Seppur col suo linguaggio da sit-com, Seth Rogen riesce nella difficile missione di parlare dei meccanismi dell’industria hollywoodiana. Facendolo con ironia, e incredibile acume
Arriva a conclusione The Studio, la serie creata da Seth Rogen e EvanGoldberg per Apple Tv+, prodotta da Lionsgate Television. Nel cast regolare, lo stesso Seth Rogen, Bryan Cranston, Catherine O’Hara e Kathryn Hahn. Ma la particolarità della serie è avere avuto, quasi a ogni episodio, numerose guest-stars del calibro di Martin Scorsese, Ron Howard e Zoë Kravitz.
Il TRAILER – The Studio
Sinossi – The Studio
Matt Remick (Seth Rogen) è un produttore in cerca della promozione della vita e della sua carriera. Quando viene nominato capo dei Continental Studio, Remick si trova a dover salvare una società piena di debiti, mentre cerca di preservare il proprio spirito indipendente.
Il cinema è un imprevisto – The Studio
Ne The Studio, dall’ inizio fino alla sua conclusione, emerge il tratto tutto satirico di Rogen e Goldberg accomunato in due dinamiche principali: l’imprevisto del cinema e i suoi protagonisti freak. La tendenza che infatti assume la serie nell’ospitare le varie star di Hollywood (sulle quali ruota gran parte dei disastri di Matt Remick), non ha la funzione solo di sfruttare la fama reale dei vari Scorsese o Kravitz come avviene in altre sit-com del calibro di Friends o 30 Rock. Il loro inserimento in The Studio è in linea con il concept di fondo di Roger di ridicolizzare i divi, per arrivare al vero nucleo della serie, ossia rendere Hollywood, nel suo piano industriale, un ambiente sia tossico che grottesco.
La sit-com pungente sul dietro le quinte del cinema
E quindi mentre i vari Ron Howard e Olivia Wilde, tra furti di pellicole ed esagerazioni di montaggio, ci riportano la figura della star hollywoodiana che è perennemente dentro il sistema-cinema in base ai propri capricci, Rogen e la serie continuano a far rimanere il cuore della narrazione sull’imprevisto. The Studio si muove come una sit-com, con il CEO dei Continental Studios e la sua ristretta cerchia dirigenziale che cercano in tutti i modi di venire a capo a diversi caos inerenti la realizzazione delle loro imminenti produzioni. Non sanno come dire a Scorsese che la sua sceneggiatura sul massacro di Jonestown non verrà mai realizzata. Devono trovare un modo per risolvere un film pieno di stereotipi con Ice Cube, e in ultimo, mentre tentano di salvare la vendita della Continental da Amazon, si ritrovano alla presentazione del CinemaCon con Zoe Kravitz drogata accidentalmente da cioccolatini allucinogeni.
Rogen nel suo The Studio usa l’imprevidivilità della commedia, la co-azione a ripetere dell’incognita, per trattare l’industria hollywoodiana come un perenne cantiere aperto, dove i capi degli studios, che in teoria dovrebbero avere la meglio sulle stars, si ritrovano in loro balia, scendendo a compromessi e identificandosi più come agenti che come produttori. È questo uno dei piani satirici più riusciti di Rogen; togliendo la serietà ai meccanismi del cinema americano, lo showrunner, con grande acume, ha svuotato Hollywood della propria organizzazione progettuale, fornendoci un dietro le quinte vibrante e pieno di una divertente critica al cinema americano.
La crisi della nuova Golden Age
Il mondo di The Studio è l’ambiente odierno hollywoodiano, dominato da conglomerati hi-tech che vogliono mangiarsi i vecchi studios e i loro cataloghi. Un cinema che, pur contagiato da elementi contemporanei di cui la serie parla di continuo (il razzismo, i film queer, i girl movie), riflette la crisi del cinema classico hollywoodiano anni ‘60 e che Rogen , invece, riporta ai giorni nostri. Nell’idea del regista di The Interview, Hollywood è rimasta inglobata nel filone post IndieWood e New Hollywood.
L’era del blockbuster, come la definisce Geoff King, ha talmente appiattito e consumato le produzioni contemporanee da aver esaurito il proprio impulso creativo. Così Rogen ci porta dentro all’età dell’oro dell’attuale cinema americano, in piena crisi d’identità e in una eterna lotta produttiva per incassare e non farsi acquisire dai nuovi conglomerati hi-tech.
Una satira pungente su Hollywood
La serie comincia non a caso con il pericolo del gigante di Bezos che soffia forte sui destini della Continental Studios, e termina con la presentazione del nuovo catalogo dello studios per attirare investitori e allontanare la vendita ad Amazon. Al netto dell’acuta rappresentazione di crisi industriale operata dalla coppia Goldberg-Rogen, The Studio delinea anche un’altra critica, quella del produttore hollywoodiano d’oggi. Matt Remick, il capo della Continental, interpretato da Seth Rogen, è un dirigente pieno di fobie, insicurezze, che nella sua forma comica vuole essere all’altezza dell’industria e pienamente accettato da essa.
Nel secondo episodio, L’Oner, si intrufola sul set del dramma romantico The Silver Lake, cercando di unire la figura di produttore a quella di creativo ma combinando solo guai, e rallentando le riprese. È però nell’episodio dei Golden Globe che il desiderio di Remick di essere considerato sprofonda in un timido ego, e nelle sue incertezze di leader e di protagonista dell’industria. Provando in tutti i modi a essere ringraziato dalla Kravitz durante il conferimento del premio, dopo il solito schema di imprevisti, l’alterego di Rogen se ne torna nella sua limousine lontano dai riflettori. In The Studio quindi la figura del produttore e capo di uno studios è al servizio della satira della serie, raffigurando i vertici di Hollywood come dilettanti allo sbaraglio e smaniosi di farsi apprezzare.
La regia di Seth Rogen
The Studio, fin dal suo primo episodio, si caratterizza per le sue riprese realiste tra maestosi piano-sequenza e long take. Nel reparto tecnico della serie Apple, nell’uso che Rogen e Goldberg fanno di un’estetica tra il mockumentary e il dramedy, si respira l’intenzione dei due creatori di rappresentare l’Hollywood odierna con la rinascita degli anni ’70. Con l’unica differenza che per Rogen il cinema americano di oggi è completamente autoreferenziale, chiuso nella propria staticità di film e prodotti, perennemente in balia di fusioni e imminenti declini.
Certo non siamo dinnanzi ad una serie perfetta. Alcuni episodi perdono il focus narrativo come avviene in quelli con Olivia Wilde e Parker Finn. E in alcuni tratti, verso metà narrazione, sembra che Rogen eviti di criticare e toccare punti scomodi, decidendo volutamente di non approfondire una critica alle piattaforme streaming. Ma la serie riesce comunque a mantenere i suoi toni farseschi e di satira cinematografica, senza mai perdere di vista la propria critica all’industria hollywoodiana.
The Studio è indubbiamente il caso dell’anno, candidandosi a pieno merito tra le migliori serie del 2025. La pregevole regia di Rogen e Goldberg unita al loro tagliente umorismo, fanno dello show di Apple un’intelligente analisi sullo stato del cinema nell’epoca dei nuovi conglomerati.