Connect with us

Cannes

‘Renoir’: quando l’anima è fredda

Possiamo davvero comprendere la sofferenza degli altri? Fuki è una bambina emotivamente asettica.

Pubblicato

il

Renoir

Tre anni dopo Plan 75 (Camer D’or e Menzione Speciale a Cannes), la regista nipponica Chie Hayakawa entra dalla porta principale del Concorso con una storia intima e familiare. Renoir è lo sguardo di una bambina nella sua solitudine emotiva.

Fuki (interpretata magistralmente dalla piccola Yui Suzuki), figlia unica, è piena di curiosità. Vive in un mondo tutto suo, attratta come una calamita da qualunque cosa solleciti le sue antenne. Soprattutto l’irrazionale: poter usare il pensiero per comunicare con gli altri, per muovere oggetti. Gira con la sua bicicletta tra il fiume, la scuola e l’ospedale.

Suo padre (Lily Franky, autore, attore e sceneggiatore, il suo libro Mom and Me, and Sometimes Dad è stato una fonte di ispirazione importante per la regista), malato terminale di cancro, è stato portato lì: non ci sono speranze. Fuki è spesso sola. Utako (Hikari Ishida), la madre, tra il lavoro e la malattia del marito, non ha il tempo di stare con lei. Non comunicano veramente.

Renoir scava dalle stesse esperienze di Chie Hayakawa:

È una storia per chiunque si senta solo nella propria famiglia, me compresa, a un certo punto della mia vita.

Renoir

Ambientato nella fine degli anni ’80 a Tokyo, un periodo storico particolarmente significativo per il Giappone, che rincorreva l’Occidente nella crescita economica e nella maggiore produttività. Il lavoro veniva considerato come un sacrificio necessario a cui votarsi. Come fa Utako, ambiziosa e infaticabile: non si accorge di sua figlia, dandola per scontata.

Fuki spesso va a trovare il papà. Con lui gioca al gioco del pensiero: se c’è vera connessione con la persona che si ha davanti, quella persona sicuramente indovinerà la carta che lei ha pescato dal mazzo. A parte questo, la piccola non riesce a provare vere emozioni. Non piange. Non si connette realmente con le persone che incontra. Anche il rapporto con la nuova amica, da poco conosciuta, è asettico.

Renoir possiede una luce tutta sua. Lavora per sottrazione, caricandosi addosso lo stato interiore della sua protagonista. Ne percepisce le varie sfumature e i non detti, le osservazioni di piccoli dettagli, le freddezze emotive, a volte quasi spietate. La macchina da presa riesce a tramettere questo stato di assenza, sospensione. Di indeterminatezza. Parallelamente è anche un racconto di formazione:

Anch’io avevo un padre che aveva il cancro. Ricordo i giorni in cui andavo in ospedale. Ciò che ho visto lì – i pazienti, le loro famiglie, le infermiere, perfino gli odori – è ancora molto vivido nella mia memoria.

Il distacco di Fuki dal padre, che la piccola sente sempre più pressante nonostante tenti inconsciamente di rimandarlo, lascerà tracce che la piccola imparerà col tempo ad interpretare, decodificare.

Renoir

Chie Hayakawam che per sua ammissione ha voluto realizzare un film che scuotesse le sue stesse emozioni, con Renoir c’entra l’obiettivo. Non lo cogliamo immediatamente, nella sua essenza. Renoir ha bisogno di essere sedimentato per scoprirlo veramente.

 

Renoir

  • Anno: 2026
  • Durata: 116'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Giappone, Francia, Singapore, Filippine, Indonesia
  • Regia: Chie Hayakawa