Difficile fare film su uno dei temi più scottanti dell’attualità politica e dell’emergenza umanitaria di questi ultimi anni, con un crescendo continuo negli ultimi mesi: Gaza, i territori occupati, l’interminabile e spaventoso conflitto israelo-palestinese, inasprito – se possibile – dalle ultime dichiarazioni di Trump sul dissennato progetto della ‘Middle East Riviera residence’.
Proprio con una breve aggiunta postuma del delirio trumpiano, i cineasti Arab e Tarzan Nasser, fratelli gemelli, aprono il loro ultimo film, Once Upon a Time in Gaza (Il était une fois à Gaza), presentato al 78° Festival di Cannes nella sezione Un certain regard, provando a raccontare microcosmi e storie private (…c’era una volta a Gaza…) piuttosto che affrontare in modo palese il macrocosmo della Storia, che è comunque sempre presente.
Scritto e prodotto prima dei 590 giorni che hanno acuito una tragedia che sembra non avere fine, il film, lungamente acclamato alla proiezione ufficiale di Cannes, mostra come era Gaza prima dell’ottobre 2023.
Superato, già dal primo intervento di Juliette Binoche all’inaugurazione, il divieto imposto l’anno scorso dal Festival di parlare del conflitto e della Palestina, nella 78a edizione sono stati selezionati e dibattuti almeno due film importanti su questa tematica: Once Upon a Time in Gaza, appunto, e il film Put your soul on your hand and walk, di Sepideh Farsi, presentato ad ACID con un’enorme eco mediatica, dedicato alla fotoreporter palestinese Fatima Hassouna, assassinata appena dopo aver saputo che il film era stato selezionato a Cannes.
Pite con falafel e droga, poliziotti corrotti
Il film è sostanzialmente diviso in due parti, la prima che richiama il polar, e presenta l’impianto ed i personaggi principali: a Gaza, nel 2007, mentre i bombardamenti rendono pericoloso girare, Yahya, un giovane studente, stringe amicizia con Osama, un carismatico ristoratore di buon cuore che copre con il chiosco l’attività illegale: i due, insieme, iniziano a spacciare droga mentre consegnano panini al falafel, ma ben presto saranno costretti a vedersela con un poliziotto corrotto che vuole la sua fetta dei proventi e minaccia Osama.
Nella seconda parte del film, Yahya, rimasto solo, viene reclutato nel casting di un film nazionalista come leader eroico, e poi martire, di un gruppo di combattenti palestinesi: il Ministero della cultura tiene molto a questo progetto che deve incoraggiare la forza popolare contro gli avversari, e supervisiona le riprese chiedendo a Yahya di recitare scene molto enfatiche in un contesto dove realtà e fantasia sembrano confondersi.
In queste scene di meta-cinema non mancano momenti tragicomici, che i due registi volutamente inseriscono, contribuendo a strappare più di un sorriso agli spettatori. Nel caos del set, in mancanza di accessori cinematografici, alcune scene di guerriglia vengono girate con armi caricate con munizioni vere.
Alcuni personaggi che hanno conti in sospeso si ritrovano e le armi iniziano a sparare, con conseguenze casuali e drammatiche, ma soprattutto che fanno pensare al teatro dell’assurdo. Vittime e vendicatori si alternano, anche all’interno della stessa Gaza, il ‘nemico’ esterno è nominato il meno possibile ma evocato in vari momenti.
Un film ispirato dall’umanità di Gaza e dedicato ai suoi abitanti
I fratelli Nasser, già presenti al Festival di Cannes nel 2013con il cortometraggio dal titolo Condom Lead, tornano dunque dodici anni dopo a raccontare la ‘loro’ Gaza, ed affermano:
L’idea del film è nata dall’ispirazione costante che abbiamo tratto dalla nostra città, Gaza. È nell’essenza umana che, nonostante l’occupazione, l’assedio e le condizioni disumane che le persone sopportano lì, la loro umanità resti al centro della loro esistenza.
Molto bravi e ben scelti gli attori principali Majd Eid, che interpreta il ruolo dello “spacciatore” (Osama), selezionato dai registi durante il casting del film precedente, soprattutto ‘per la sua voce roca’, che conferisce al personaggio la durezza e il realismo essenziali per il ruolo.
L’attore che interpreta Yahya, lo studente universitario disperato (che non può vedere la madre, perché non può uscire dai territori) è Nader Abd Alhay, segnalato ai registi da un amico e reclutato per la sua aria sofferente, fragile, quasi impotente che necessitava al personaggio.
Il prossimo progetto dei fratelli Nasser, che provengono dal mondo del disegno e dell’arte, e scelgono loro stessi le scenografie dei loro film selezionandone con cura ogni elemento – oltre ovviamente a occuparsi di sceneggiatura e regia – parlano brevemente del loro prossimo progetto, sulle donne di Gaza:
Il nostro prossimo film racconta la storia di tre donne di Gaza le cui vite si incrociano in un unico percorso. Rivela le loro lotte quotidiane, le sfide e la perseveranza nella lotta per continuare a difendere il loro diritto all’esistenza.