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Euro Balkan Film Festival

Il poetico caos di Emir Kusturica

Un viaggio nell'universo visionario di Emir Kusturica: la storia di un autore che ha trasformato il disordine della vita in arte cinematografica.

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Emir Kusturica

Dal 30 ottobre al 6 novembre si terrà a Roma l’ottava edizione dell’Euro Balkan Film Festival dedicato al cinema di un’Europa troppo spesso tenuta celata. Si tratta di otto giorni durante i quali, tra film, workshop e masterclass, sarà protagonista una generazione di artisti balcani in grado di rielaborare le sofferenze e la memoria di un paese trasformandole in racconto. 

Questa edizione si concluderà il 6 novembre con un omaggio al celebre Emir Kusturica con la proiezione del suo primo film, Ti ricordi di Dolly Bell?, che vede la partecipazione dello stesso. 

Kusturica è una figura fondamentale nel panorama cinematografico balcanico e internazionale. Capace di fondere memoria individuale e collettiva, ha dato voce alle popolazioni balcaniche e alle loro storie attraverso il suo cinema. 

Sembra dunque doveroso dedicare un piccolo approfondimento alla storia di un artista così eclettico e le cui opere sono di così rilievo per comprendere le contraddizioni e i tormenti di un’intera popolazione.

Emir Kusturica nasce a Sarajevo nel 1954. Artista poliedrico, è regista, musicista e scrittore, una delle figure più anticonformiste e insolite nel cinema europeo contemporaneo. Si inserisce all’interno della così chiamata seconda generazione del Prague Group che comprende quel circolo di registi che si sono formati negli anni Sessanta all’interno della celebre accademia FAMU di Praga.

Tra realismo magico e grottesco

Sin dalle sue prime opere, Kusturica ha dimostrato la sua propensione a fondere realismo e quotidianità con elementi fiabeschi e grotteschi creando degli universi dominati da eccessi, esuberanza e vitalismo. Per questo motivo è stato accostato dalla critica alla corrente del realismo magico. La realtà, mai resa in maniera lineare, divampa in una dimensione universale. Nei mondi creati da Kusturica le feste sono metafore della vita, dominate da caos e contraddizioni e popolate da personaggi caricaturali e farseschi.

I suoi film sono stati descritti in svariate occasioni come un pastiche, egli infatti si muove fin dagli esordi in un territorio ai confini tra realismo e favola.

Il cinema di Emir Kusturica rimane in bilico tra la volontà di raccontare la vita quotidiana e la tentazione invece di trascenderla con un linguaggio visionario e grottesco. Il regista serbo ha più volte dichiarato, a tal proposito, di vedere in Fellini, uno dei registi emblematici del genere, il suo “padre cinematografico”. È indubbio il nesso che il suo cinema ha con i film del maestro riminese in cui sogno e realtà, memoria e immaginazione si congiungono in un intrigante mosaico. La sua concezione vede come protagonisti il paradosso e l’assurdo, a questo riguardo egli stesso dichiarò, riassumendo la sua visione, che “la magia? Rende le cose più leggere” e si trasforma in una chiave per affrontare il reale piuttosto che per evaderlo.

Gli esordi e il successo internazionale

Il suo esordio al cinema avviene nel 1981 con Ti ricordi di Dolly Bell?, film che gli è valso il Leone d’Oro al festival di Venezia come miglior opera prima segnando l’istantanea entrata nel panorama internazionale. La pellicola, tratta da un romanzo di Abdullah Sidran, che collabora anche alla sceneggiatura, narra la giovinezza nella Sarajevo degli anni Sessanta sospesa tra idealismo e disincanto. Il primo film di Kusturica è un racconto di formazione nel quale vengono già a configurarsi questioni che saranno poi radicali nei suoi lavori futuri.

Quattro anni dopo, nel 1985, esce Papà…è in viaggio d’affari grazie al quale il regista serbo vince la Palma d’Oro a Cannes. Con questo secondo film il suo stile distintivo, grottesco e poetico, in grado di unire l’ironia al tormento, viene perfezionato ulteriormente. Attraverso la narrazione di un dramma intriso di memoria e malinconia una tragedia individuale si fonde con la storia politica di un paese frantumato. 

Le sue opere cinematografiche sono quelle che hanno portato le popolazioni zingare ad acquisire un posto all’interno del panorama cinematografico. I suoi film infatti espongono elementi antropologici e sociologici di tale cultura interpretata come meticcia, dove l’alterità si rivela essere fonte di ricchezza. Questi aspetti si riflettono in maniera preponderante nel cinema di Kusturica, ricco di elementi talvolta eclettici, un cinema vivace e dinamico e che gli ha regalato la nomea di essere un creatore di mondi più che di pellicole cinematografiche.

La musica come linguaggio cinematografico

Il tempo dei gitani, uno dei suoi film forse più emblematici, viene diretto nel 1988. Qui Kusturica ricrea una realtà surreale e grottesca spinto anche dalla sua fascinazione per gli elementi antropologici, mitologici e favolistici di queste popolazioni. Narra la storia di un giovane gitano, Perhan (Davor Dujmovic), dotato di poteri telecinetici che finisce in un giro di microcriminalità tra Sarajevo e Milano. Ricco di spiritualità e ironia questo diventa uno dei film più iconici e fondamentali all’interno della filmografia di Kusturica.

Si percepisce per la prima volta anche l’importanza fondamentale per la musica, aspetto che Kusturica cura meticolosamente nelle sue pellicole affiancato dal compositore Goran Bregovic con il quale inizia qui un lungo sodalizio. “Il cinema è più vicino alla musica che alla letteratura” ha affermato il regista stesso. Le melodie balcaniche si intessono nella narrazione divenendone parte integrante. La musica è un aspetto centrale per Kusturica che decide di sviluppare questa arte parallelamente a quella filmica. Fonda infatti nel 1993 la No Smoking Orchestra, una band balcanica che unisce le sonorità tipiche gitane a una vena più punk che dimostra perfettamente l’esplosione di energia anarchica che caratterizza ogni sua opera. La musica è per lui uno strumento utile ad ampliare l’universo narrativo e visivo dei suoi film, una dilatazione del racconto.

America e allegoria: l’approdo internazionale

Esce nel 1993 Arizona Dream tradotto in Italiano come Il valzer del pesce freccia, film peculiare all’interno della sua produzione che vede come protagonisti artisti internazionali come Johnny Depp, Faye Dunaway e Vincent Gallo. Ambientato negli Stati Uniti non abbandona però la vena simbolista del cinema di Kusturica affrontando sempre temi a lui cari come l’innocenza e la spensieratezza, ma anche la disillusione della giovinezza e la fondamentale importanza del sogno come forza per affrontare la vita reale. È con questa pellicola che il regista serbo si aggiudica l’Orso d’argento al festival di Berlino dello stesso anno.

Il ritorno alle proprie origini e la maturità artistica

Due anni dopo si giunge al suo film Underground, nel 1995, quello che porta Kusturica all’apice e che gli permette di consolidarsi come artista e di esprimere al massimo le sue tendenze barocche. Seconda Palma d’Oro al festival di Cannes, questo film rappresenta una metafora della Jugoslavia e della sua storia, ricca di contraddizioni e metamorfosi, narrate tramite Marko (Miki Manojlovic) e Peter (Lazar Ristovski) all’epoca dell’occupazione nazista.

Nel 1998 dirige Gatto nero, gatto bianco con il quale si aggiudica il Leone d’Argento a Venezia, un altro film simbolo dell’arte di Kusturica, ricco di personaggi fortemente caricaturali, di elementi tragici intervallati da una pungente ironia in un continuo susseguirsi di vicende paradossali e grottesche.

Il caos come arte della vita

Dopo alcune opere minori come La vita è un miracolo del 2004 e Promettilo! del 2007, torna alla ribalta nel 2008 con il documentario Maradona by Kusturica. Basato sul celebre calciatore Argentino ripercorrendone la vita, dalle misere origini fino all’enorme successo mondiale toccando anche temi più intimi alla persona come la famiglia e le idee politiche. Si giunge poi nel 2016 a quello che, a oggi, è l’ultimo film di Kusturica, basato su un libro da lui stesso scritto.

Sulla via lattea

On the Milky Road – Sulla Via Lattea, vede come protagonista lo stesso regista a fianco di Monica Bellucci in una storia d’amore in tempo di guerra. Anche in quest’ultima opera conserva il suo stile fortemente allegorico e intriso di simbolismi. Il suo sguardo è dunque rimasto fedele alla confusione barocca e all’ironia tipici delle sue prime pellicole, leitmotiv della sua intera carriera, in grado di trasformare il caos in poesia.