È disponibile su NetflixSteve il film diretto da Tim Mielants con protagonista Cilian Murphy. Scritto dal romanziere Max Porter, il dramma è frutto di una co-produzione tra la Big Things Films e lo stesso Murphy. Oltre al premio Oscar troviamo un cast di rilievo che include Emily Watson, Tracey Ullman, e Jay Lycurgo.
Il TRAILER – Steve
Sinossi – Steve
Il preside Steve (Cillian Murphy) lotta per la sopravvivenza del suo istituto di riforma per ragazzi irrecuperabili, il tutto mentre cerca di gestire la sua salute mentale. Tra gli studenti emerge la figura di Shy (Jay Lycurgo), un ragazzo tormentato dai propri demoni interiori e da tendenze autodistruttive.
Anatomia dell’istruzione pubblica
Il primo problema di Steve è trasportare la proprietà intellettuale del romanzo di Porter cambiando posizione e rilevanza ai personaggi. Nel film Netflix non troviamo più il ragazzo scapestrato Shy come protagonista ma il preside interpretato da Murphy. L’opera segue cronologicamente un’unica giornata di un riformatorio britannico in procinto di chiudere. Quindi Steve ruota attorno al caos di una gioventù bruciata negli ultimi spasimi di recupero sotto la lente vigile ma fragile del corpo docente guidato dal preside. E il tutto ripreso da una troupe televisiva venuta nell’istituto per documentare la vita e il percorso caotico di Stanton Wood.
Ergendo Murphy a protagonista, il film è sulle uniche spalle del premio Oscar, in una costruzione drammatica che evidenzia fin da subito perplessità e lucide falle. Il discorso di Steve sul piano teorico appare potente e intenzionalmente ben strutturato: contrappore lo sforzo dei professori, vittime di un sistema d’istruzione nazionale precaria, alle istituzioni e ai media, pronti a denunciare mal funzionamenti dell’istituto, e politici smaniosi di lucrare propagandisticamente sul riformatorio.
Il peso del protagonista: Steve al centro del caos
Alla base c’è un tema forte ma sviluppato in maniera superficiale e altalenante. Il film infatti passa gran parte della sua narrazione a farsi dominare dal caos dei “ragazzacci”, caratterizzando questi con diversi stereotipi del genere: il bullo arrogante, l’introverso con una rabbia repressa e aggressiva, e il protagonista del romanzo Shy con problemi di autostima e autolesionismo.
Mentre il dramma incasella vari momenti di caos tra studenti e insegnanti ( che dovrebbero reggere l’intera narrazione), il preside Steve deve combattete i propri demoni; quest’ultimo, nella sublime interpretazione di Murphy, è una personalità fragile, non il capo col polso fermo, ma più un infermiere di Emergency in uno scenario di guerra, pronto a medicare le ferite dei suoi allievi e a perdonare atti vandalici che non andrebbero perdonati.
Preside e studenti, una narrazione sbilanciata
La camera a mano di Mielants segue il premio Oscar nella sua constatazione di essere un soggetto inerme dinnanzi al fallimento del sistema scolastico, pedinandolo anche nei suoi eccessi, nei problemi di droga dai quali non riesce ad uscirne. Il cambiamento del protagonista è indubbiamente una scelta doverosa per far risaltare le grandi qualità recitative di Murphy, penalizzando però la narrazione corale. Il film avrebbe dovuto concentrarsi sui drammi personali e interiori dei ragazzi, cercando di aprire la storia ad un’interazione tra preside e alunni. Invece i “ragazzi interrotti” rimangono dei soprammobili umani, bravi a generare rumore e caos, senza alcuna direzione di interazione comunicativa e psichica rispetto al loro vissuto. Così Cillian Murphy appare un Robin Williams senza scopo e azione, e Steve, L’attimo fuggente che non crea relazioni e né soluzioni.
Un’occasione sprecata a cui Cillian Murphy non basta
Steve si perde anche nella sua presunzione estetica di mostrarsi come un film curato nelle scelte registiche. Abbonda di pianosequenza in momenti in cui basterebbero dei primi piani, esagerando di angolazioni e inquadrature elaborate. Come del resto dimostra la scena della vasca in cui Murphy è immerso verso la fine del film, suggerendo un tratto onirico di cui il film, probabilmente, non necessitava. A Steve manca quella profondità lineare, quell’autenticità che un dramma tra professori-mentori e allievi-da recuperare, avrebbe avuto bisogno. Il finale senza risoluzione e talmente non concluso, fa emergere varie problematiche a livello di scrittura, profondità di storia e di personaggi. In questo quadro emerge solo la bravura di Murphy, eccellente nel mostrarci il conflitto tra umanità dell’insegnamento e la dura realtà della politica istituzionale. Tutto ciò non è abbastanza per tenere vivo un film classificabile come una grande occasione mancata.
In definitiva, Steve si presenta come un’opera dal potenziale significativo, capace di toccare temi attuali e rilevanti come il declino del sistema scolastico e la lotta quotidiana degli insegnanti. Tuttavia, la scelta di concentrare la narrazione quasi esclusivamente sulla figura del preside, per quanto resa magistralmente da Cillian Murphy, finisce per sacrificare la profondità e la complessità dei giovani protagonisti e delle dinamiche collettive che avrebbero potuto arricchire il racconto.