Óliver Laxe spiazza il Concorso con l’ispirato e potente Sirat: sin dal titolo, mutuato dalla tradizione islamica nel ponte che congiunge e separa l’infermo dal paradiso, fino all’odissea moderna che di lì a poco vivremo insieme ai suoi protagonisti.
Marocco, in pieno deserto, in tutta la sua maestosità, imponenza: un muro enorme di casse acustiche a breve emetterà il suo grido che muoverà una massa di persone all’ipnotico rave. Nella mischia si aggira Luis (Sergi Lopez, sempre in parte), insieme al piccolo Esteban: lascia agli astanti stampe di missing della sua primogenita Mar. La sta cercando. Non ha notizie di lei da 5 mesi. Nessuno pare averla mai vista. Il rave viene bruscamente interrotto dall’arrivo di militari e Luis decide di seguire i due furgoni che sfuggono al controllo, capitanati da Jade, Bigui, Josh, Stef e Tonin. Il gruppo vuole raggiungere la Mauritania dove si celebrerà il prossimo rave. Luis vuole trovare a tutti i costi sua figlia.
Un post-umano apocalittico e spirituale
Sirat é una impietosa resa dei conti. Trasfigurata nella umanità di liberi ed emarginati, gli unici capaci di cogliere una inconscia essenza di vita, di obbedire soltanto a ciò che sentono. Fuori da un ‘vivere civile’ che ha invece creato mostri. I camion con armi e carri armati al seguito, le notizie alla radio di violenze e guerre, lambiscono la loro traversata nell’inferno. Uniti in un legame che realizza concretamente il senso di famiglia, Jade, Bigui, Josh, Stef e Tonin si nutrono di tekno, di piante allucinogene, vagano senza una meta se non quello che può realmente farli sentire in pace, ‘elevarli’ verso un oltre a cui tutti apparteniamo. Tappa dopo tappa Luis si fiderà di loro, solidarizzando pienamente dentro un tragico più che sconvolgente. Un orrore che li attraverserà.
Il non luogo in cui Sirat ci immerge è potenziato da un grande lavoro di fotografia di Mauro Herce. Che esalta la straordinaria e terribile bellezza del deserto, la sua ferocia ed impassibilità. Rende palese quanto l’essere umano sia insignificante, debole, preda di un caos a cui non può sfuggire.
Óliver Laxe semina tracce, suggestioni. Politicamente, socialmente, spiritualmente il suo punto di vista non smarrisce la direzione. Ci costringe a guardare, è spietato con i propri personaggi nel delineare un caso estremo, quasi ridicolo. Implacabile. Pur evaporando nella sabbia, nel vento, nel calore, nella follia umana, Sirat è una riuscita mappa esistenziale di una autodistruzione, nella quale il rave diventa la moderna danza primitiva dell’uomo prossimo all’estinzione.
Pedro ed Agustín Almodóvar, tra i produttori di Sirat, suggellano un autore ormai saldo riferimento della cinematografia spagnola. Dalla Quinzaine des Cinéastes con Vous êtes tous des capitaines passando per Un Certain Regard vinto nel 2019 con Viendra le feu, Óliver Laxe ha occupato con grande personalità il proprio posto nella Selezione Ufficiale di Cannes 78.