e quello di Persona (1966) in cui si riconosce l’importanza del viso come rappresentazione emotiva del dramma. Indubbiamente Interiors richiama un’aderenza al testo citazionista escludendo totalmente la spontaneità di Allen. Un film comunque rischioso e riuscito che segna il passaggio dalla commedia tipica del Woody Allen ’70 al  tentativo di sperimentare oltre ogni logica commerciale.

Nick-Davis.com: Interiors

Il “rimatrimonio” tra non coniugi viene recuperato nell’opera forse più simbolica in termini ambientali ed estetici di Allen: Manhattan. Pur avendo al centro la città come protagonista onnipresente e guardando più al neorealismo francese tipicamente godardiano, la relazione tra Ike, Tracy e Mary ritrova uno splendido equilibrio tra comicità e dramma esistenziale. Manhattan è un po’ il giusto compromesso tra Annie Hall e Interiors conservando e mantenendo per tutto il film il suo “giorno e la notte”.

La contrazione e la fragilità della coppia contemporanea

Scene da un matrimonio (1973), già riferimento per Annie Hall, nel bianco e nero sulla città per eccellenza viene usato nuovamente per analizzare la crisi di coppia. L’aspetto più interessante del film è la sua vicinanza e distanza con Bergman; il regista svedese ispeziona la relazione amorosa come spazio di verità attraverso Johan e Marianne (i protagonisti della miniserie) incarnando la tensione tra il desiderio di libertà e il bisogno di sicurezza. In Manhattan, invece, la coppia non è più il luogo di analisi metafisica, ma diventa lo scenario dove la crisi moderna dell’amore (sociologica e culturale) trova la sua attuazione più irriverente e disincantata.

Ike/Allen con il triangolo Mary e Tracy espone le insicurezze dell’intellettuale borghese alle prese con le sue nevrosi e la mutazione tra eterna giovinezza e maturità interiore. Se i protagonisti di Scene da un matrimonio vivono della tossicità della loro relazione, l’intreccio amoroso in Manhattan prende il narcisismo dell’amore ripulendolo dal proprio individualismo : la sconfitta così diventa una costante reale dell’esperienza umana. Lo dice anche Tracy ad Ike alla fine del film costringendolo ad aspettare il lieto fine romantico al termine del suo viaggio-studio parigino.

Manhattan - Woody Allen (1979) - 3/3 - DO.RO. Pillole di Teatro

In concreto quindi Bergman tende al minimalismo psicologico, Allen all’intreccio corale narrativo. Per il maestro svedese la coppia è un campo di rilevazione e autenticità per certi versi crudele. Per  il cineasta newyorkese la fragilità dell’esposizione all’amore e il mettersi in gioco, sono essi stessi la forma dell’amore. Un esempio straordinario che Woody Allen ha insegnato nel tempo a tanti registi derivativi di grandi maestri del cinema: la citazione è il mezzo per arrivare alla propria voce.

Lo scrittore in crisi

Non solo Bergman ma anche Federico Fellini. Allen incomincia a riferirsi al regista italiano già nel film ad episodi del suo periodo slaspstick : Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* *ma non avete mai osato chiedere ; nell’Italia stereotipata, appunto felliniana, Faustino/Allen cerca un modo per soddisfare la moglie bolognese Gina, un contesto caricaturale dove desiderio ed erotismo sono il palcoscenico di travestimento lussurioso del primo Fellini.

Ma la principale fascinazione felliniana per Allen è nella figura del Mastroianni-Guido Anselmi di (1963). L’artista in crisi, scrittore, professore o regista, lo ritroviamo in diverse opere del cineasta newyorkese. In alcune riesce bene a calibrare i due mondi, quello europeo e americano, in altre sconfina (come avvenuto per Bergman) in un’emulazione fine a se stessa.

Il remake di

Il caso più emblematico e vistoso è quello di Stardust Memories (1980), ritenuto da molti critici il remake americano di . Il protagonista del film, il regista Sandy Bates, come lo stesso Allen vuole smettere di fare slapstick per passare ad un cinema prettamente d’autore. E come il Guido Anselmi felliniano è assediato dai fan e dalla troupe, alienato e disgustato dalla superficialità che lo circonda.

In Stardust Memories  viene ironizzata, e quasi parodizzata, la figura di Anselmi come profeta del cinema, distanziandosi quindi da nella riconciliazione finale: per Sandy Bates il fallimento dell’autore sta proprio nel pubblico che non comprende la sua trasformazione. Un regista intrappolato nel suo ego e in un cinema che non guarisce e non redime. Allo stesso tempo Allen gioca, proprio come Fellini, con i sogni, i piani onirici, l’interruzione del suono, rafforzando l’estetica del regista italiano con ombre morbide e volti eccentrici.

L’intenzione di Allen è riprendere i modus operandi felliniani sostituendo il poetico-ermetico con l’ironico-disilluso. Il risultato è una copia sbiadita che estromette Woody Allen da se stesso sottolineando il pericolo derivativo che invece il cineasta newyorkese aveva in parte evitato, a proposito di Ingmar Bergman, in Manhattan.

Hall of Mirrors – Stardust Memories (1980) by Woody Allen | After Images

L’immagine-sogno dall’abisso psichico all’armonia del presente

Lo scrittore in crisi viene, invece, usato con originalità in una delle ultime citazioni contemporanee di Fellini dell’ultimo Allen. In Midnight in Paris (2011) il conflitto creativo viene risolto attraverso la fuga nostalgica non nel presente (come fa Sandy Bates rifugiandosi in un hotel termale del New Jersey e Guido Anselmi a Chianciano Terme), ma nel passato della storia dell’arte che per l’occasione viene addolcito diventando magico e romantico.

Gil Pender, interpretato da Owen Wilson, è il classico alterego di Allen anni ’70 : uno sceneggiatore hollywoodiano in crisi stanco dell’industria americana, e come si vedrà nel film, anche della sua fidanzata (complici i genitori di lei). Come accade ad Anselmi anche la crisi di Gill è dettata dall’impossibilità di conciliare la vita quotidiana (fatta di compromessi e vincoli sociali) con il desiderio di un’autenticità interiore e spirituale.

Il fuggire dell’esistenza e della conoscenza

La fuga onirica che l’ennesimo alterego di Allen compie, popolata di incontri con i miti dell’arte da Hemingway a Dalì, è un tipico meccanismo felliniano ; come nei sogni e nei ricordi di  la dimensione fantastica inizia nell’interiorità del personaggio-regista (nel caso di Midnight in Paris lo sceneggiatore) che rielabora la propria vocazione e identità. La differenza, però, con Fellini è nel come Allen si approccia al fantastico: l’onirico non è più inquieto ma idilliaco, l’immagine-sogno non conduce più il protagonista nell’abisso della sua psiche ma ad una riconciliazione armoniosa con se stesso.

Time Crisis: MIDNIGHT IN PARIS

In il sogno è dentro un processo di frammentazione dell’io mentre nel film di Woody Allen esso ha la funzione di estetizzare il passato per modificare il presente di Gill. L’operazione di Midnight in Paris, quindi, può essere letta come una mitizzazione consapevole della nostalgia: lo sceneggiatore alleniano, a differenza del malinconico regista felliniano, comprende che l’arte nasce dalla tensione tra realtà e ideale. La fuga di Gill altro non è che la forza vitale della nostalgia del passato. Finalmente la crisi dell’artista trova la sua risoluzione non rinchiudendosi nel caos (come fa Guido Anselmi) ma vivendo mediante l’illusione del sogno. Il fuggire diventa forma di conoscenza ed esistenza.

Attraversando la commedia e il dramma, Bergman e Fellini, Woody Allen ha rielaborato la crisi delle relazioni e dell’artista adattandoli al contesto americano. Un percorso rischioso, graduale e per nulla scontato che ha permesso ad Allen, a ragione, di paragonarsi ai grandi della storia del cinema.