E’ il 2006, Kim Ki-duk esce da una serie di successi internazionali assoluti: L’isola, La Samaritana, Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera, e soprattutto Ferro 3. E’ un autore ormai consacrato, le idee non gli mancano e nemmeno la facilità di realizzarle. Con Time però non tutto va come nelle altre occasioni anche se ci sono notevoli spunti poetici. Time é disponibile su Prime Video: attiva ora la prova gratuita di 30 giorni e guarda gli episodi.
Intreccio
Seh-hee (Park -Ji-yeon) e Ji-woo (Ha Jung-woo) si amano, lo sappiamo da subito e tutto il film non fa altro che ricordarcelo. Ma la gelosia e la routine divengono morbose e Seh-hee teme che più passa il tempo più il suo amato si stancherà di lei per cui deve correre ai ripari. Se il suo volto cambia Ji-woo avrà a disposizione un nuovo volto nella stessa persona e l’amore tornerà fresco come i primi giorni. Si innesca qui la storia che vedrà più volte ricorrere la chirurgia estetica quasi fosse terapia di coppia.
Deperimento dell’immagine o dell’identità
<<Do you want a new life?>>Questa è l’insegna della clinica estetica che, pur disapprovando, realizza la volontà di un nuovo volto per Seh-hee. Ma un nuovo volto, una nuova immagine sono veramente sinonimi di una nuova identità e di una nuova sostanza? Assolutamente no. Questo Seh-hee lo sa bene. La protagonista vuole essere amata per quello che è dentro. Il volto deve rimanere solo un accessorio: Seh- hee diventa così See-hee (Sung -Hyun-ah): per noi occidentali solo con i sottotitoli è possibile cogliere questa differenza lessicale.
Ji-woo, sinceramente, arriverebbe ad amare la nuova See-hee ma non riesce andare oltre. Si sente troppo innamorato della vecchia Seh-hee, e, anche se è sparita da mesi, non se la sente di tradirla. La nuova See-hee sperimenta cosi l’imprevedibile gelosia verso la vecchia Seh-hee, la gelosia verso se stessa che non c’è più. Immagine e identità deperiscono insieme. Il trauma è servito.
Ji-woo, scoperta la storia, piomba a sua volte in una crisi esistenziale e finisce per cadere nella stessa trappola. Cambiare volto per cambiare realtà e percezione degli altri.
Dal vedere con il cuore all’estetica del dolore
Kim Ki-duk ci mostra, attraverso le trasformazioni dei suoi personaggi, che nell’altro non si cerchi tanto l’essenza quanto l’immagine che noi stessi vogliamo vedere riflessa. Un corto circuito irrimediabilmente distruttivo.
Vedere con il cuore appartiene ai monaci di Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera non a questi personaggi che accecati da troppo amore non riescono a superare le proprie paure.
L’estetica del dolore diventa la materia necessaria su cui intraprendere il percorso di trasformazione. Non tanto Ferro 3 quanto piuttosto L’isola ne è il riferimento più immediato. Il dolore degli interventi chirurgici viene prima raccontato, poi mostrato quindi subito dagli stessi protagonisti che passano mesi a far rimarginare le ferite. Il dolore estremo dell’irrimediabile finale.
Il film si sviluppa in pochi luoghi deputati a dispetto della tentacolarità che può mostrare una città come Seoul: c’è il bar degli amori infranti, la clinica, la camera e il parco delle statue. Ogni sezione del film attraversa gli stessi luoghi quasi come fosse un percorso obbligato un corto circuito narrativo. Il tema delle statue ricorre spesso nella filmografia del regista: già era stato toccato in Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera poi diventerà emblematico in Pietàdove ricorrerà lo stesso ambiente marino.
Difetti e inverosimiglianze
Ma perché Timenon siede con tra le opere migliori del regista? Perché in Time, oltre l’idea mancano attenzioni e profondità.
Innanzitutto certe inverosimiglianze: ok cambiare il volto ma la voce? Come è possibile non riconoscere la vecchia voce? E poi tutto il resto del corpo, come si può, a prescindere dal volto, continuare ad essere irriconoscibili. Lo stesso errore di inverosimiglianza lo farà quasi un decennio dopo Christian Petzold ne Il segreto del suo volto.
I dialoghi sono al limite della superficialità, le reazioni dei protagonisti sono esagerate e i personaggi di contorno sono delle macchiette.
Scenograficamente inoltre, lo stesso insistere sugli stessi luoghi finisce per far assomigliare il film ad una di sit-com televisiva.
In questo film Kim Ki-duk ha lavorato con scarsa attenzione e quindi, dolorosamente, il risultato ha mancato il bersaglio. Non è l’unico film infelice del regista, già L’Arco e poi La Chiamata dal cielo non sono riusciti. In quest’opera resta più forte però il rammarico di opera incompiuta. Vale per questo l’idea della disperata ricerca che See-hee fa del nuovo Ji-woo quando si mette a stringere le mani degli sconosciuti cercando di ritrovare la forma della mano del suo amato. Una scena questa che insegue il tema del finale di Luci della città, quando Charlie Chaplin viene riconosciuto dalla fioraia non più cieca Virginia Cherrill.