Jack Lemmon. L’uomo comune del cinema americano di Andrea Ciaffaroni, in libreria con Edizioni Sabinae, commemora l’interprete amatissimo di A qualcuno piace caldo e La strana coppia nel centenario della nascita, l’8 febbraio 1925 (un mese e un anno straordinari, con le nascite di Robert Altman e Sam Peckinpah), ricostruendo il percorso umano e artistico di un talento poliedrico tra cinema, teatro, televisione, alla scoperta della dimensione più intima di chi elevò struggimento e allegrezza ad arte, dei segreti del privato di una star riservata che conciliò la sua conclamata affabilità alle leggi inesorabili dell’industria dell’intrattenimento.
Una fragilità bellissima di instancabile e vitale dedizione alla recitazione, sempre generosa con il grande pubblico, tra intuizioni, sodalizi, disavventure, inciampi inevitabili in una carriera che Andrea Ciaffaroni, studioso della comicità internazionale, racconta per la prima volta in Italia in una biografia che è anche un affresco minuzioso e avvincente di mezzo secolo di cinema statunitense, dagli ultimi fuochi della Hollywood classica alle incursioni di irreversibile modernità negli anni Sessanta, fino ai venti della New Hollywood e alle produzioni meno impavide e più industriali alle soglie del nuovo millennio. Nel vissuto di un protagonista d’eccezione con le testimonianze di amici, colleghi e maestri, da Billy Wilder a Walter Matthau, da Shirley MacLaine a Kevin Spacey, si assapora “quella tragicommedia che è la nostra vita”.
La “perfezione” del signor nessuno
Impiegato arrendevole e corruttibile, ma pronto al riscatto, in L’appartamento, marito in lotta con l’alcolismo in I giorni del vino e delle rose, cameraman in degenza in balia delle truffe assicurative del cognato avvocato in Non per soldi…ma per denaro, Jack Lemmon, scomparso nel 2001, è stato sullo schermo l’epitome dell’everyman, dell’uomo qualunque alle prese con le trappole dell’esistenza, l’(anti)eroe ordinario di una presa di coscienza, “vittima non innocente”, come è stato definito, incline bonariamente ai compromessi per scansare la sconfitta inflitta dal sistema, ma sovente in grado di redimersi come Mensch, come essere umano.
Per citare le parole di Ettore Scola, che lo ricordò affettuosamente sul set di Maccheroni al fianco di Marcello Mastroianni, “prima ancora che il film venisse scritto, è stato subito chiaro che l’unico attore americano che potesse interpretarlo fosse Lemmon, per la sua tenera e prodigiosa capacità di rappresentare i dubbi e gli slanci dell’uomo medio, mediamente vigliacco e mediamente coraggioso”.

“I giorni del vino e delle rose” di Blake Edwards
La forma dell’attore nello specchio dei tempi
Una comicità buffa e malinconica, istrionica e convulsa, ma sempre misurata e non strabordante, con un eloquio interpretativo spumeggiante e intenso, tanto che Al Pacino, con lui coprotagonista in Americani, mise in risalto che “nel suo modo di parlare aveva ritmo, poesia, trovava sempre l’umorismo”. Memorabile però anche la trasversale drammaticità in ruoli più sofferti e ambigui, nello Zeitgeist della guerra in Vietnam, delle contestazioni studentesche, dello scandalo Watergate, delle mobilitazioni civili ambientaliste e progressiste, della sconfitta dei padri, dello yuppismo, delle avide derive capitaliste.
Sono gli anni di Salvate la tigre (premio Oscar da protagonista, il secondo in carriera dopo la parte di supporto in La nave matta di Mister Roberts), Sindrome cinese e Missing (per entrambi Palma d’oro a Cannes per la miglior interpretazione maschile), Americani (Coppa Volpi a Venezia), le regie di Oliver Stone e Robert Altman, rispettivamente con JFK e con America oggi. Come scritto da Andrea Ciaffaroni,
“l’evoluzione dei personaggi ha seguito lo scorrere del tempo e la crescita, se non il peggioramento, di una nazione; con il passare degli anni, i suoi personaggi imperfetti ma onesti lottavano nel mantenere una propria dignità in un mondo difficile, cui va tutto storto, il cui ottimismo si scontra con una realtà fredda”.
L’altro volto dei miti
Non solo capolavori e titoli notevoli, ma anche pellicole proverbiali e popolari, regie di modesta fattura, produzioni macchinose o rocambolesche, tonfi e risalite, applausi sul palcoscenico, estro televisivo, trasferte europee, delusioni e affetti famigliari, amicizie sul set, consacrazioni istituzionali, in una tessitura polifonica dettagliata che ricostruisce la storia produttiva e la ricezione di ogni film, le fasi storiche di Hollywood, la vita umana al di là dello schermo, con curiosità, aneddoti, stralci di vita di chi, tra divi e autori, ha perseguito un sogno chiamato cinema, tra le luci della ribalta e la fragile sensibilità all’insuccesso.
Dal roccioso ma non imperturbabile John Ford alle idiosincrasie paralizzanti di Marilyn Monroe sul set di A qualcuno piace caldo (al cui fascino Lemmon restò provvidenzialmente immune, come racconta Alberto Crespi nella gustosa postfazione), dall’adattamento alla macchina hollywoodiana da parte di Virna Lisi (che fu la partner di Come uccidere vostra moglie) alla calorosa accoglienza amalfitana e partenopea per le riprese di Avanti! e Maccheroni.

“Maccheroni” di Ettore Scola
Il cinema del tempo della magia
Al di là della fine ricostruzione storico-biografica il volume permette di sondare il mistero dell’arte di Jack Lemmon, un connubio dolce e inquieto di comicità che compenetra nel dramma e viceversa, con quel sorriso aperto e quello sguardo allusivo a uno scoramento dal mondo in cui ciascuno può ritrovare se stesso, con quella corporeità anonima dai ritmi scattanti come di chi cerca di dare una risposta, ironica, obliqua e mai disarmata, a una società che tenta di ridurlo a perdente.
Una deflagrazione di talento inimitabile che Lemmon sul lavoro inaugurava con una formula quasi sciamanica: “Magic time”! Alle origini di questa sapienza interiore, il vissuto di un’infanzia sofferta in una famiglia borghese, tra continui ricoveri per una salute cagionevole e due genitori disuniti, l’arruolamento in Marina, gli studi forzati ad Harvard; persino un arrivo alla luce originalissimo, con la madre che partorì in ascensore perché ostinata, durante le doglie, a terminare una partita di bridge.
Questo e altri racconti arricchiscono la lettura di Jack Lemmon. L’uomo comune del cinema americano, per rinnovare e rivivere l’invaghimento di sguardo, la stima critica, l’amore cinefilo per l’uomo e l’artista che seppe conquistare le platee di tutto il mondo e più generazioni solo con un primo piano. O con una racchetta-scolapasta.