La grande arte torna al cinema grazie a Nexo Studios che presenta nelle sale italiane, nelle giornate dell’8 e del 9 aprile, L’alba dell’Impressionismo. Parigi 1874 di Ali Ray e realizzato in collaborazione con il Musée d’Orsay e la National Gallery of Art di Washington D.C.
Un viaggio attraverso l’arte impressionista in occasione della celebrazione dei 150 anni dalla prima esposizione
Si tratta di un documentario che ci guida attraverso le sale della mostra celebrativa che il Musée d’Orsay ha dedicato a un importante ricorrenza: quella dei 150 anni dalla prima esposizione organizzata da un gruppo di artisti nei locali dello studio del fotografo Nadar, in Boulevard des Capucines a Parigi.
Tali artisti, riunitisi nella Société anonyme des artistes peintres, sculpteurs et graveurs (Società di pittori, scultori e incisori), spesso squattrinati, con grosse difficoltà nel vendere le loro opere, sarebbero in seguito diventati celebri in tutto il mondo con il nome di Impressionisti.
La prima esposizione delle opere di una trentina di artisti inaugurata il 15 aprile 1874, aveva lo scopo di rompere con i canali ufficiali che organizzavano annualmente nella ville lumière la grande esposizione del Salon, dove una giuria selezionava i quadri che potevano essere ammessi, rifiutando quelli che non erano, secondo il suo insindacabile giudizio, meritevoli di essere mostrati al pubblico. Fra questi ultimi la quasi totalità delle opere presentate da artisti quali, fra gli altri, Monet, Manet, Pissarro, Renoir.
È così che, in un clima sociale reso particolarmente difficile dalla recente sconfitta della guerra franco-prussiana del 1870 e del successivo conflitto civile, molti artisti decisero di esporre le loro opere in autonomia, in una mostra che, se da un lato fu un fallimento commerciale, dall’altro permise ad alcuni di questi di acquisire una certa notorietà.

Berth Morisot, Le port de Lorient, 1869, National Gallery of Art, Washington, Stati Uniti d’America
La storia raccontata attraverso le “voci” dei veri protagonisti di quel tempo
Il film di Ali Ray consente di entrare in sintonia e comprendere a fondo i pensieri, gli stati d’animo, le angosce di molti di quei protagonisti, fra cui pittori quali Claude Monet, Édouard Manet, Berthe Morisot, Alfred Sisley, Paul Cézanne, Edgar Degas, Pierre-Auguste Renoir, Camille Pissarro, critici quali Edmond de Goncourt ed Ernest Chesneau (il quale definì sprezzantemente i quadri di Monet: “Un caos indecifrabile di pennellate di colore”) o mercanti d’arte come Paul Durand-Ruel, fra i pochi a credere fin da subito nella grande potenzialità di quella nuova concezione artistica.
Così sullo schermo, associati ai pensieri dei protagonisti, scorrono i dipinti divenuti ormai celebri al mondo come le ballerine di Degas, le pennellate quasi accennate di Monet, come nell’etereo Impression, soleil levant (dal quale venne coniato il termine, inizialmente negativo, di Impressionisti), le vedute campestri di Pissarro o, ancora, i capolavori di Manet, Cézanne, Morisot, Renoir o di Jean-Frédéric Bazille, unico del gruppo a non aver potuto prendere parte all’esposizione del 1874 in quanto aveva perso la vita pochi anni prima durante un combattimento contro l’esercito prussiano.

Claude Monet, Impression, Soleil Levant, 1872, Musee Marmottan, Paris, France
Pregi e difetti
L’alba dell’Impressionismo. Parigi 1874 è un’opera che mostra pregi e difetti. Fra i primi sicuramente il singolare taglio che viene dato al documentario, con la storia raccontata non tramite interviste (ridotte al minimo) ma attraverso le “voci” dei veri protagonisti, nonché le immagini dei quadri a tutto schermo che permettono di apprezzare non poche sfumature e particolari. Al contrario, fra i maggiori difetti, vi è una certa lentezza nell’esposizione che il film sconta a causa, anche, di una colonna sonora che scorre via per tutta la durata senza particolari cambiamenti di tono.
Nonostante ciò, il lavoro di Ray è apprezzabile soprattutto in quanto permette di cogliere il senso profondo di un gruppo di artisti considerati all’epoca dei folli, spesso vituperati ma convinti della loro idea e della necessità di rompere con ogni sorta di schema precostituito. Perché ciò che volevano fare non era altro che collegare l’arte alla vita.