Terza edizione per l’Unarchive Found Footage Festival, sempre più anti-conformista non solo nel conservare il passato, ma nell’interrogarlo, rimetterlo in discussione, farlo parlare al presente. E in questo, tra le varie opere, non può che spiccare Razeh-del, creazione di Maryam Takafory, presente nella categoria ‘Concorso internazionale’ del festival.
Schegge di memoria, reminiscenze, ricordi. Da oltre dieci anni, la regista iraniana unisce arte e realtà, elevando il cinema a strumento socialmente indispensabile per percepire corsi e ricorsi storici. Protagonista assoluto l’Iran, suo paese di appartenenza, che Takafory osserva, analizza, prova a comprendere in ogni sua sfaccettatura sociale e politica.
Siamo di fronte a un punto di riferimento internazionale, come dimostrano gli svariati riconoscimenti ottenuti negli ultimi anni: un Gold Hugo al Chicago International Film Festival del 2022, il Tiger Short Award al Rotterdam IFF del 2022, il Barbara Hammer Feminist Film Award all’Ann Arbor Film Festival del 2022 e il Best Experimental Film Award al Melbourne International Film Festival nel 2021 e nel 2022.
Razeh-del, la storia di Zan
Scendendo nel particolare, la storia di Razeh-del (‘Segreti del cuore’) ruota attorno a due ragazze che decidono di scrivere una lettera a Zan, settimanale iraniano in lingua persiana fondato da Faezeh Hashemi nel 1998; in attesa di risposta, si cimentano nel tentativo di realizzare un film.
Ma che tipo di settimanale è Zan? Perché è così importante? La rivista giocò un ruolo cruciale nell’aprire la scena politica alle donne, evidenziandone l’insufficiente e alquanto avvilente rilevanza nelle decisioni del Paese. Tra interventi della magistratura e continue censure, il 6 aprile 1999 il giornale fu soppresso per ordine della Corte Rivoluzionaria.
Un montaggio ipnotico, tra messaggi e foto di repertorio
Non c’è bisogno di distinguere il materiale di repertorio dalle intuizioni artistiche di Maryam Takafory, perché lo scopo della ‘forma’ utilizzata è esattamente questo: far capire che i suoi occhi vedono, vivono e tollerano quello che ogni donna persiana subisce all’interno di un contesto perennemente ostile.
Un film incentrato sull’esistenza di una resistenza radicale, una sovversione silenziosa. Il tutto contro una censura che, in questo contesto, non è solo quella evidente, istituzionale, ma è anche quella interiorizzata e normalizzata, differente da quella occidentale legata alla logica del profitto: qui a essere interdetto è il pensiero stesso, l’immaginazione dissidente.
E il montaggio ci stimola senza sosta, con tecniche suggestive e ipnotiche: dialoghi oscillanti tra l’inglese e il persiano, immagini che si specchiano l’una nell’altra, negativi, colori caldi e continui messaggi in sovrimpressione. Un’esperienza coinvolgente, necessaria per immergersi in maniera tutt’altro che didascalica in un frammento di storia fondamentale dell’umanità.