Cosa significa interpretare un padre che non sa più come comportarsi, quando l’amore si scontra con la fede, e la libertà con il silenzio? A raccontarcelo è Miguel Garcés, protagonista maschile di Sundays (Los domingos) di Alauda Ruiz de Azúa, presentato ad Alice nella Città.
Nel film, Garcés interpreta Iñaki, un padre che si muove tra tenerezza e rigidità, incapace di capire del tutto la figlia Ainara, adolescente che sogna di diventare suora.
In questa intervista ci parla della difficoltà di “essere genitore”, di come ogni gesto possa trasformarsi in una ferita o in una carezza, ma anche della magia di lavorare con Blanca Soroa, al suo debutto sul grande schermo. Un dialogo intimo, reale, pieno di sfumature, proprio come il film stesso, che riesce ad unire il dubbio e la grazia, la fede e la fragilità.
Lei comunque interpreta il padre della protagonista e fa parte di una famiglia che in parte è molto progressista, dunque è anche molto liberale per certi versi. Però alla fine, per quanto fosse progressista la famiglia, il padre all’inizio un po’ si impone nella scelta libera che comunque fa poi effettivamente la figlia. Com’è stato interpretare questo paradosso fra essere comunque progressista come famiglia?
Diciamo che la zia è l’elemento più progressista della famiglia, perché si dedica al mondo dell’arte, è un manager culturale, ma in realtà è una famiglia piuttosto tradizionale, con valori tradizionali riguardo alla religione. C’è persino un momento nel film in cui si parla di un prete un po’ “particolare”. Non sono troppo progressisti loro.
Una famiglia di classe medio-alta e piuttosto tradizionale. E il contrasto che segna Iñaki come padre è questo: io dico sempre che è un padre possibile. Cerchiamo sempre un’immagine molto concreta del padre. A volte è un padre che dà amore, oppure è un padre despota, che non si prende cura dei figli.

Ma credo che la cosa interessante di Iñaki, la cosa interessante di un personaggio come un padre, è che “balla” tra più acque. Inoltre, la visione del personaggio che mi ha proposto la regista, Alauda Ruiz de Azúa, era quella di un padre che non fosse molto facile da leggere per Ainara. Che Ainara, guardando suo padre, non arrivasse a capire dove fosse lui come padre.
Quando mi chiedevano com’è per me interpretare questo, mi piace interpretare personaggi che non sono molto definiti e molto chiari, ma che si muovono tra più luoghi. Tra più acque, perché credo che siamo tutti un po’ così. Siamo una mescolanza, non siamo spiriti puri, né abbiamo una definizione pura. Abbiamo sempre le nostre crepe, le nostre esitazioni.
Lavorando con una debuttante, l’attrice protagonista Blanca Soroa, com’è stato lavorare con lei? Il rapporto con lei sul set, come si è evoluto?
È stato meraviglioso, per varie ragioni. Primo, come padre e figlia: io ho un figlio di un’età molto simile. È molto facile guardare una ragazza, un ragazzo di 17 anni, e con lo sguardo hai già tutto. Io che ho questo sentimento paterno, quotidiano, per me era relativamente facile.
Quanto a come è stato lavorare con lei, perché inoltre ricordiamoci si tratta del suo primo lavoro, non aveva mai fatto un film, né una pièce teatrale, cioè non aveva mai recitato, è stato molto bello poterla accompagnare in questo processo. Ho visto come scopriva gli strumenti oppure cercavamo di aiutarla ad affrontare le cose.
E lo ha fatto in modo spettacolare. Sembrava incredibile che fosse il suo primo lavoro, e lo ha portato avanti in modo molto professionale. E poi il nostro rapporto nel lavoro e nelle scene fluiva molto bene.

Blanca era molto onesta con ciò che il suo personaggio doveva sentire e si lasciava permeare molto bene da ciò che io potevo darle o che lei poteva vedere in me. Ed è fantastico, perché non succede sempre nemmeno con attori professionisti. E invece con lei sì: la guardavi negli occhi e ti stava guardando, ti stava ascoltando e stava ricevendo ciò che le stavi dando o le stavi proponendo. E poi te lo restituiva. È stato fantastico lavorare con lei. Fantastico.
E poi credo che a me, al mio personaggio, lei abbia dato una sfumatura che trovo molto bella: nonostante dovessi mostrarmi distante a volte o non comprenderla, la mia tendenza naturale è volerle bene, aiutarla. Il fatto di dovermi separare le dava una consistenza in più al mio personaggio. Perché a me veniva spontaneo volerla aiutare e comprendere, ma dovevo trattenere questo impulso. Quella “contenzione” che dovevo fare io come attore, credo che abbia dato al mio personaggio una sfumatura che forse non è molto evidente, ma che gli dà ricchezza.
Mentre come è avvenuta la preparazione al set, come vi siete approcciati a Sundays, grazie al lavoro di Alauda Ruiz de Azúa?
Il lavoro è stato cercare di trattenermi, e questo dimostra la capacità di Blanca di relazionarsi con me, di andare oltre il personaggio, e questa era la sua prima esperienza. La cosa buona di Alauda come regista è che le piace provare prima. Quindi si prende molto tempo con gli attori individualmente e poi ci riunisce per sequenze, per tutta la famiglia, e questo ti dà l’opportunità di sapere chiaramente cosa vuole da ogni personaggio, o cosa vuole ottenere in determinati momenti.
O cosa vuole chiedere a te in particolare. E poi ti dà l’opportunità di relazionarti con gli altri personaggi, con gli altri attori, e di generare persino, come abbiamo fatto in questo caso, un passato per questa famiglia. Ci sono momenti che nel film non compaiono, ma sono scene che lei scrive e che non si vedranno. Però servono a cementare la nostra relazione, così che poi, nelle sequenze che si vedono, quando c’è una discussione o un silenzio, quel silenzio è pieno di quel lavoro che abbiamo fatto prima. Scene che lo spettatore non vedrà, ma che è dentro la relazione dei personaggi.

Le chiedo ora di uscire dai panni di Iñaki in Sundays per ritornare a sé, lei in quanto padre come avrebbe reagito a questa situazione?
Quando vedi questa situazione in un’altra casa, in un’altra famiglia, è molto facile prendere posizione e dire: “Io farei questo o quello”. Ma quando succede nella tua, credo che ci siano molti più fattori da considerare e bisogna essere molto più cauti. Cioè, posso avere un conflitto con mio figlio, e se quel conflitto provoca troppa frizione tra noi, tiriamo troppo la corda e si spezza, magari il conflitto in due mesi o un anno sparisce, si risolve.
Ma forse abbiamo danneggiato la relazione per sempre. Credo che bisogna fare molta attenzione. Gli elementi non sono gli stessi di quando lo guardi da fuori.
Io indagherei molto, cercherei di capire perché, da dove viene, cosa vuole. E anche se non sono d’accordo, potrei arrivare a comprenderlo. Non mi è mai successo, ma credo che potrei arrivare a comprenderlo senza condividerlo. E se vedo che davvero lo rende felice, anche se mi dà fastidio, è come se decidesse di fare una carriera che non ti piace o di dedicarsi, non so, al pugilato o a qualsiasi altra pratica. Potrò consigliarlo, ma non impedirglielo.
Perché l’importante è restare vicini al figlio. E anche se è vero che non eviterebbe la realtà, cioè, in un momento potrei anche agire come Maite e dire:
“Senti, credo che ti stiano manipolando”
Lo direi con delicatezza ma anche con schiettezza:
“Credo che questo non venga da te, ma da qualcuno che ti sta inducendo a pensarla così”

Tornando al personaggio per lei quale è stata la sfida più difficile da interpretare? C’è forse una scena in cui ha detto: “Ok, è difficile rappresentarlo perché io, come persona, faccio fatica a reagire così”?
Cioè, una scena in particolare che ricorda. Ci sono stati momenti in cui era in gioco una discussione, una conversazione, ma dove erano presenti tutti i membri della famiglia. Dunque le figlie piccole, mia sorella, mia madre. Tutti sapevano, e Iñaki sapeva, che lì ogni cosa che dicesse sarebbe stata percepita in modo diverso da ciascuno. Credo che quella fosse la scena più difficile: trovare il tono giusto, dire chiaramente le cose, ma trattenendosi perché c’erano anche gli altri elementi della famiglia.
Cioè, la difficoltà veniva dalla quantità di cose che c’erano sul tavolo. Ogni decisione riguardo al genere metteva ogni membro della famiglia in una situazione difficile, di gestione e scelta. C’erano tantissimi fattori in gioco, non solo la decisione di prendere i voti.