Nel cartellone dell”ottava edizione del Saturnia Film Festival dove è stato votato dal pubblico come miglior film, Familia di Francesco Costabile racconta il cuore nero del nostro paese continuando a scavare nelle ragioni di una vera e propria piaga sociale. Di Familia abbiamo parlato con Francesco Costabile.

Familia di Francesco Costabile e non solo
Una femmina e Familia si portano dietro una sorta di peccato originale che condiziona l’esistenza dei protagonisti.
É vero, c’è questo punto in comune che scava all’origine di ciò che si è vissuto. Entrambi i protagonisti devono fare i conti con il passato e con una memoria traumatica che fatica ad emergere. Una Femmina e Familia hanno un linguaggio e una struttura destinata a portare alla luce un rimosso che condiziona i personaggi in maniera anche drammatica perché entrambi diventano assassini. Rosa uccide lo zio che rappresenta il nemico, colui che gli ha ammazzato la madre e che è il rappresentante di una cultura violenta e patriarcale. Lo stessa cosa capita a Gigi che a un certo punto è costretto a sopprimere il padre. Parliamo di similitudini non del tutto razionali. Non era mia intenzione creare dei parallelismi così evidenti però ripensandoci i film hanno un’unica matrice.
Non solo il contenuto, ma anche la forma contribuisce a creare queste similitudini. Familia inizia con uno scambio di battute – Lo senti ancora? Sì, non va più via – che come in Una Femmina fa del male; un elemento metafisico perché questo è più qualcosa che sentiamo. Come il personaggio di Fabrizio Ferracane anche il Francesco Celeste interpretato da Francesco Di Leva sembra essere più un diavolo che un essere umano.
In effetti è così. Diciamo che in Familia ho voluto stratificare un po’ meglio l’elemento mostruoso del male perché Francesco Di Leva lavora spesso sul doppio registro. In Una Femmina Ciccio era un ndranghetista per cui aveva un percorso già delineato e anche molte meno scene a disposizione. In generale il male che si manifesta all’interno dei protagonisti implode all’interno dei personaggi, spesso chi ha conosciuto il linguaggio della violenza non ha altri modi di reagire, se non manifestando la stessa violenza su se stessi.

Cinema horror?
I tuoi film sono dei veri e propri incubi. A dirlo è il modo in cui immagini e sonoro rimandano al subconscio dei personaggi. Stilemi e luoghi del tuo cinema si nutrono di archetipi propri del cinema horror a cominciare dal fatto che le tue storie prendono vita dalla possessione del male che investe l’innocenza dei bambini.
Diciamo che il cinema horror è quello che ho amato da bambino e che ha guidato le mie scelte nel momento in cui ho deciso di fare questo mestiere. In Familia ho usato un doppio registro: da un punto di vista drammaturgico il linguaggio di genere mi permette di far riacquisire ai personaggi un’esperienza traumatica. D’altra parte questa procedura mi dà la possibilità di trasformare l’esperienza cinematografica in qualcosa di irrazionale. Il mio obiettivo è quello di trasformare il viaggio dello spettatore in una direzione non totalmente realistica in cui lo stesso si possa abbandonare.
In una delle primissime scene vediamo nel buio del soggiorno il personaggio di Barbara Ronchi avvolto nel biancore della vestaglia mentre con aria spaventata si rivolge al fuori campo. La presenza dello schermo bianco del televisore completa una serie di caratteristiche che rimandano a una situazione tipica degli horror movie.
Nella prima parte ho voluto mettere in scena i ricordi di un bambino entrando dentro il suo inconscio. Per questo ho girato con lenti particolari, capaci di trasfigurare il più possibile la rappresentazione di quella memoria. In particolare la prima e l’ultima scena non sono altro che i ricordi di Luigi Celeste rispetto al trauma iniziale, quello che lo continua a tormentare anche da adulto.
Franco Celeste in Familia di Francesco Costabile
Il modo in cui introduci nella storia la figura di Franco Celeste risponde a questo criterio formale se è vero che la prima volta si manifesta come voce fuori campo che interrompe il gioco dei bambini. Fin dal principio Franco ci appare dapprima come un’entità maligna e solo dopo come persona.
Più che entità maligna quella di cui parli è l’origine della rabbia di Luigi che poi trova sfogo nel fascismo, ovvero in ciò che assomiglia di più all’esperienza con la figura paterna.
Il fascismo diventa metafora della cultura patriarcale.
Infatti di quel gruppo a Luigi non interessa tanto l’ideologia, ma lo vede come valvola di sfogo della sua rabbia. In termini di genere potremmo definire quel momento come l’attimo in cui il ragazzo viene posseduto dal padre.

Anche la prima apparizione di Celeste alla moglie, con lui riflesso in maniera sfocata all’interno dello specchio rimanda a una dimensione metafisica. La stessa a cui alludeva la pittura rinascimentale in cui le superficie riflettenti erano considerate uno strumento del diavolo. Nel film il rapporto tra la figura di Celeste e gli specchi presenti nelle abitazioni è molto stretto.
Difatti in Calabria e in generale nel sud Italia quando ci sono i funerali si usava coprirli. Ciò a cui ti riferisci è un elemento inconscio che appartiene a un archetipo collettivo sapendo che per la psicanalisi gli specchi segnalano la presenza del doppio. In Familia quest’ultimi rimandavano alla similitudini tra Luigi e Franco.
Luigi e Franco
Ripetendone la gestualità Luigi potrebbe essere una sorta di doppio di Celeste. Penso al dito passato sulle labbra di Giulia, la sua fidanzata, simile a quello che Celeste mette sulla bocca della moglie.
In realtà non ho chiesto io all’attore di farlo. E’ stato un gesto che è venuto naturale a Francesco Gheghi e che però come giustamente hai notato richiama la figura del padre. Nel caso di Luigi si tratta di una manifestazione d’amore del tutto slegata da questioni sessuali. O meglio è un gesto la cui matrice sessuale è ammorbidita dall’amore.
Quasi un romanzo
Uno dei motivi di fascino di un film come Familia è quello di assomigliare a un romanzo e dunque di essere riuscito a mantenere una centralità narrativa nonostante la storia si allarghi su contesti ed esperienze che mettono in campo realtà diverse dalla famiglia di Luigi. Il rischio era quello di restare sulla superficie delle cose, invece Familia riesce miracolosamente a trovare una compattezza e una profondità d’analisi capaci di coinvolgere lo spettatore dall’inizio alla fine.
In effetti è stata una scelta di scrittura, quella di procedere per grandi ellissi. Familia ha un ritmo di questo tipo per cui ci sono momenti di sospensione che sono comunque drammatici. C’era da parte mia il tentativo di fare un po’ di melodramma che in quanto tale è strutturato su scene madri. Nel film c’è un ritmo drammaturgico crescente che riduce lo spazio di sospensione. Soprattutto la seconda parte procede fino alla morte del padre in maniera più sincopata ed ellittica.

Come nella realtà a un certo punto la storia si concentra sul classico rapporto a tre in cui rispetto alla figura materna il figlio diventa una sorta di antagonista del padre.
Il film è strutturato sul rapporto tra padre e figlio in cui la madre figura come vittima sacrificale quindi sì, mi sono concentrato su un conflitto drammaturgico rispetto al quale Alessandro, l’altro figlio, rimane sempre un passo indietro rispetto ai protagonisti ed è l’unico elemento razionale di quella casa.
La sequenza che introduce il secondo capitolo della storia ci mostra Luigi in un ambiente inedito, mescolato ai militanti fascisti che si caricano uno con l’altro prima di passare all’azione. La cifra onirica delle immagini e l’effige di un teschio messa in bella mostra sembrano continuare in termini di senso con i significati della scena iniziale.
In realtà quell’introduzione sul mondo fascista l’ho realizzata per raccontarne la seduzione nei confronti dei giovani. Il fascismo esercita sui ragazzi una violenza. L’esaltazione della virilità attraverso la potenza del rito affascina i maschi che si avvicinano a quel mondo quindi si tratta di un’introduzione che richiama la seduzione che Celeste esercita su Luigi. In qualche modo è successo anche a Licia di innamorarsi in maniera distorta e malsana di questo aspetto del marito.
Gli spazi in Familia di Francesco Costabile
Come per Una Femmina anche Familia descrive l’insinuazione del male attraverso la rappresentazione di uno stato d’assedio con gli interni della casa che sembrano soffocare lo spazio d’azione dei personaggi obbligandoli a muoversi in uno spazio circoscritto.
Sì, è vero, spesso c’è quest’elemento della soglia, delle porte che mi ha sempre affascinato. In qualche modo entrambi i film sono strutturati sull’idea della gabbia, della prigione emotiva. Quando non c’è Franco gli interni appaiono più luminosi, più accoglienti per poi incupirsi con il ritorno del padre. La stessa cosa succede anche nella seconda casa dove la normalità della prima colazione è destinata a deflagrare. Il finale nella veranda, seguito dalla porta che si apre, rappresenta una liberazione.

Il finale di Familia ricorda quello di Una Femmina. Anche lì la liberazione dal male è raffigurata da un’apertura spaziale e dal varco di una soglia, quello delle mura del paese che sostituiscono le pareti della casa.
Esatto. Sono tutte cose presenti nel film, ma non premeditate, nel senso che sono arrivate da sè. L’unica cosa che ho strutturato in maniera chiara per richiamare il primo film è l’immagine della porta, simile a quella presente nel lavoro precedente. Per me è come se Familia ripartisse da lì. Quello è il punto d’unione dei due lungometraggi. Le tue annotazioni sono belle e precise rispetto a qualcosa che è parte naturale nel processo creativo.
Se in qualche modo il rapporto tra Luigi e Giulia ricalca quello tra Celeste e Licia la scena in cui i ragazzi si baciano all’interno del tunnel dell’orrore rimanda in maniera beffarda alla pericolosità dell’amore in questione.
Sì, è la sintesi di un amore che si trasforma in un viaggio dell’orrore.
Un passo avanti
Familia fa un passo in avanti rispetto alla questione del patriarcato perché qui è un uomo ad ammazzare il padre.
E’ impensabile pensare che le vittime del patriarcato siano solo donne. È vero che queste ultime sono più colpite, ma in realtà anche gli uomini sono vittime di questa cultura. Privare gli uomini della loro emotività, castrarli sul piano emotivo, crea i presupposti per la violenza di genere, questo film ha voluto esplorare anche l’universo maschile.

Che Familia sia una storia dark è testimoniata anche da elementi accessori come costumi e acconciature e dunque da un modo di vestire quasi punk in cui è il colore nero – dei capelli e dei vestiti – a dominare la scena.
Sì, anche se le scelte sono molto legate al movimento skineheads. Anche Giulia è stata strutturata su quella linea. Essendo innamorata di Luigi, a livello visivo, non volevamo creare un contrasto troppo evidente tra i due personaggi. Le parole del ragazzo quando dice a Giulia di non volerle far fare la fine della madre lo certificano.

Parliamo degli attori e della loro direzione. In Familia qualunque personaggio partecipa alla storia con pari intensità. Come sei riuscito ad assemblare corpi così diversi?
Molto dipende dalla bravura degli interpreti. Il mio merito forse è stato di lasciarli liberi. Non sempre è possibile, ma quando si può lascio loro la possibilità di cambiare le battute e di sperimentare la propria gestualità.
Nel tuo cinema la visione della violenza rimane sempre fuori campo come se volessi risparmiare ai tuoi protagonisti lo strazio derivato dalla vista del sangue. E’ così?
Familia è un film basato soprattutto sulla violenza psicologica e in particolare su quella subita dai bambini. Sono due forme di oppressione di cui si parla poco e quelle più difficili da individuare perchè spesso sono le vittime a non rendersene conto. Aggiungo che la rappresentazione della violenza è in qualche modo morbosa, pornografica, spettacolare. Al contrario il fuoricampo, il vedere e non vedere produce effetti emotivi più forti. Immaginare quanto successo, senza poterlo osservare, riduce la distanza tra film e spettatore, aumentando la partecipazione di chi guarda.