Il dramma di Gaza e lo sterminio della sua popolazione civile non sembrano avere fine, i coraggiosi equipaggi della Flotilla sono stati bloccati insieme agli aiuti umanitari, l’orrore della guerra e la disumanità di chi la conduce non intendono arrestarsi, anzi proseguono in una catabasi verso gli Inferi sempre più spaventosa e incomprensibile.
Il mondo guarda a questo lembo di terra martoriata con angoscia e solidarietà, impotente, con la sola possibilità rimasta di bloccare tutto, scioperare, riunirsi per gridare un unico ‘stop alla guerra’, senza se e senza ma, la cui eco raggiunga ogni angolo del pianeta, anche laddove sono presenti molte altre guerre, tutte egualmente da bandire.
In un momento così buio anche Taxidrivers ha deciso di fermarsi per un giorno e di lasciare la riflessione alle immagini ed alle storie sulla Palestina e su Gaza, pensate, scritte e realizzate attraverso il cinema da autrici ed autori di questa terra così violata e dolente.
Da sempre ci sono sofferenze che si cerca di sublimare, raccontare, perfino guarire attraverso l’arte, nelle sue molteplici espressioni: la Settima arte è di certo fra quelle che, nel tempo, hanno saputo meglio descrivere e raccontare i traumi causati dalle tante tragiche guerre – e dalle loro non meno drammatiche conseguenze – portate avanti dalla follia dei potenti della Terra.
Vi proponiamo pertanto alcuni titoli di film che ci ricordano come la priorità, in ogni situazione, in ogni credo, anche laico, dovrebbe essere data alla vita umana, bambini, donne, uomini, all’umanità tutta. Vogliamo ancora sognare, nonostante l’orrore quotidiano cui si assiste, che un altro mondo è possibile e ‘vivere l’utopia’.
Storie private che raccontano società e politica
Sono tante le opere che, partendo da storie di vita private, da racconti di famiglie e a volte di generazioni ci parlano della drammatica Storia del conflitto fra Israele e la Palestina, della guerra, dei muri eretti, dell’odio lasciato crescere, delle limitazioni e dell’isolamento portati a regime, delle umiliazioni inflitte e subite.
Vale la pena cominciare proprio da un film recentissimo, Tutto quello che resta di te, della regista Cherien Dabis (figlia di un palestinese esiliato in America), scritto e girato magistralmente, che racconta la storia della Palestina attraverso gli occhi di tre generazioni, proponendosi come un ritratto intimo e ‘privato’ di una famiglia che lotta per rimanere unita e difendere la propria identità, ma al tempo stesso come una cronaca epica che abbraccia gli ultimi 80 anni della realtà storica, sociale e culturale della Palestina.
Il film si sofferma infatti sul trauma intergenerazionale di un popolo e sulle sue conseguenze, dai primi sfollamenti da parte dell’esercito israeliano, quando le organizzazioni paramilitari espulsero più di 700.000 palestinesi dalle loro case, nel 1948, fino alle Intifada degli anni Sessanta ed alle proteste degli anni Ottanta, in Cisgiordania, quando un adolescente palestinese si unisce alle manifestazioni locali contro i soldati israeliani e improvvisamente la scena si blocca e la madre del ragazzo si rivolge a noi spettatori, testimoni dei capitoli bui del secolo scorso come anche di questi mesi.
Altro film che racconta come la vita privata venga trasformata in conflitto politico è Sarah e Saleem: là dove nulla è possibile, del regista palestinese Muayad Alayan, un’opera che propone una visione diversa dai consueti schemi e contrapposizioni del conflitto tra Israele e Palestina, partendo dalla storia – ispirata a fatti realmente accaduti – di una passione nata fra un’israeliana, moglie di un colonnello, ed un palestinese. I due, provenienti da mondi distanti anni luce, s’incontrano durante una consegna al bar, si piacciono ed iniziano a vedersi clandestinamente, sfidando il destino: la storia, scoperta, verrà trasformata dall’esercito in un affare di Stato, strumentalizzata con conseguenze pesantissime ed inimmaginabili, soprattutto per la donna che, nell’emancipato Israele, verrà ‘ripudiata’ e non potrà tenere con sé la figlia.
Da non perdere anche Il Giardino dei Limoni, dell’israeliano Eran Riklis, un film che segue le vicende quotidiane della vedova palestinese Salma, costretta ad affrontare una causa legale con il Ministero della Difesa israeliano relativamente al possesso di un limoneto sul confine cisgiordano. Benché Selma viva in quel giardino che ha ereditato dalla sua famiglia, il Ministro intende costruire proprio lì la sua villa e per lui non contano la memoria, i legami familiari e quelli con le proprie origini rivendicati dalla donna, ancora più importanti della proprietà stessa. Nel ruolo di Selma la bravissima attrice palestinese Hiam Abbass, che disegna, come in molti dei suoi film, un personaggio femminile coraggioso e pieno di dignità, attraverso una storia apparentemente semplice ma densa di simbologie.
Fra i documentari sulle memorie private, spicca un piccolo gioiello: Bye Bye Tibériade, scritto e diretto dalla giovane regista franco-palestinese-algerina Lina Soualem, (prima donna della sua famiglia ad essere nata in Francia), figlia della menzionata attrice Hiam Abbass – una delle protagoniste del film, nel ruolo di se stessa – che racconta la storia delle donne della sua famiglia, dalla bisnonna a lei stessa, con straordinarie immagini d’archivio di una Palestina che sta scomparendo. Con il toccante ed ispirato Bye Bye Tibériade, presentato come evento speciale alle Giornate degli Autori di Venezia 80, l’autrice ripercorre le tracce della storia familiare dal ramo materno, in Palestina appunto.
Tra gli altri film che affrontano storie private si segnala il recente Happy Holidays, del regista, sceneggiatore e visual artist Scandar Copti, di origine palestinese (nato a Jaffa), che esplora due società, due comunità, araba ed ebrea che, pur facendo di tutto per ribadire le loro differenze, anche nel privato, hanno però in comune una mentalità profondamente patriarcale, soprattutto nei confronti delle donne, le quali non possono di fatto, in nessuna delle due culture, decidere il loro destino in piena libertà. In arabo il titolo, Yinad Aleykou, ha un doppio significato: è il saluto che potrebbe tradursi con “cento di questi giorni”, tradizionalmente un invito a molti altri giorni felici, ma ha anche un significato letterale e suggerisce che il “ciclo di oppressione” si ripete attraverso le generazioni.
Oltre la distruzione e la morte, sperare contro ogni speranza
Tra i film più recenti e potenti, testimonianza viva degli ultimi anni di ingiustizie, vessazioni ed oppressioni in Cisgiordania, va menzionato per primo senza dubbio No Other Land, vincitore dell’Oscar quest’anno come miglior documentario, girato da un collettivo di 4 registi: Basel Adra e Yuval Abraham, il palestinese Hamdam Ballal, amico di Basel, e la regista israeliana Rachel Szor. Il film, che racconta la storia di amicizia tra l’attivista palestinese Basel e il giornalista israeliano Yuval, e la repressione continua della popolazione resiliente e non violenta di Masafer Yatta (un agglomerato di venti villaggi al confine sud della Cisgiordania) da parte dei coloni, è costato l’aggressione ad uno dei registi, il palestinese Ballal, picchiato pubblicamente e poi scomparso nel nulla mentre l’ambulanza lo stava portando in ospedale. No Other Land è stato girato tra l’estate del 2019 e l’ ottobre 2023, poco prima dell’attacco di Hamas e della conseguente reazione israeliana.
Anche i 22 cortometraggi raccolti nell’opera From Ground Zero, su idea del cineasta palestinese Rashid Masharawi, ciascuno fra i 3 e i 6 minuti di durata, girati dai giovani registi delle scuole di cinema di Gaza, evidenziano una situazione critica, che alterna tragedia e speranza: ciò che emerge in ciascuna storia, pur nei differenti racconti e nella scelta di tecniche diverse, sono il dolore, il caos, le macerie, la realtà frammentata, la morte, che contrastano con la vitalità di questi cineasti che documentano immagini di vita sociale e politica del loro Paese martoriato dalla guerra.
Non si può non inserire in questa sezione Valzer con Bashir, considerato un capolavoro dell’animazione realizzato dall’israeliano Ari Forman. In parte autobiografico, il film, incentrato sull’eccidio di Sabra e Shatila, è un inno all’antimilitarismo universale, ed alla condanna della crudeltà e della cieca follia che possono portare a massacrare migliaia di civili inermi raccolti in un campo profughi (quasi tutti palestinesi). L’opera segue il protagonista Ari, ex soldato dell’esercito, mentre cerca di ricordare gli eventi di quei giorni. A poco a poco, le testimonianze di persone incontrate all’epoca fanno riemergere dalla sua memoria ricordi sempre più definiti, fino ad arrivare ai giorni cruciali del massacro di Sabra e Shatila, cuiAri ha assistito da testimone oculare. L’uomo si rende così conto che la sua amnesia derivava dai sensi di colpa: le ultime immagini del film non sono più di animazione, ma bensì filmati d’archivio, che ritraggono i cadaveri del massacro in mezzo alle macerie del campo profughi.
Presentato al 78° Festival di Cannes nella sezione Un certain regard, va ricordato il film Once Upon a Time in Gaza (Il était une fois à Gaza), dei fratelli gemelli Arab e Tarzan Nasser, due registi estremamente originali, che realizzano un film ironico e grottesco, a metà tra western e thriller, in realtà un’opera profondamente antimilitarista che denuncia la corruzione e la condizione di profondo disagio esistenziale vissuto dalle persone. Il film si conclude con una scritta in sovrimpressione: ‘ci sarà una fine…’ I fratelli Nasser raccontano la ‘loro’ città, affermando che l’idea del film “nasce dall’ispirazione costante tratta da Gaza dove – come è nell’essenza umana – nonostante l’occupazione, l’assedio e le condizioni disumane che le persone sopportano, la loro umanità resta al centro della loro esistenza”.
Un altro film importante sul tema della Palestina, selezionato a Cannes 78, è stato Put your soul on your hand and walk, della regista Sepideh Farsi, presentato con grande risonanza mediatica nella sezione ACID e dedicato alla fotoreporter palestinese Fatima Hassouna, assassinata subito dopo essere venuta a conoscenza che il film era stato selezionato a Cannes. Tragedia fra le tragedie quella raccontata anche nel film The Voice of Hind Rajab, presentato a Venezia 2025 dalla regista tunisina Kaouther Ben Hania, un’opera scioccante tratta dalla vera storia, tristemente nota, di una bambina di 6 anni, Hind, unica sopravvissuta della famiglia ad un attacco dell’esercito israeliano, la quale, riuscita a mettersi in contatto con i soccorritori dalle macerie dell’auto dove viaggiava, e rimasta al telefono con loro per ore, non riuscirà ad essere salvata perché l’ambulanza inviatale verrà colpita da un missile. Il film racconta la tragedia attraverso gli audio originali registrati dalla Mezzaluna rossa palestinese, impegnata nelle operazioni di soccorso.
Vogliamo chiudere con un docu-film di qualche tempo fa ma sempre attuale, dal titolo Io sto con la sposa, di Gabriele Del Grande, Antonio Augugliaro e Khaled Soliman al Nassi, la storia di un poeta palestinese e di un giornalista italiano che aiutano cinque profughi siriani e palestinesi, giunti a Milano dopo essere sbarcati a Lampedusa, a raggiungere la Svezia senza essere arrestati dalle autorità. Lo stratagemma utilizzato dal gruppo, coinvolgendo anche una giovane ragazza siriana con passaporto tedesco, è quello di inscenare un corteo nuziale (“nessuno oserebbe mai fermare un corteo nuziale”): durante un viaggio di quattro giorni tra Milano e Stoccolma, passando per la Francia, il Lussemburgo, la Germania e la Danimarca, i protagonisti raccontano le loro storie e i loro sogni sperando soprattutto, come tutti noi, in un futuro senza più né guerre né frontiere. Un documentario che sembra una favola ma in realtà è un atto politico, di disobbedienza civile e un inno alla libertà di vivere e di spostarsi di tutti gli esseri umani.