Oliver Hermanus, lo sguardo che attraversa l’intimità e la storia
Classe 1983, sudafricano, regista e sceneggiatore: Oliver Hermanus è pronto a tornare sulla Croisette. Al Festival di Cannes 2025 presenterà in Concorso il suo nuovo, attesissimo film, The History of Sound.

Un nuovo capitolo: The History of Sound
Dopo il successo di Living e della serie Mary & George, Hermanus torna dietro la macchina da presa con un progetto che promette di emozionare e sorprendere. The History of Sound è tratto da un racconto breve di Ben Shattuck, e racconta la storia di due giovani uomini – Lionel e David, interpretati da Paul Mescal e Josh O’Connor – che, nel 1919, attraversano il New England per registrare le voci e le canzoni del loro tempo. Ma quel viaggio diventerà anche una scoperta reciproca, un momento sospeso tra la memoria, l’intimità e il desiderio.
Girato tra il New Jersey, il Maine e anche l’Italia (in particolare Tarquinia), il film sarà presentato in anteprima mondiale a Cannes, dove gareggerà per la Palma d’Oro. Al momento non è ancora nota una data d’uscita italiana, ma si ipotizza un’uscita nelle sale per l’estate 2025.
Agli inizi: il Sudafrica come punto di partenza
Nato e cresciuto a Città del Capo, Hermanus ha studiato regia cinematografica prima in patria e poi alla prestigiosa London Film School, grazie a una borsa di studio assegnata da Roland Emmerich. Fin dall’inizio, il suo cinema si è distinto per la capacità di coniugare temi politici e dimensioni interiori, sempre con uno stile visivo sofisticato e controllato.
Shirley Adams (2009)

Il suo debutto, Shirley Adams, è un film dolente e intenso su una madre che lotta per prendersi cura del figlio paraplegico in un contesto segnato dalla povertà e dalla disillusione. Girato con mezzi limitati ma grande rigore, il film è stato accolto con entusiasmo nei festival, imponendo subito Hermanus come un autore da seguire.
Skoonheid (2011)

Con il secondo film, Skoonheid (Beauty), arriva la consacrazione: è il primo film in afrikaans a essere selezionato al Festival di Cannes, dove vince la Queer Palm. La storia di François, un uomo represso e omofobo ossessionato da un ragazzo più giovane, mette a nudo la violenza della repressione sessuale in un Sudafrica conservatore. Crudo, disturbante e impeccabile nella messa in scena.
The Endless River (2015)

Più rarefatto e meditativo, The Endless River segna una svolta stilistica. Ambientato in una cittadina isolata, il film – selezionato in concorso a Venezia – viene apprezzato per il suo tono enigmatico e l’estetica curatissima, anche se divide la critica.
Il successo internazionale
Moffie (2019)

Moffie è forse il film che più ha imposto Hermanus sulla scena internazionale. Ispirato a una storia vera, racconta la durissima esperienza di un giovane soldato gay nell’esercito sudafricano degli anni ’80. Il regista orchestra con intensità un racconto che unisce fragilità e brutalità, attraverso una messa in scena di grande forza visiva.
Living (2022)

Con Living, Hermanus si misura con un classico: Ikiru di Kurosawa. Ambientato nella Londra del dopoguerra, il film – scritto da Kazuo Ishiguro e interpretato da Bill Nighy – è un adattamento elegante e toccante, che vale al protagonista una nomination all’Oscar. È il segno di una maturità artistica pienamente raggiunta.
Mary & George (2024)

Tra un film e l’altro, Hermanus si è cimentato anche con la serialità televisiva. Mary & George, con Julianne Moore e Nicholas Galitzine, è una miniserie storica elegante e intrigante, che racconta ambizione, potere e seduzione alla corte di Giacomo I d’Inghilterra. Disponibile su Sky e Now TV, la serie conferma la versatilità di Hermanus anche sul piccolo schermo.
Un cinema fatto di crepe e carezze
Il cinema di Oliver Hermanus si muove in bilico tra delicatezza e frattura. Racconta la solitudine, l’identità, la vergogna e il desiderio, senza mai giudicare i suoi personaggi. I suoi film sono spesso ambientati in contesti storici precisi, ma parlano sempre anche al presente.
Con The History of Sound, il regista torna a questi temi con la sua consueta sensibilità, ma lo fa allargando il suo pubblico: la presenza magnetica di Paul Mescal e Josh O’Connor promette di avvicinare anche una generazione più giovane, mentre l’intensità emotiva del racconto potrebbe toccare corde profonde in chiunque. E chissà: con la sua eleganza formale e la sua potenza silenziosa, potrebbe essere proprio questo il titolo su cui puntare per la Palma d’Oro di quest’anno.