Nella sezione Onde Corte – Proiezioni Speciali di Alice nella Città è stato presentato Su cane est su miu, l’ultimo cortometraggio di Salvatore Mereu, già proiettato al Festival di Locarno. In poco più di venti minuti, il film racconta la storia di un gruppo di bambini in un paese sardo degli anni Settanta, dove un piccolo incidente — un cane che mangia alcune tortore — scatena una spirale di punizione e sopraffazione.

La brutalità ingiustificata
Mereu sceglie la lingua sarda e un impianto realistico per immergere lo spettatore in un mondo arcaico e isolato, dove i più piccoli ripetono le dinamiche del potere adulto. Le ambientazioni ruvide e la fotografia calda di Francesco Piras restituiscono una Sardegna malinconica, segnata da solitudine e memoria.
Formalmente impeccabile, con la fotografia che valorizza la ruvidità dei paesaggi sardi e la purezza delle luci naturali, Su cane est su miu resta intrappolato in un’ambiguità di fondo: vuole denunciare la violenza, ma finisce solo per riprodurla. La distanza che Mereu manteneva nei suoi lavori migliori – uno spazio per la pietà o per il dubbio – qui scompare, lasciando il posto a un realismo che diventa involontariamente compiacente.
Il film sembra voler riflettere sulla crudeltà precoce, su come l’assenza e la durezza plasmino anche l’infanzia. Ma il risultato è un cortometraggio che non trova una giustificazione estetica o morale alla propria brutalità. La scena centrale, in particolare, sposta l’attenzione dal senso alla rappresentazione del male, lasciando lo spettatore più turbato che arricchito.
Per quanto sia comprensibile il desiderio di raccontare la violenza nascosta nei gesti dei bambini, Su cane est su miu lascia la sensazione che alcune storie, se non accompagnate da una vera urgenza o prospettiva nuova, possano anche non essere raccontate. Il dolore qui non rivela, ma esibisce.