Un bardo dalla voce incantevole e dal look alla Elvis Presley vaga cantando in un mondo distopico che ricorda la Los Angeles di Blade Runner, vivendo un amore che ricorda Moulin Rouge!
Questa è la premessa di O’Dessa, il nuovo musical di Disney+ scritto e diretto da Geremy Jasper (Patti Cake$), che mescola fantascienza, romance e dramma in una favola distopica con protagonista la star di Stranger Things, Sadie Sink. Un’opera che omaggia i capolavori del genere, la cultura pop e le tradizioni medievali, dando vita a un universo senza tempo, dove la musica e l’amore sono le uniche forze capaci di risvegliare le menti intorpidite della gente.
Nel cast anche Kelvin Harrison Jr., Murray Bartlett, Regina Hall, Bree Elrod e Mark Boone Junior.
Il trailer
La trama di O’Dessa
O’Dessa, una giovane ragazza di campagna, si prende cura della madre malata e del suo lama, mentre il mondo intorno a loro soccombe lentamente al veleno del plasma, una sostanza tossica che ha contaminato il suolo e l’acqua. La chitarra ereditata dal padre, un musicista girovago morto tanti anni prima, è la sua più cara amica e la sua unica speranza, unitamente alla leggenda del Settimo Figlio: solo lui, o lei, sarà in grado di riportare ordine nel mondo attraverso la sua musica. Così, dopo la morte della madre, O’Dessa decide di partire all’avventura, suonando per il mondo e portando gioia.
Il furto della sua preziosa chitarra da parte di un gruppo di vagabondi la catapulta nella spietata Satylite City, dove Plutonovich, un santone arricchito dal controllo del plasma, manipola le menti tramite la televisione, riducendo le persone a automi privi di emozioni e torturando chiunque osi sfidare il suo potere nei suoi crudeli spettacoli.
Lì, attraverso l’amore per il giovane Euri Dervish e la consapevolezza di essere il Settimo Figlio, O’Dessa tenterà di liberare il popolo dall’assuefazione alla violenza, usando l’unico potere capace di risvegliare le menti: la musica.
Il mondo senza tempo di Satylite City
L’ambientazione è senza dubbio il punto di forza di O’Dessa: Satylite City appare come una metropoli da incubo, dove una tecnologia ormai obsoleta rappresenta l’unica via di fuga per i suoi cittadini alienati. Le loro interazioni umane si riducono a violenza, sesso e prevaricazione.
Sotto le luci fredde dei neon, le persone si trasformano in ombre di se stesse, schiave del culto di Plutonovich. Il plasma, trasmesso attraverso i vecchi televisori, avvelena le loro menti proprio come ha contaminato la terra.
Il richiamo ai mondi distopici e socialmente alienanti di Philip K. Dick e a film come Il quinto elemento è evidente, e sebbene ci sia un certo piacere nel riscoprire un mondo narrativo familiare, l’universo in cui si muove O’Dessa appare, oggi, anacronistico.
La rapida evoluzione della tecnologia ha trasformato per sempre il nostro modo di vivere lo spettacolo, e ciò che poteva coinvolgere un pubblico del 1982 ora non risuona più con la stessa forza.
Anche l’affascinante figura del carismatico guru, che in un one man show detiene potere e controllo, perde di potenza rispetto a una realtà in cui le voci sono più variegate, e tutti contribuiscono a tessere un filo dell’enorme ragnatela digitale in cui siamo intrappolati; certo, questo è valido se non si vuole attribuire al villain un ruolo puramente simbolico: Plutonovich potrebbe così essere la personificazione globale di un Intrattenimento passivo, martellante e subdolo.
O’Dessa: una favola un po’ confusa
Nonostante l’ambizioso citazionismo, le piacevoli canzoni (anche se siamo un po’ lontani dai fasti delle opere rock storiche quali Jesus Christ Superstar) e un’ambientazione che, pur con qualche ingenuità, si fa ricordare, lo stesso non può dirsi dell’intreccio.
La storia fatica a mantenere lo stesso fascino della regia e della pulsante fotografia, diventando così un calderone di tematiche e personaggi poco sviluppati, uno sfondo di sottotrame mai esplorate e figure grottesche che arricchiscono l’ambientazione immersiva senza però esserne mai davvero protagoniste.
Certo, l’intento di Jasper era probabilmente proprio quello di creare una fiaba senza tempo, e nelle fiabe, si sa, i ruoli sono spesso tagliati con l’accetta: non esiste uno spessore psicologico complesso, né sfumature; il sogno e l’incubo rimangono due realtà nette e ben distinte.
Nonostante qualche idea davvero interessante, come la fluidità naturale e ben strutturata dei protagonisti o la potenza della scena finale che, pur nella sua semplicità, riesce a lasciare il segno, O’Dessa fatica a trovare una sua identità distintiva. Il riferimento a elementi già visti, infatti, risulta troppo preponderante, soffocando in parte quella che potrebbe essere l’essenza originale di questo film.
Il continuo rimando a mondi e atmosfere familiari rende difficile inquadrare l’opera di Geremy Jasper come qualcosa di indipendente, limitando quindi la sua forza.
Nonostante tutto, O’Dessa rimane comunque un film godibile, se non altro per l’interpretazione di Sadie Sink che, sia nella recitazione che nel canto, regala una performance davvero notevole e intensa.