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PERSO Perugia social film festival

‘Control Anatomy’ resistere contro la cancellazione della memoria palestinese

Il cortometraggio analizza l'evoluzione della violenza, dal controllo militare visibile allo sguardo invisibile e termico dei droni.

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Cosa significa vivere osservati ventiquattr’ore su ventiquattro? Che cosa resta della memoria quando anche le immagini diventano armi?
Control Anatomy di Mahmoud Alhaj ci porta dentro questa domanda, usando la propria voce per creare un fil rouge. Un racconto intimo e politico che evoca il mito del Grifone, creatura ibrida simbolo dell’occhio che non dorme mai, un’eco del genocidio. Non è fantasia, bensì la rappresentazione di un genocidio in atto, reso possibile dalla tecnologia, dalla sorveglianza, dai droni.

Presentato al FIDMarseille e ora al Perugia Social Film Festival, Control Anatomy è un cortometraggio che non segue la logica lineare del documentario classico. Alhaj, nato a Gaza nel 1990 e ora in esilio in Francia, mescola frammenti, archivi distorti, immagini recuperate dai social dei soldati israeliani. Utilizza dunque sia materiali militari ufficiali quanto i suoi stessi ricordi personali. Non si tratta solo di cinema, ma di resistenza: un atto che vuole impedire la cancellazione della memoria palestinese.

Tre generazioni di violenza

Il film è diviso in tre capitoli, che Alhaj definisce “generazioni”. Prima, il governatore militare visibile, che controlla direttamente i campi. Poi il mirino del fucile, che trasforma i corpi in bersagli. Infine, lo sguardo invisibile dei droni:

“la lente termica che non dorme mai”

È qui che la voce del regista si intreccia alle immagini, raccontando la propria infanzia, gli spostamenti forzati, la Seconda Intifada, il ritorno dei Grifoni su Gaza nel 2005.

“Chi osserva? Chi è osservato?”

Si domanda nel voiceover, il quale dona spazio a un suo monologo interiore. La sorveglianza diventa ossessione, penetra nella psiche, corrode la possibilità stessa di vivere normalmente. Ogni zoom out della camera, ogni passaggio dal colore al bianco e nero, non è un semplice effetto visivo: è il segno di una speranza che si allontana. Le esplosioni, le bombe DIME, le mappe 3D delle case distrutte: ogni immagine rappresenta prova e ferita insieme.

L’immagine come arma

“Non tratto l’immagine come un documento innocente, ma come un’estensione del fucile o del drone.”

sottolinea Alhaj nelle note di regia. Control Anatomy lavora proprio su questo: mostrare come la macchina bellica non solo uccida, ma produca immagini funzionali alla sua stessa logica di annientamento. Quelle che lui chiama “operative images”: fotografie e video che non nascono per essere visti, ma per decidere chi colpire.

Nell’intervista ci tiene ad affermare:

“Le immagini a bassa qualità rappresentano la fragilità dei diritti palestinesi, la stessa fragilità di chi viene cancellato.”

Non importa se sfocate, disturbate, frammentate: proprio questa imperfezione diventa la forma più autentica della violenza. È l’opposto della propaganda liscia, che cerca di nascondere il danno.

Tra memoria e cancellazione

Control Anatomy non ricostruisce un archivio lineare. Lo smonta, lo ricompone, fa collidere frammenti. Perché così si vive sotto assedio: tra rotture, strappi, continue discontinuità. Ogni scelta registica come gli sfondi neri con la scrittura, la voce spezzata, il ritmo che alterna lentezza e urgenza rispecchia la vita in una Gaza costantemente cancellata e riscritta dal potere coloniale.

Il mito del Grifone diventa qui contrappunto al mito della Fenice, spesso usato dai palestinesi per raccontarsi come popolo che rinasce dalle ceneri. Il Grifone, invece, rappresenta la continuità della violenza: un occhio che produce macerie senza sosta.

“Un futuro in cui la memoria delle persone viene distrutta come si distrugge l’architettura di una città.”

Un cinema che resiste

Control Anatomy non è solo una testimonianza, ma un atto politico. Non offre comfort, non concede linearità, non cerca di semplificare. È un film che obbliga lo spettatore a guardare le immagini come strumenti di guerra e a chiedersi: chi è colui che racconta la storia? Chi decide quindi cosa resta negli archivi?

Come scrive Alhaj:

“Realizzare questo film non significava semplicemente documentare, ma resistere alla scomparsa.”

L’urgenza di non cancellare la memoria risuona in modo straziante con altre opere recenti dedicate al conflitto, come The Voice of Hind Rajab, Gran Premio della Giuria a Venezia, che affida il racconto della violenza alla pura registrazione vocale della vittima. Entrambi i film condividono la missione di trasformare l’archivio del trauma. Da un lato attraverso un file audio, dall’altro attraverso un frammento militare. Entrambi sono un atto politico che impedisce l’oblio.

In un mondo che assiste in silenzio al genocidio trasmesso in diretta, la sua voce non è solo personale: diventa memoria collettiva.

Control Anatomy

  • Anno: 2024
  • Durata: 17'
  • Genere: documentario, drama
  • Nazionalita: Palestina
  • Regia: Mahmoud Alhaj