Adattamento libero de Les Fleurs de l’ombre di Tatiana de Rosnay, il Fuori Concorso Dalloway di Yann Gozlan affronta un tema attualissimo.
Clarissa (la splendida e brava Cécile de France), in cerca di ispirazione, vive nella CASA, una residenza artistica all’avanguardia della tecnologia, che supporta i talenti: nel loro periodo di soggiorno gli artisti accolti si dedicheranno alla creazione della propria opera d’arte. In un contesto completamente tecnologizzato Clarissa condivide le sue giornate con Dalloway, la sua assistente virtuale: un po’ segretaria, un po’ confidente, l’IA si occupa di scandire le giornate della donna pianificate verso l’unico obiettivo: terminare la stesura di un romanzo che evoca i giorni che precedono il suicidio di Virginia Wolf.
Clarissa non riesce ad essere molto produttiva, un passato spinoso e doloroso la tiene vincolata da tempo in un limbo interiore che non impara neanche qui a sciogliere. Avvertendo eccessive pressioni dalla IA e suggestionata nei sospetti da uno degli ospiti della CASA, inizia a sentirsi spiata.
Una minaccia reale o un delirio paranoico?
Dalloway nasce dalla lettura del romanzo durante il primo lockdown del 2020: Yann Gozlan allora rimase affascinato, oltre che dal rapporto tra creazione artistica e tecnologia, dall’atmosfera claustrofobica, paranoica, che anche lui respirava, costretto all’isolamento. Solo dopo due anni però è riuscito a dedicarsi alla messa in scena di questo progetto.
Ma intanto era arrivata una novità: ChatGPT e altre IA generative venivano rilasciate e rese ampiamente accessibili. La possibilità che questo tipo di programmi potessero autonomamente generare testo ed immagini lo ha portato a rivedere ciò che voleva rappresentare.
L’intelligenza artificiale è uno strumento già utilizzato da molti artisti. Ma man mano che diventiamo sempre più assistiti – esternalizzando gradualmente parti del processo creativo – non rischiamo di perdere la capacità di fare le cose da soli? Quello che inizia come uno strumento neutrale potrebbe benissimo diventare un mezzo di dipendenza, persino di sottomissione. Con strumenti come ChatGPT, non stiamo lentamente perdendo la capacità di scrivere, di creare?
Il fulcro di Dalloway diventa esattamente questo. Il romanzo viene quindi ‘relegato’ a spunto, traccia di uno sviluppo narrativo e visivo che viaggia di pari passo con le ansie e le paure della sua protagonista. La tensione, in un crescendo di capovolgimenti situazionali, farà di Dollaway sempre più un nemico da combattere nella presa di coscienza della totale e completa dipendenza dalla tecnologia. Senza la quale, si rischia la stessa sopravvivenza (quest’ultima, la parte più riuscita del film).
Yann Gozlan riesce a rendere con efficacia l’inganno tecnologico esistenziale: confeziona una bella scatola abitativa, in un giardino verticale, asetticamente confortevole, isolata nella pandemia e nel cambiamento climatico, dove tutto è a portata di comando. La patina dorata, solo apparente, svela l’orrore di un essere umano solo, ridotto ad una cavia da cui l’IA può succhiare abitudini, emozioni, doti intellettuali, per sostituirsi ad un futuro che di fantascientifico ha purtroppo davvero poco.