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‘L’ultimo turno’: quando un’infermiera deve essere un’eroina

Una regia immersiva accompagnata da una performance intensa, in grado di descrivere le difficoltà di chi si prende cura di noi. Al cinema dal 20 Agosto

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Quante volte ci capita di entrare in ospedale e dare per scontato che chi si prende cura di noi sia semplicemente lì, presente, pronto? Quante volte ci fermiamo a pensare cosa significhi davvero vivere una notte in corsia, con poco personale, troppe urgenze, e nessuna possibilità di sbagliare? L’ultimo turno (titolo originale Heldin), è uno di quei film che non si dimenticano in fretta. Perché non racconta solo una storia: trascina dentro, affatica, fa sudare insieme alla sua protagonista, Floria, un’infermiera che affronta una notte che sembra non finire mai.

Al cinema dal 20 Agosto con BIM.

Dietro la macchina da presa c’è Petra Biondina Volpe, regista svizzera già conosciuta per L’ordine divino (2017). Un film sul suffragio femminile in Svizzera che le ha fatto guadagnare ben quattordici premi internazionali. Al suo fianco torna Leonie Benesch, protagonista del film La sala professori (candidato all’Oscar come miglior film internazionale). Presentato fuori concorso alla Berlinale 2025, L’ultimo turno non è solo cinema: è una dichiarazione d’amore (e una denuncia) per una delle professioni più invisibili e fondamentali di oggi.

Floria è davvero una “Heldin” (eroina)?

Il titolo originale del film, Heldin (“eroina”), solleva una domanda scomoda fin da subito: è davvero questo che ci si aspetta da un’infermiera? Che sia un’eroina ogni singola notte? Che non sbagli mai? Floria, interpretata da una intensissima Leonie Benesch, è sì al centro della narrazione, ma non come simbolo di infallibilità. Al contrario. È una donna che si scontra con un sistema sociale che pretende da lei forza, cura, controllo, empatia costantemente. Non lasciandole neppure lo spazio per la vulnerabilità.

Con lei non attraversiamo solo un lungo turno di lavoro, ma un viaggio nella solitudine professionale, la frustrazione etica, e la stanchezza che corrode anche i gesti più umani.

Una regia immersiva

Il merito più grande di Petra Volpe è proprio questo: costruire un’esperienza sensoriale prima ancora che narrativa. La regia non si limita ad accompagnare, ma incalza. I movimenti di macchina sono frenetici, talvolta opprimenti. Il montaggio è nervoso, disarmonico, come il battito accelerato di chi è sotto pressione. Non c’è mai un momento di vero respiro, ed è questa la forza immersiva del film: accompagnarci dentro il corpo stesso di Floria.

Nell’intervista che Volpe ha rischiato, è chiarissima:

“Volevo che il pubblico si sentisse intrappolato in quella notte, come succede a chi lavora ogni giorno in un sistema al collasso. Non basta raccontare. Bisogna far sentire.”

E ci riesce. La camera segue Floria, ma non con freddezza documentaria: ci entra dentro. Ogni ansia, ogni esitazione, ogni sguardo trattenuto sono anche nostri.

Un archetipo che implode

Floria incarna l’archetipo dell’angelo del focolare:  la donna che si prende cura degli altri, che sostiene, che consola. Ma L’ultimo turno decostruisce questo mito. Floria è tutto questo, sì, ma solo perché il contesto glielo impone. Il film non la celebra come eroina, ma ci mostra quanto la sua condizione sia imposta, non scelta. Soprattutto quando si tratta di portare un tè caldo al paziente privato.

Il corpo di Floria è sempre al centro della messinscena: costantemente in movimento, ma anche sorvegliato. E in quella corporeità forzata si leggono tutte le sue ferite invisibili. Come nota SZENE Hamburg nell’intervista a Benesch:

“La sfida più grande era non cedere mai all’enfasi. Floria è stanca, ma non si arrende. È empatica, ma non è una santa. È una donna, prima ancora che un simbolo.”

E questo rende il personaggio profondamente reale.

L’infermiera è il sistema: il vero conflitto

L’ultimo turno è anche una denuncia sociale. In Svizzera, come in molte altre parti d’Europa, il sistema sanitario è sempre più diviso tra pubblico e privato. Chi ha un’assicurazione premium riceve più attenzione, più tempo, più possibilità. Chi non ce l’ha, viene trattato “con quello che c’è”. Ed è qui che il film affonda il colpo.

“Mi dispiace, ma oggi siamo solo in due.”

Una frase che ritorna come un mantra e diventa un’ammissione di impotenza. Floria vorrebbe fare di più. Ma non può. Perché mancano le risorse, mancano i colleghi, manca il tempo. E non è solo lei a pagare il prezzo: sono anche i pazienti. Umani, fragili, talvolta rabbiosi, talvolta abbandonati.
L’opera non ci dice da che parte stare. Ci mostra una struttura che non regge, e ci lascia il compito più difficile: quello di riflettere.

Il lavoro emotivo che nessuno vede

C’è un altro aspetto, meno evidente ma altrettanto centrale, che L’ultimo turno riesce a portare in primo piano: quello del lavoro emotivo. Quella fatica invisibile che molte figure di cura, soprattutto femminili, sono costrette a compiere ogni giorno, al di là del contratto e delle ore segnate. Tenere a bada l’ansia di un paziente, consolare una madre spaventata, mascherare la propria stanchezza per non trasmetterla agli altri. In uno dei passaggi più intensi dell’intervista, Benesch dice:

“È il lavoro più emotivamente faticoso che io abbia mai interpretato. Floria non si può permettere nemmeno un crollo.”

Ecco la chiave: la prestazione emotiva, spesso pretesa ma mai riconosciuta, è una gabbia silenziosa. Il film ci chiede di riconsiderare tutto questo. Di non dare per scontata la forza di coloro che si prendono cura, e di accettare che hanno (anche loro) diritto alla fragilità.

L’ultimo turno

  • Anno: 2025
  • Durata: 92 min
  • Distribuzione: Bim Distribuzione
  • Genere: Drammatico, Fiction
  • Nazionalita: Svizzera
  • Regia: Petra Biondina Volpe
  • Data di uscita: 20-August-2025