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Alice nella città

Imparare ad ascoltare di nuovo in ‘A Second Life’

Slama firma un'opera sull'isolamento utilizzando l'ipoacusia come metafora dell'incomunicabilità moderna, offrendo un ritratto fragile di una possibile rinascita.

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Cosa significa davvero comunicare, oggi? E quanto spazio lasciamo al silenzio, al corpo, alla distanza che separa due sguardi in una metropoli che corre più veloce di noi? A Second Life di Laurent Slama, fuori concorso ad Alice nella Città 2025 dopo il successo al Tribeca Film Festival, si muove dentro questa domanda come un’eco, una vibrazione che attraversa le strade di una Parigi paralizzata dall’inaugurazione dei Giochi Olimpici. La protagonista, Elisabeth (interpretata dalla magnetica Agathe Rousselle, già musa di Titane), è un’americana con problemi di udito il cui permesso di soggiorno sta per scadere. Per restare in Francia accetta un lavoro come concierge Airbnb, e in questa corsa contro il tempo incontra Elijah. Interpretato da Alex Lawther, famoso per The End of the F**ing World. Due solitudini che si incrociano mentre il mondo intorno a loro sembra correre troppo in fretta.

Girato durante le vere Olimpiadi con una troupe ridotta, il film è un ibrido di realtà e finzione, sospeso tra paesaggio urbano e viaggio intimo. Slama, che molti ricorderanno come l’autore con lo pseudonimo Elisabeth Vogler che realizzò Paris is Us e Roaring 20’s, vincitore a Tribeca per la miglior fotografia. Un nome che sostiene aver preso in prestito da Ingmar Bergman in Persona. Difatti Elisabeth Vogler è un’attrice che improvvisamente smette di parlare.

Ma in A Second Life cambia tono: abbandona il flusso corale e abbraccia un racconto più intimo, un ascolto radicale, un film che non urla ma respira.

A Second Life e il silenzio come protagonista

“Come ci si connette davvero agli altri in un mondo dove le relazioni autentiche sembrano irraggiungibili?”

Scrive Slama. E questa è forse la vera chiave di lettura del film. L’ipoacusia di Elisabeth non è solo una condizione fisica, ma una metafora potente della difficoltà di comunicare nel presente. Il suono, curato da Vincent Cosson è costruito per farci sentire il mondo come lei lo percepisce: interrotto, distorto, ovattato. Ogni rumore diventa barriera o carezza. E più Parigi si fa rumorosa, più il film si ritrae verso l’interno, verso quella soglia sottile tra isolamento e consapevolezza.

Elisabeth stessa a volte si sentirà costretta a togliere gli amplificatori. Proprio per prendersi una pausa da questi stimoli, divenendo dunque la metafora stessa di questa costante iperstimolazione. Stimoli e possibilità provenienti da ogni angolo della città, che al contempo abbandonano. Rendendo i soggetti isolati nella folla che li circonda. Una folla già vista da King Vidor, nel suo film La folla.

La rivalsa della gentilezza

Al centro del giorno che sconvolge Elisabeth c’è Elijah, un giovane californiano che non corre verso la routine. Lui è l’anti-check-in in persona, non ha fretta, vuole connettersi, vuole solo cogliere l’attimo. Non è il salvatore, bensì lo specchio che fa emergere crepe e accende le responsabilità.

“Stiamo tutti cercando un modo di vivere, penso”

Lui coglie il momento, lascia spazio, prova a farsi vicino pur imponendosi. È grazie a quel suo modo che la protagonista trova aperture, brevi appartenenze che, però, rischiano di dissolversi in un’ora. Il film racconta tanto di lui quanto di Elisabeth: due persone che si toccano maldestramente e forse per questo, autenticamente.

Andando avanti nella narrazione scopriamo che anche Elijah è fragile. Le sue protezioni rappresentate anche dai braccialetti di diverse pietre che porta, non possono cancellare del tutto le sue ferite, i suoi traumi. Anche loro sono una barriera fragile, come gli auricolari di Elisabeth, che una volta persi rendono la sua vita quasi impossibile.

L’incomunicabilità in A Second Life

In A Second Life mi concentro sull’esperienza spesso fraintesa e stigmatizzata della perdita dell’udito. A differenza degli occhiali, l’ipoacusia crea barriere, distanza, affaticamento e incertezza.”

Racconta Laurent Slama. Elisabeth e Elijah sin dall’inizio hanno un modo di comunicare diverso. Elizabeth è molto aggressiva, scorbutica, diretta e schiva. Il ragazzo a sua volta completamente l’opposto, cerca costantemente il contatto con il prossimo, sembra amare le connessioni, coltivare i rapporti. Ben presto capiamo però che anche lui è un tipo di connettersi molto particolare. Ad un bar incontra un ragazzo di un locale,  Elisabeth gli chiede se lo rivedrà, ma Elijah ammette che non ne ha la più pallida idea.

Il personaggio pensa dunque di entrare veramente in contatto con le persone, anche con i due ragazzi che poi incontra per strada, ma la verità è un’altra: il rapporto rimane superficiale, non si evolve. Qui nasce il paradosso: è facile fare nuove conoscenze nella massa, ma è altrettanto facile perderle.

Una seconda vita possibile

“Cinque anni fa questa malattia mi ha rubato parte del mio ascolto”

L’apertura è una pugnalata. Elisabeth parla e subito capiamo che non sarà una confessione consolatoria ma un percorso a rischio. Quel monologo iniziale non spiega: evoca. Preannuncia ciò che sta vivendo.

Il titolo: A second life non è retorico, bensì terapeutico. C’è un terremoto emotivo sin dall’inizio, un arcano maggiore che rappresenta la torre. Il numero sedici è simbolo della possibilità di ricostruire dopo il crollo: non sempre sinonimo di fine. Elisabeth attraversa una giornata che è metafora di una rinascita possibile, e il film lo racconta senza soluzioni facili. Il regista non cade nella retorica del riscatto; preferisce la verità delle piccole cose: una telefonata, una camminata, una chiacchierata, il coraggio di restare. Ed è proprio in quel quotidiano che si gioca la seconda vita. Non deve essere un miracolo, ma una conquista lenta e fragile.

A second life non parla di rinascita nel senso classico, ma di riconnessione. Di come, anche in una notte parigina affollata, due persone possano costruire un silenzio condiviso e trovarvi pace. È un’ opera che, come Past Lives, guarda al tempo come a una seconda possibilità di capire chi siamo stati. E nel farlo, ci invita a riascoltare il mondo attraverso nuove orecchie.

 

A second life

  • Anno: 2025
  • Durata: 77 minuti
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Laurent Slama