Una occasione speciale: la prima volta che Sarah Shahverdi segue il film di cui è protagonista, Cutting Through Rocks, fuori dall’Iran, in sala con il pubblico. Succede al festival DMZ Docs di Seoul, al termine del quale la giuria decide di assegnare il Premio Speciale allo stesso film. Un premio che si affianca a quello ben più prestigioso conquistato al Sundance all’inizio dell’anno, e che conferma la qualità di questo documentario: premiato all’anteprima italiana al Giffoni, da poco proiettato nuovamente anche in Italia al Middle East Now Festival, dove ha conquistato un altro riconoscimento.
In questa cornice, Taxidrivers ha avuto l’onore di sedersi per primo al tavolo con i due registi, Sara Khaki e Mohammadreza Eyni, e la loro protagonista. Più che una intervista è stato un confronto aperto, stimolato dai contenuti del film: abbiamo parlato del temperamento unico di Sarah; del cambiamento e della difficoltà di mettere in pratica certe scelte in un contesto di tradizioni radicate; della tenacia e della maternità. I registi Khaki e Eyni, dopo ben sette anni di produzione e una collaborazione professionale che è sfociata in matrimonio, raccontano di un progetto costruito passo passo integrandosi alla comunità di appartenenza e aderendo alla missione di Sarah stessa. Per il bene della comunità e delle ragazze a cui la lotta quotidiana di Sarah è dedicata, in una società in cui le discriminazioni di genere determinano il futuro delle giovani e sono ancora ben presenti. Ostetrica del villaggio Azeri, del quale poi diventa la prima consigliera donna, Sarah è a tutti gli effetti anche la prima attivista per l’eguaglianza di genere di quella comunità.
Per niente avidi di dettagli, Sarah Shahverdi, Sara Khaki e Mohammadreza Eyni si raccontano onestamente condividendo aneddoti che riguardano la loro cultura e ciò che ha rappresentato camminare insieme tutti quegli anni per realizzare Cutting Through Rocks.
I registi hanno aiutato a tradurre le parole di Sarah, regalando un contributo impagabile alla comprensione di questa intervista. Quello che leggerete quindi sono le traduzioni offerte alle parole di Sarah Shahverdi, oltre che ai commenti stessi di Sara Khaki e Mohammadreza Eyni.
Cutting Through Rocks, l’intervista
Devo dire che sono emozionata, perché è una grande occasione essere la prima a poter intervistare tutti e tre insieme. Quindi grazie.
[Mohammadreza Eyni]
Grazie mille a te. Anche per noi è una grande opportunità, perché è la prima volta che noi tre ci troviamo insieme dopo aver terminato il film e averlo mostrato al pubblico.
Adesso è il nostro momento per parlare. Eravamo dietro la macchina da presa e Sarah davanti, ma adesso siamo insieme.
Allora cominciamo: come ti senti Sarah? Hai finalmente avuto un contatto con il pubblico. Il documentario è stato visto, la tua storia è stata conosciuta. Com’è?
[Sarah Shahverdi]
In realtà non mi ero resa conto di quante battaglie stessi combattendo, perché le stavo vivendo in quel momento e sono diventate normali per me. Ora che [ho visto il film e] me ne rendo conto, è stato davvero interessante vedere quante lotte ho affrontato. E in più ho capito la forza dei filmmaker, che sono riusciti a catturare tutto questo.
Una cosa è vivere quel momento e lasciarselo alle spalle; un’altra è riviverlo guardando il materiale e montandolo fino a farlo diventare ciò che è ora. È una dimostrazione di quanto i registi siano stati ponderati e coraggiosi.
[Sara Khaki]
Questo è molto carino da parte tua.
[Sarah Shahverdi]
Però sono arrivata a un punto in cui ero troppo emozionata e sono dovuta uscire dalla sala.
[Mohammadreza Eyni]
Essere dentro la comunità e combattere, senza rendersi conto di cosa stia succedendo… e poi, nel guardare il film da fuori dopo un percorso di sette-otto anni, in un periodo così concentrato, è stato molto intenso anche per noi. Ma lei è così coraggiosa. Non si rendeva conto di quanto fosse coraggiosa, fino a quando non si è vista.
Per me è stata una lezione di vita. Una lezione sul raccontare storie e sul cinema documentario. E Sarah ci ha insegnato a essere narratori coraggiosi, senza paura, semplicemente raccontando la storia.
Quando vedi persone che si avvicinano a te dopo aver visto il film e dicono che lei le ha ispirate tanto…
[Sarah Shahverdi]
Vedere come la gente si connette al film per me è come essere capita; e allo stesso tempo vedere che il film ispira le persone, è una meravigliosa opportunità. Credo che tutti possano cambiare, che ognuno abbia il potere di cambiare.
Anch’io lo credo. Credo che con piccoli passi si possa creare un grande movimento — proprio come suggerisce la metafora del titolo. Ma sono rimasta molto colpita dalla sua empatia e dal modo in cui affronta la vita, rimanendo umile pur combattendo battaglie enormi. Pur essendosi distinta – è stata la prima donna a candidarsi al consiglio o a guidare una moto all’interno della sua comunità – ecco, malgrado i primati, ha mantenuto umiltà e compassione per le donne. Trovo che in questo sia d’ispirazione: è riuscita a restare con i piedi per terra e dedicata alle persone.
[Sarah Shahverdi]
È una sorta di routine per me, non cerco di farmi notare. Ho avuto il sostegno e l’incoraggiamento di mio padre e tutto quello che ho cercato di fare è trovare un mondo più equo, un equilibrio tra i diritti maschili e quelli femminili. Questo è tutto ciò che ho provato a fare. Quando Sara mi ha chiamata, all’inizio ero un po’ scettica, ma dopo aver parlato al telefono ho capito che anche lei aveva la stessa idea di lotta per l’uguaglianza. Quando ho capito che avevamo un obiettivo comune, ho voluto collaborare.
[Mohammadreza Eyni]
Anche per me, da filmmaker uomo, devo dire che lavorare con due Sara è stato meraviglioso.
Due donne forti.
[Mohammadreza Eyni]
Penso che per fare film come Cutting Through Rocks servano due Sara: una dietro la macchina da presa e Sarah Shaverdi davanti alla camera. Una vera attivista. Non è il tipo che parla al megafono, impartisce lezioni e basta — lei agisce concretamente, è lì, vuole fare qualcosa per cambiare le cose nella realtà.
È un talento naturale.
[Mohammadreza Eyni]
Quello che abbiamo amato di lei, entrambi, è l’attivismo. Ed è molto bello per noi, come filmmaker, vederne il progresso.
Quando siamo andati nel villaggio pensavamo sarebbero state una o due sessioni di riprese, ma la produzione è durata sette anni, solo la produzione!
Sono state otto sessioni, e ogni volta siamo rimasti lì per nove mesi, o due mesi, o cinquanta giorni… al fine di riuscire a vedere cosa faceva Sarah e rendere quel progresso tangibile attraverso il cinema, per coloro che avrebbero guardato la vita di Sarah e gli ostacoli da lei affrontati, sullo schermo.
E come ha detto lei prima, non si rendeva conto di quanto fosse coraggiosa, di quanto fosse difficile e doloroso per lei, fino a quando non si è vista sullo schermo per la prima volta. Sono molto orgoglioso di lei. È una grande ispirazione per me in quanto regista.
E voglio aggiungere una cosa: vengo dalla comunità, non dallo stesso villaggio, ma dalla comunità di lingua Azera. Conosco le sfumature della cultura e ho visto storie simili. Cercavo l’occasione per fare un film su questo, quindi lavorando con due Sara il mio sogno si è avverato.

Cutting Through Rocks di Sara Khaki e Mohammadreza Eyni – foto stampa fornita dai registi
Il legame con la comunità e l’influenza esercitata
Ok, vorrei riprendere da questo punto. Hai menzionato la comunità. Quanto è stata importante la relazione con la comunità locale e come ha reagito alle riprese?
[Mohammadreza Eyni]
È stato un processo. Abbiamo avuto la possibilità di lavorare con Sarah che è conosciuta nel villaggio perché membro del consiglio, e questo ci ha aperto molte porte.
È stata una cosa naturale. Inoltre, come direttore della fotografia, ho passato molto tempo a scattare fotografie e a parlare con gli abitanti. Accendevo la videocamera solo quando sentivo di essere connesso con loro.
Abbiamo trascorso del tempo senza riprendere, con Sara e con la gente. Non registravamo, volevamo solo capire come pensano le donne in questa società. E anche gli uomini. Con lo zio di una delle ragazze ho passato molte ore a parlare, per capire.
[Sara Khaki]
Vorrei aggiungere che, poiché Sarah è stata ostetrica, questo ha fatto una grande differenza nel modo in cui siamo riusciti ad avere accesso nella comunità.
È stata anche la collaborazione unica tra due donne e un uomo, che ha reso tutto possibile. Ma era anche il fatto che Sarah conosceva molte donne in quella comunità. A volte uscivamo per le riprese e Sarah vedeva una donna per strada e con un solo scambio di sguardi, riemergeva il passato — magari lei aveva assistito al parto.
Conosceva davvero molte delle loro storie. Quindi, poiché eravamo lì e testimoniando queste storie e queste donne, si è creata una connessione profonda prima ancora che iniziassero le riprese. Questo ha contato moltissimo.
[Mohammadreza Eyni]
Credi che il tuo lavoro ti abbia aiutato a conquistare la fiducia delle donne nella tua comunità?
[Sarah Shahverdi]
Vorrei rispondere a questa domanda sull’ostetricia, ma prima voglio dire: innanzitutto, a te [a Mohammadreza], poter lavorare con due Sara…
Se un uomo non mi rispetta, io rifiuto di parlargli e non faccio nulla con lui. Punto.
[ridono tutti e tre]
La nascita, il genere e la battaglia di Sarah in Cutting Through Rocks
[Sarah Shahverdi]
Da ostetrica, ho sviluppato una profonda comprensione del dolore che le donne sopportano per partorire. E ho assistito a molti parti. Di molte donne della comunità e dei molti bambini che ho aiutato a far nascere, so di aver guadagnato la piena fiducia. Perché abbiamo condiviso una storia profonda insieme, per questo ho ottenuto una fiducia profonda, grazie alla mia comprensione del loro dolore.
Queste donne sopportano volontariamente così tanto dolore per nove mesi, e io sono lì ad incoraggiarle e assicurarmi che rimangano in buona salute e che capiscano cosa stanno attraversando.
Un’altra cosa che voglio sottolineare riguarda il genere: voglio incoraggiarle a non preoccuparsi troppo del sesso del bambino. E questo è qualcosa su cui mi piace aprire un dialogo.
Purtroppo, dal momento in cui un bambino nasce, la questione del genere diventa un problema e cambia il corso della loro vita. È necessario parlare con le madri di questo.
[Mohammadreza Eyni]
Stai parlando di qualcosa che hai vissuto tu stessa, o degli Azeri in generale?
[Sarah Shahverdi]
Vorrei condividere una storia molto breve, forse può aiutarvi a capire dove è iniziato il mio percorso contro la disuguaglianza di genere.
Quando ero ostetrica, sono andata in motocicletta ad assistere ad un parto e la famiglia mi ha offerto un sacco di noci come regalo. Ma il bambino nato era una femmina: la famiglia si è rifiutata di darmi le noci. Mi sono arrabbiata molto in quel momento e ho detto: “Che differenza fa — femmina o maschio?” E quel momento è stato per me una forte indicazione della reale disuguaglianza di genere.
Da lì è iniziato il mio percorso.
Un’altra cosa dell’ostetricia: ho visto che quando nasce un maschio in casa si festeggia, tutti esultano; mentre se nasce una femmina sembra che qualcuno sia morto, tutti sono tristi.
Insomma, ho sentito il bisogno di fare qualcosa, di parlare del perché il genere diventa un problema fin dalla nascita.
Il ruolo dell’istruzione
Vorrei collegarmi a questo, tornando un po’ indietro: qualche decennio fa hai ricevuto un’educazione insolita, direi, e dal film sembra che le scelte di tuo padre non fossero del tutto calcolate — lui voleva solo che sua figlia fosse libera. Non pare fosse del tutto cosciente che il suo approccio all’educazione era davvero rivoluzionario. È davvero così? Vorrei che ci parlassi di questo e di quanto quella formazione giovanile abbia influito sulla persona che sei oggi.
[Sarah Shahverdi]
No, in realtà mio padre era consapevole. Sono nata nel 1978 e allora, specialmente nei villaggi, c’era una grande differenza tra uomini e donne.
Ma mio padre credeva che le donne dovessero avere tutto — anche più degli uomini. Diceva che crescere buoni figli per la società era la cosa più importante.
Quando è morto, ha lasciato metà dei suoi beni a mia madre perché credeva che finché lei ci avesse cresciuti in modo equo, per lui fosse sufficiente.
In Iran, le donne di solito ricevono solo un ottavo dell’eredità, ma mio padre aveva grande rispetto per le donne, anche le altre donne del villaggio, per lui non aveva importanza. Diceva sempre: finché cresci i figli bene, non importa che tu viva in Iran.
Mio padre si prendeva molto a cuore l’istruzione delle sue figlie. I miei fratelli erano più piccoli all’epoca, quindi solo le mie sorelle potevano studiare.
Per permettere alle mie sorelle di studiare, regalò la casa che aveva costruito alle autorità e la trasformò in una scuola. Gli uomini potevano andare in un altro villaggio per studiare, ma le ragazze no, non potevano spostarsi, per questo ha trasformato la sua casa in una scuola.
La prima scuola parentale del villaggio, probabilmente.
[Sarah Shahverdi]
Mia madre la pensa allo stesso modo. Nella nostra famiglia l’istruzione viene prima di tutto — anche prima del lavoro. Si è sempre interessata a cosa succede nell’economia, nella politica e soprattutto nell’educazione — come vanno le cose a scuola.
E anche adesso, anche se siamo tutti istruiti, cresciuti e sposati, a lei importa ancora molto dove studiano i suoi nipoti.
Ora capisco quanto sia stato fondamentale. Non era solo il padre una guida, ma un’ispirazione, e il suo approccio è stato rivoluzionario prima di tutto per la famiglia, e poi per la comunità.
[Sarah Shahverdi]
Mio padre ha fatto molte cose, ha provato tante cose. E dopo di lui ho fatto molto anch’io; ho lavorato duramente per la scuola. Anche dopo la morte di mio padre, ho continuato su quella strada.
Fino a mio zio, che è venuto dopo, che si è assicurato che le donne avessero diritti. Per esempio, che le donne abbiano il diritto di lavorare in certi ruoli. E tutto questo è iniziato grazie a mio padre.
[Sara Khaki]
La buona notizia è che dopo il suo mandato, molto recentemente, una scuola è stata costruita nel villaggio e questo è frutto anche del lavoro che Sarah ha svolto.
[Mohammadreza Eyni]
E, riferendoci anche alle storie che avete visto nel film Cutting Through Rocks, è molto importante avere una scuola dove le ragazze possono andare così da continuare a studiare.
La carriera politica
Sì, è sicuramente un grande risultato, e una delle domande che mi ponevo era se stavi pensando di candidarti di nuovo o di proseguire in qualche altro modo il tuo percorso politico per aiutare la comunità.
[Sarah Shahverdi]
Mi stanno chiedendo, non nel villaggio ma nella provincia, di candidarmi al consiglio, non per un solo villaggio ma per molti altri. Ma non per ora, perché penso che anche stando al di fuori del consiglio di villaggio, posso fare molte cose.
[Mohammadreza Eyni]
Sì, so che ogni giorno si sveglia pensando: “Oggi voglio fare qualcosa per qualcuno”.
[Sarah Shahverdi]
Essere fuori dal consiglio mi dà più libertà per sostenere le cause dele donne. Posso andare oltre certe leggi non essendo dentro un quadro che mi etichetta come consigliera. In qualche modo ora ho più potere.
E niente documenti da firmare o timbri da apporre, giusto?
[Sarah Shahverdi]
No, ma posso insegnare alle donne come negoziare con chi gestisce i documenti e i timbri.
Mentre scrivevo del film ho sottolineato che per stare in quella posizione e combattere per le donne bisogna essere non solo molto coraggiose, ma anche avere una certa faccia tosta. Fingere di non sentire e andare avanti con ostinazione. Questo è una partita che hai imparato a giocare alla perfezione.
[Sarah Shahverdi]
Sì. L’obiettivo per me è chiaro. Quando hai un obiettivo in mente, non presti attenzione ai dettagli, vai dritto verso di esso.
La libertà nella cornice culturale
Vorrei adesso accennare alla simbologia nel film Cutting Through Rocks, e al significato che questi simboli veicolano, ovviamente.
Abbiamo, certo, la motocicletta, che richiama immediatamente la libertà di movimento, espressione, non scontata. Ma anche i vestiti. I vestiti fanno parte del percorso di affermazione di sé.
Vorrei partire dalla motocicletta e approfondire un po’ il tema della limitazione del movimento delle donne nel villaggio, arrivando ai vestiti. Anche i vestiti sono una forma di limite per le donne, Sarah invece si è scelta i propri vestiti per essere libera. Rispetta le regole trovando gli spazi dove aggirarle. Vorrei che parlasse di questi dettagli, diventati quasi iconici.
[Sarah Shahverdi]
La motocicletta per me è simbolo di libertà. Quando salgo, mi diverto, posso andare veloce. Il suo rumore mi permette di non sentire nessun altro suono. Questo è fantastico, perché se aspetti di vedere cosa pensano gli altri, allora non fai quello che vuoi. Quindi amo andare veloce e godere di quell’idea. Ha fatto anche l’esempio dei due nuotatori: se c’è un nuotatore sordo e uno che sente, e c’è un gruppo di persone che dice ai nuotatori che stanno per annegare, allora affogheranno. Quindi preferisco essere sorda in quel senso: voglio continuare a fare ciò che voglio con spensieratezza.
[Mohammadreza Eyni]
Qualcuno ha detto che il modo in cui ti vesti è uno stile che sembra appartenere a un luogo, ma anche essere tutto tuo. Nella maniera in cui lo indossi c’è molta della tua voce; è come se ignorassi completamente quello che gli altri dicono.
[Sarah Shahverdi]
Non accetto che mi dicano cosa indossare. Non ho mai voluto scendere a compromessi — i vestiti devono essere una mia scelta. Indosso questo tipo di abbigliamento da quando ero bambina e non mi importa cosa pensano gli altri. Voglio sentirmi a mio agio.
Sul tema del divario tra ciò che è considerato abbigliamento maschile e femminile, è strano: sembra che alcune persone facciano leggi su quale sia l’abbigliamento da uomo e quale quello da donna. E dev’essere stato fatto da uomini, perché hanno scelto l’abbigliamento più comodo per loro!
[ridiamo]
Il governo ha stabilito che devo indossare l’hijab. Vivo qui e rispetto la legge sull’hijab. Ma allo stesso tempo, posso comunque indossare abiti comodi e rispettando l’hijab.
Mi piace questo modo di vestire e la mia comunità accetta il mio abbigliamento.
[Mohammadreza Eyni]
Sta parlando dell’hijab: anche riguardo all’hijab le donne hanno delle limitazioni. Non importa che siano coperte, ma il modo in cui vogliono essere coperte è ciò che diventa critico.
[Sara Khaki]
Ma hai scelto i vestiti in modo tale da… poter guidare facilmente la motocicletta?
[Sarah Shahverdi]
Sì.
[Mohammadreza Eyni]
Vorrei fare una domanda per chiarire: perché le donne non possono indossare quello che indossano gli uomini?
[Sarah Shahverdi]
Ho combattuto per la libertà, ho sofferto per questo, ho pagato un prezzo per tutto — con impegno e fatica. Credo di aver pagato il prezzo anche per gli altri. Ho ascoltato, allenato questa pazienza e seguito il mio percorso. Non mi importava cosa pensassero gli altri.
Forse lo spirito di alcune donne è più fragile e non riescono a sopportare le restrizioni, gli insulti o le umiliazioni. Invece io fin da bambina, ho esercitato questa pazienza.
Nel film la vedete, questa pazienza.
Il cambiamento
Nel guardare Cutting Through Rocks, si ha l’impressione che la pressione maggiore per molte ragazze ritratte, non viene tanto dal mondo esterno quanto dalle loro stesse famiglie: sono queste ultime a decidere un futuro che le ragazze non vogliono. Farle sposare presto, farle smettere di studiare, proibire anche un semplice giro in moto. Anche quella scintilla di libertà nella loro vita.
Come si convive quotidianamente con questa situazione, cercando un cambiamento pur rispettando la famiglia, la cultura, la tradizione?
[Mohammadreza Eyni]
Noi crediamo che il cambiamento venga dalla comunità stessa. Volevamo lavorare sulla storia di Sarah perché lei è della comunità. Sarah non è qualcuno venuto da fuori per cambiare le cose, lei è lì, ha una conoscenza e una comprensione profonda delle persone del villaggio, non solo delle donne ma anche degli uomini. Sa come negoziare con loro, come si vede nel film, ad esempio, sulla condivisione della terra.
E anche io vengo da lì, e Sara è una regista che comprende le donne e l’uguaglianza. Così siamo riusciti a connetterci alle storie di quel villaggio.
[Sara Khaki]
Sono d’accordo: a volte è difficile cambiare le tradizioni da un giorno all’altro, deve avvenire lentamente. Succede in ogni famiglia che un cambiamento molto graduale può portare a un netto cambiamento nella generazione successiva.
E penso che l’effetto che Sarah sta avendo nella sua comunità sia una forte indicazione: alla fine del film si vedono le ragazze sfrecciare in moto con i genitori che le accompagnano, stanno continuando gli studi, non sono sposate, e forse i loro figli avranno un’educazione e un modo di pensare diverso nello stesso villaggio e nello stesso contesto. Questa è una cosa che speriamo possa replicarsi.
[Mohammadreza Eyni]
Riguardo al cambiamento che hai fatto e che vedi da tempo, cosa ne pensi? Come l’hai realizzato?
[Sarah Shahverdi]
Il cambiamento non avviene in un anno o due. Il cambiamento a cui ho assistito è avvenuto nell’arco di 25 o 30 anni.
Dopo molto tempo sono tornata e ho visto quante ragazze ora guidano la motocicletta — e nessuno le giudica più. Prima, quando una ragazza guidava, tutti la guardavano e si chiedevano dove stesse andando.
Il cambiamento avviene lentamente, gradualmente. Non possiamo forzarlo. Anche in un film non si girano le scene tutte in una volta. Deve succedere lentamente.
Il mio cambiamento è stato così: lento, con sentimento. Ma sono felice che guardandomi indietro, io riesco ad apprezzare quanto sono riuscita a creare nella mia comunità e quanto ho ottenuto.
L’eredità di Sarah
Spero che voi possiate portare sul grande schermo altre “Sara”, e che tu possa accendere la scintilla in molte altre Sara nelle loro comunità e dintorni. Grazie.
[Mohammadreza Eyni]
Una cosa che vorrei aggiungere: il premio più prezioso che ho ricevuto per questo film è stato vedere Sarah guardare il film, e ieri ha condiviso qualcosa riguardo al fatto che io, come regista uomo, le ricordo suo padre.
Quindi per me è stato un dono meraviglioso.
[Sarah Shahverdi]
Questo è l’unico motivo per cui l’ho accettato: perché hai molte somiglianze con mio padre.
[Mohammadreza Eyni]
È qualcosa di unico, penso. Ho visto molte adolescenti meravigliose, forti, con grandi idee che però poi sono state costrette a sposarsi o non hanno potuto continuare ciò che amavano. Per me è una responsabilità: la mia comunità deve fare qualcosa per sostenerle. Perché se vogliamo una comunità forte, abbiamo bisogno di più Sarah.
E dobbiamo dare loro l’opportunità di essere Sarah. Questo è importante.
[Sarah Shahverdi]
Una donna forte cresce un figlio forte. Una donna riflessiva cresce un figlio riflessivo. Non importa quanto crediamo nell’importanza dei diritti delle donne: più rispettiamo il ruolo delle donne e le rendiamo capaci, più forte sarà la generazione successiva.
Se vogliamo ostacolare il successo delle donne, se crediamo nella discriminazione, se non permettiamo alle donne di muoversi, se le priviamo dell’istruzione e le limitiamo al matrimonio, la prossima generazione sarà distrutta — una generazione senza pensiero critico, senza progetti costruttivi per un mondo migliore o una vita migliore.
La prossima generazione non potrà fare nulla.
Quando un bambino nasce, il primo suono che sente è la voce della madre. Che sia maschio o femmina non fa differenza. È più familiare la voce della madre che quella del padre, perché quella è la prima voce che riconosce fuori dall’utero. È probabile che il bambino ascolterà la madre più del padre. Per questo dobbiamo dare alle donne un posto importante nella società. Altrimenti il nostro futuro è incerto.
[Mohammadreza Eyni]
Grazie.
Grazie mille a voi.