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Robert Redford: la star che ha reso glamour la generosità

Una celebrità che si è rifiutata di recitare la parte

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Robert Redford non ha mai creduto nel vivere a Hollywood. Ci lavorava, certo, ma come disse una volta a un giornalista, il segreto era “fare il lavoro e andarsene, sganciare bombe in territorio nemico e andarsene”. Per un uomo il cui volto ha definito l’età d’oro del protagonista americano, questo potrebbe sembrare paradossale.

Eppure è stato proprio questo paradosso a rendere Redford singolare: un gigante del botteghino che indossava la celebrità con leggerezza, puntando sempre a qualcosa di più grande di sé.

Più che celebrità

Negli anni ’70, i film di Redford – La stangata, Come eravamo, Tutti gli uomini del presidente – si superavano spesso in vetta alle classifiche. Ma anche allora, la sua visione si estendeva oltre lo schermo. Faceva sembrare l’attivismo naturale, persino elegante.

Molto prima che fosse comune per le star del cinema sostenere cause umanitarie, Redford si impegnava per i diritti dei nativi americani, la tutela dell’ambiente e la sensibilizzazione sui trapianti di organi. Non ha usato la celebrità come un accessorio dell’attivismo; ha intrecciato le due cose fino a renderle indistinguibili.

L’artista come attivista

Se oggi diamo per scontata l’idea di Clooney che fa lobbying al Congresso o di DiCaprio che affronta il cambiamento climatico, dobbiamo ringraziare Redford per averne delineato il modello. Il suo approccio non era spettacolare.

Era pacato, costante, persuasivo. Ha dimostrato che advocacy e arte potevano coesistere, che Sundance Kid poteva interessarsi ai fiumi, alle foreste e agli emarginati, e che anche il suo pubblico se ne sarebbe interessato.

Mentore all’ombra dei riflettori

Forse il contributo più duraturo di Redford è stato il mentoring che ha offerto, spesso in silenzio, senza clamori. Ha formato registi al Sundance, ha dato una solida base a giovani attori come Brad Pitt e ha persino guidato gli ambientalisti a raccontare le loro storie in modo più efficace.

Registi come Darren Aronofsky ricordano non solo la sua influenza, ma anche la sua attenzione: il modo in cui riusciva a incrociare lo sguardo, ascoltare e cambiare il corso di un progetto con una sola nota.

Un’eredità oltre lo schermo

I film di Redford ci chiedevano di confrontarci con i nostri ideali, che si trattasse della ricerca della verità di Bob Woodward o dei silenziosi calcoli morali di Gente Comune. Fuori dallo schermo, la sua vita incarnava l’idea che il dare non diminuisce, ma moltiplica.

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In un’epoca in cui l’egoismo sembra spesso la modalità predefinita della vita pubblica, Redford ci ricorda che la generosità può essere l’atto più audace e glamour di tutti.