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Settimana internazionale della Critica

‘Cotton Queen’: Suzannah Mirghani racconta un sogno di libertà tra le radici della tradizione

In concorso alla Sic

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Il delicato tema della rottura con le tradizioni familiari e il difficile processo di autodeterminazione sono gli elementi che danno vita alla potente storia di Nafisa in Cotton Queen della regista Suzannah Mirghani nel suo esordio al lungometraggio, presentato in concorso alla 40° edizione della Settimana Internazionale della Critica.

In un villaggio di coltivatori di cotone in Sudan, l’adolescente Nafisa (Mihad Murtada) è cresciuta con le eroiche storie di resistenza ai colonizzatori britannici che le racconta la nonna Al-Sit, matriarca della comunità. Quando un giovane uomo d’affari arriva dall’estero con un nuovo piano di sviluppo e un cotone geneticamente modificato, Nafisa si ritrova al centro di un gioco di potere che deciderà il futuro del villaggio. Acquistando consapevolezza della propria forza, Nafisa si mette in viaggio per salvare i campi di cotone e se stessa.

Il film, che prende spunto dal precedente cortometraggio Al-Sit (2019) della regista, racconta con una narrazione semplice ma incisiva come la lotta per affermare la propria identità possa incontrarsi con la resistenza di un mondo che vuole rimanere legato a valori antichi e a un ordine prestabilito.

Un contrasto tra due mondi

In una realtà che sembra divisa tra due epoche, da un lato la tradizione radicata nella figura della nonna Al-Sit, matriarca del villaggio e custode della memoria storica, e dall’altro le tecnologie moderne come gli smartphone e i social network, Nafisa si ritrova intrappolata tra le aspettative della sua famiglia e il desiderio di emanciparsi, di scegliere un futuro diverso. La regista, con grande maestria, riesce a trasmettere questa dualità con una regia attenta ai dettagli e una fotografia che alterna spazi aperti a inquadrature claustrofobiche, come se il villaggio stesso fosse un luogo chiuso, senza sbocchi, proprio come la vita della giovane protagonista.

Fondamentale è il ruolo della musica e delle canzoni nella narrazione: alcuni dei pochi luoghi in cui le ragazze trovano un modo per sfuggire, dove possono comporre testi che altrimenti risulterebbero inaccettabili in qualsiasi altro contesto ma che danno loro la possibilità di esprimersi.

Un femminile che combatte

Il tema del femminile emerge con forza attraverso il confronto tra tre generazioni di donne: la nonna Al-Sit, che ha dato tutto per la sua famiglia e ha resistito alle violenze del passato, insegnando alle giovani la forza della sopravvivenza; la madre, più pragmatica e concentrata sul benessere economico, e infine Nafisa, che con coraggio cerca di affermare la propria volontà in un contesto che le impone regole rigide e usanze opprimenti.

Alle ragazze non è permesso salire sulle barche”, le viene ripetuto più volte, un’ennesima barriera che vuole limitarla. Il conflitto tra tradizione e libertà è il cuore pulsante del film, e Nafisa, come molte giovani donne in tutto il mondo, si ritrova a lottare per autodeterminarsi, per seguire la propria strada. Ma mentre il mondo attorno a lei rimane il riflesso di un ordine patriarcale, la sua voglia di cambiare è più forte che mai.

Mirghani, pur celebrando la bellezza delle relazioni familiari e della solidarietà che esiste tra le donne, non si tira indietro nel criticare il sistema arcaico che le costringe a vivere in una condizione di costante subalternità. In questo, Nafisa diventa il simbolo di un desiderio universale di liberazione, ma la sua lotta non è facile, né lineare. La società rurale in cui cresce sembra essere bloccata in un limbo temporale, dove la modernità non riesce a penetrare completamente e la tradizione resta intatta, minacciando di soffocare ogni forma di evoluzione personale. Così afferma la regista:

“Le tradizioni non cambiano dall’oggi al domani, ma questo film può essere parte di una conversazione più ampia sull’argomento. Vivendo la vita della mia giovane protagonista sullo schermo, condividendo le sue paure e godendo dei suoi desideri, la mia speranza è che il pubblico possa empatizzare con una giovane ragazza e sostenere la sua causa.”

Il sogno di libertà: un cammino verso il cambiamento

In una scena particolarmente significativa, l’eroina si confronta con il suo mondo attraverso il sogno di un angelo, simbolo di speranza e di un cammino di trasformazione. Questo sogno diventa il filo conduttore della sua evoluzione: non solo un desiderio di cambiamento, ma anche una riflessione sull’importanza di preservare la propria identità, anche a costo di rompere con le proprie radici.

La pellicola, pur ambientata in una realtà rurale e lontana dalle dinamiche occidentali, riesce a parlare a tutti. Le difficoltà di Nafisa sono universali e rappresentano le sfide di chiunque si trovi a vivere in una società che non lascia spazio alla diversità. La regista ci offre così un affresco di una realtà che raramente trova spazio sul grande schermo, ma che ci obbliga a riflettere sul valore della libertà individuale e sull’importanza di ascoltare la propria voce interiore.

In un mondo che cambia velocemente, Nafisa rappresenta una generazione che cerca sé stessa, pur essendo legata a tradizioni che le impediscono di liberarsi completamente. La sua lotta non è solo una questione personale, ma una battaglia che riguarda tutte le giovani donne, ovunque esse si trovino. La strada per la libertà, seppur difficile, è sempre percorribile.