Eel, diretto dal taiwanese Chu Chun-Teng, ha avuto la sua anteprima italiana in concorso al Lucca Film Festival.
Un poema visivo erotico, dove la realtà si confonde con la fantasia del regno onirico.
Eel – la trama
Un uomo incontra una donna misteriosa su un’isola vicino a Taipei. Insieme, svelano i segreti di questo luogo sperduto, esplorando temi come desiderio e identità. Il loro viaggio si svolge in un paesaggio onirico tra cui passato e presente si intrecciano.[sinossi ufficiale]

Un prologo visionario
Per il suo esordio alla regia Chu Chu Teng realizza un lungometraggio con una trama esile, scivolosa che allude all’anguilla del titolo. Nonostante ciò il regista taiwanese riesce a dar vita a una modalità espressiva potente e originale, come il suo simbolismo. Usa uno stile surrealista che, almeno in un primo momento, sembra evocare quello del suo connazionale Tsai Ming Liang, Leone d’Oro a Venezia con Vive l’amour (1994), per poi guadagnarsi uno spazio tutto suo nella cinematografia contemporanea di stampo orientale.
Il film prende avvio con un estratto visivo che assume le finalità di una vera dichiarazione d’intenti. Un prologo onirico e visionario che introduce i due principali personaggi e li colloca in un nonluogo in perenne penombra. Lo spettatore, ancor prima delle immagini, può ascoltare lo scorrere dell’acqua, poi sulla riva di un fiume appare una donna che si immerge e si lascia trasportare dalla corrente. Tutto diventa nero, un uomo seminudo cammina nell’oscurità, un’anguilla si scuote nel fango.

Eel: onirico e realtà
In questo breve inserto visivo e uditivo il regista realizza un distillato d’effetto della sua opera. La bellezza delle immagini lascia senza fiato e il loro significato scivola, come un’anguilla, dalla realtà all’irrealtà, dalla veglia al sogno. Il passaggio dall’una all’altra dimensione avviene senza forti scossoni, l’onirico e il reale si mescolano, creando un regno simbolico, in cui ogni elemento diventa un’allegoria sensoriale.
L’incontro tra la donna e l’uomo, visti nel prologo, avviene nella contemplazione di un paesaggio, dove l’acqua è sempre l’elemento principale. La donna è lì dove l’abbiamo vista per la prima volta. Il fiume continua a trasportarla alla deriva, mentre l’uomo la scorge e la porta a riva, credendo di portarla in salvo. L’apparenza, però, non corrisponde alla realtà, come indica una didascalia iniziale del film:
“Non vedi ciò che sei, vedi la tua ombra”.

L’erotismo
I due protagonisti di Eel si muovono proprio come ombre, la loro identità è esile quanto la vicenda esposta nel film. L’uomo e la donna si mettono a nudo, per diventare pulsione, carnalità, erotismo. È questo l’architrave dell’opera prima di Chu Chun-Teng, anticipato in una delle prime scene, con un singolare episodio di autoerotismo, per poi sprigionare una forza e un desiderio represso. Tutto ciò viene mostrato con la forza delle immagini. I dialoghi sono ridotti all’osso e le parole quasi sempre sostituite dal suono della natura o da una colonna sonora minimale, a tratti ironica. Così Eel diventa un poema visivo e uditivo che si carica di erotismo, passione irrefrenabile da inseguire senza sosta, per scacciare i vecchi fantasmi o per generare dei nuovi.
Astrattismo, lirismo, realtà e sogno, una poesia per immagini, dove il simbolismo si impadronisce di ogni elemento, da un maiale incontrato per strada a uno scivolo che appare per miracolo in una radura. Probabilmente un uso eccessivo, ma che bilancia la minima presenza di nodi narrativi tangibili, come la scomparsa di un padre e la morte di una nonna premurosa.
Una critica sociale
Assume, poi, notevole importanza l’ambientazione. Una natura selvaggia, dove scorre un fiume e in lontananza si scorge una grossa città, con alti grattacieli. Un nonluogo, come si è accennato in precedenza, dove c’è una discarica, che invece di raccogliere, sembra produrre rifiuti. E tra i rifiuti, appunto che i due protagonisti, interpretati da Matvey Kazazayev e Diana Sanzhayeva cercano una nuova identità o ricostruiscono la propria, simulando un colloquio di lavoro.
È con questa scena che il film, conservando l’atmosfera surreale, propone un arguta riflessione sui giovani di Taiwan. Una generazione disillusa, che si trascina i fantasmi del passato e ignora il futuro. Ma il messaggio finale è malinconicamente lieto, con i piccioni (ennesimo simbolismo) che finalmente spiccano il volo.