È impensabile per qualsiasi spettatore, persino il più disattento, pensare di poter sfuggire alla ventata di ambizione che Memory of Princess Mumbi emana fin dai suoi primi minuti. Il film, selezionato per competere nelle Giornate degli Autori e adocchiato dal Toronto International Film Festival, scopre immediatamente le sue carte nel tentativo di catapultarci in un universo fantascientifico infuso di nostalgia, reso appositamente fertile per un dialogo su cinema, intelligenza artificiale e ricordi.
Una scenografia futuristica e imponente, che alterna architetture verticali complesse alla ricreazione inventiva di mezzi tecnologici avanzati, ma che soprattutto spiana la strada a una lecita curiosità; com’è riuscito Damien Hauser, il regista di origini keniote in questione, ad ottenere un simile risultato seguendo la tortuosa strada dell’autoproduzione? Dopotutto, Memory of Princess Mumbi è girato interamente in Kenya con risorse locali, in un continente che notoriamente pecca delle risorse necessarie per sostenere le visioni autoriali più ingombranti. 
La risposta è da ricercare nell’intelligenza artificiale, un argomento controverso che negli ultimi anni ha preso il sopravvento sul panorama internazionale dei festival, rappresentando una delle correnti tematiche attualmente più prominenti.
“Volevo creare un film che nessuna intelligenza artificiale avrebbe mai potuto generare, uno che giocasse con i classici tropi cinematografici, ma che fosse in definitiva radicato nella memoria e nella fragile intimità dei rapporti umani” – Damien Hauser
Può sembrare un controsenso, ma Hauser fa davvero un utilizzo sapiente di questo strumento, tanto prezioso quanto arma a doppio taglio, trovando una quadra etica nella trasparenza con cui la sua presenza si intreccia agli eventi. Oltre a essere parte integrante di una trama meticolosamente orchestrata, la presenza dell’AI è infatti prontamente segnalata sullo schermo, togliendo ogni dubbio sul fatto il risultato finale sia opera del più genuino degli intenti umani. 
Memory of Princess Mumbi: la trama del film

Corre l’anno 2093. Ci troviamo in un’Africa immaginaria dove le nuove tecnologie sono state messe al bando a seguito della guerra portata avanti da un partito conservatore, convinto che l’umanità corresse gravi rischi per colpa del loro eccessivo utilizzo. Con l’obiettivo di documentare le ripercussioni del conflitto, un giovane regista di nome Kuve intraprende un pellegrinaggio alla volta del remoto villaggio di Umata, in una terra che ha visto il ritorno in auge degli antichi regni come conseguenza del rinnovato stile di vita analogico.
Una volta arrivato, lui e il suo aiuto regista fanno la conoscenza di Mumbi, una principessa in fuga dai suoi doveri reali. Nell’attesa di venire reclamata dal suo principe per le nozze, la ragazza partecipa al provino per entrare a far parte della loro piccola troupe in qualità di aiutante. Si instaura presto un profondo rapporto di amicizia, che si rivela conflittuale di fronte alle loro integrità artistiche agli antipodi. L’approccio registico di Kuve (e di conseguenza anche dello stesso Hauser) è infatti tutt’altro che analogico, e i tre si ritrovano spesso a discutere sulla presunta necessità di implementare l’intelligenza artificiale per modificare le emozioni facciali dei soggetti intervistati.
Mumbi sfida quindi Kuve a realizzare il suo film senza l’ausilio di strumenti generativi, tracciando delle nuove coordinate al loro viaggio. Le conseguenze saranno inaspettate per entrambi.
Un inaspettato (e raffazzonato) triangolo amoroso
In soli 75 minuti (se escludiamo i titoli di coda), il film propone un quantitativo di avvenimenti spiazzante. Sembra quasi che Hauser non si fidi dei suoi personaggi, timoroso verso l’eventualità che possano annoiare il pubblico, se tutto il peso delle emozioni venisse riposto sulle loro spalle. Un po’ come per Gatsby, la festa non si ferma mai, e tra interviste, red carpet e triangoli amorosi, la delicatezza dei temi passa in secondo piano, diluendosi in questa roulette di generi.  
È proprio la parte finale, quando fa il suo ingresso il personaggio del principe, a risultare più debole, introducendo un intrigo sentimentale insoddisfacente e confuso nelle intenzioni. La credibilità dei rapporti è compromessa dal ritmo a cui la storia procede, e questo intermezzo romantico abbandona la scena rapidamente senza lasciare il segno.
La bellezza come atto di resistenza

Il punto di arrivo è però quello giusto; dopo qualche turbolenza, Hauser dimostra che il film non ha mai perso di vista i suoi ideali:
«Memory of Princess Mumbi nasce dal desiderio di preservare quei momenti piccoli e fugaci che danno senso alla vita. Ambientato in un paese segnato dalla guerra, il film sceglie di non concentrarsi sulla distruzione, ma sulla bellezza come atto di resistenza. Racconta come ciò che scegliamo di osservare e ricordare influenzi la nostra visione del mondo. Spesso sono proprio i gesti più semplici a lasciare il segno più profondo».
In conclusione, Memory of Princess Mumbi è la prova schiacciante che è possibile realizzare grandi film con budget limitati, e che è imperativo esplorare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per padroneggiarla all’occorrenza in futuro, nel modo più etico possibile. Tra lo stupore iniziale e i fuochi d’artificio finali c’è qualche difetto, ma è senza dubbio un’esperienza cinematografica moderna che vale la pena di sperimentare con i propri occhi.