Dopo Showing Up, Kelly Reichardt torna in Concorso con The Mastermind, abbandonando il suo amato Oregon per filmare il Massachusetts degli anni ’70, giocando con i codici dei film americani e di rapina.
Nel turbolento contesto segnato dalla guerra del Vietnam e dal movimento di liberazione delle donne, JB Mooney (un fantastico Josh O’Connor in odore di premio) è un falegname disoccupato, che vive bene nel suo ozio. Figlio di un giudice, sposato con Terry (Alana Haim, una scelta perfetta), padre di due gemelli occhialuti e vivaci. Nella cittadina di Framingham non c’è molto da fare e James porta spesso la famiglia al museo di arte moderna. Qui si esercita in piccoli, innocenti furti. Ma è pronto a mettere in atto il grande colpo.
Una colonna sonora di puro jazz e percussioni, puntella The Mastermind, subplot emotivo della ‘ossessione’ del suo protagonista. Scisso tra una normalità familiare delicata e la furtiva elaborazione del suo piano. Un piano totalmente approssimativo, con dei complici inaffidabili, buffo nella realizzazione (la scena dell’appropriazione dei quadri è tra il surreale e il comico).
La politica, intanto, lontano dalla provincia, cmq la raggiunge: i manifesti dello Zio Sam che richiamano alle armi, Nixon che parla in tv, ma il mondo interiore di James è concentrato su se stesso. Tutto fila abbastanza liscio, nonostante qualche intoppo. Ma di lì a poco, per lui tutto cambierà.

Il viaggio nostalgico di un fuggitivo
Kelly Reichardt, figura di spicco del cinema indipendente americano, sa raccontare quell’America da cui è sempre rimasta attratta: i paesaggi rurali, la classe operaia, la vita ‘emarginata’, le alienazioni esistenziali, la terribile normalità quotidiana. C’è chi riesce a non farsi intaccare da quel loop, incastrandosi ad esso meccanicamente (come fa Terry). Chi, invece, come James, è alla ricerca di qualcosa a cui non riesce a dare un nome.
Uno dei passaggi più efficaci è lo sguardo tenero e ambiguo sulla famiglia e sulla paternità che The Mastermind ci rende, nel rapporto del protagonista con i suoi genitori, la moglie e i suoi figli.
The Mastermind ha il profumo di una fotografia vintage ‘sbiadita’, evocando John Cassevetes. Il finale beffa, a cui arriviamo spiazzati, risucchia il nostro protagonista nella realtà che ha sempre ignorato.