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FESTIVAL DI CINEMA

Venezia 70: “The wind rises” di Hayao Miyazaki, un commiato? (In Concorso)

Quando un film di Hayao Miyazaki arriva in sala, il calore dei suoi disegni colorati, delle sue fantasie spettacolari, delle forme che si deformano e diventano sempre qualcosa di più magnifico e impressionante, tutto questo, scalda l’animo delle platee e per quel frangente ci fa volare in alto

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Anno: 2013

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 126′

Genere: Animazione

Nazionalità: Giappone

Regia: Hayao Miyazaki 

Quando un film di Hayao Miyazaki arriva in sala, il calore dei suoi disegni colorati, delle sue fantasie spettacolari, delle forme che si deformano e diventano sempre qualcosa di più magnifico e impressionante, tutto questo, scalda l’animo delle platee e per quel frangente ci fa volare in alto.

Questo perché nei film di Miyazaki non possono certo mancare le macchine volanti: il volo è la sublimazione del sogno, nella bolla fantastica del suo mondo dalle forme gonfie, dalle campiture dense e dal tratto unico e inconfondibile; il volo è anche una componente strutturante la sua infanzia, poiché il padre fabbricava aerei; il volo è letteralmente la forma di commiato scelta dal regista che, al superamento dei trent’anni di carriera, ha deciso di cedere il passo. L’annuncio è stato fatto informalmente a Venezia e verrà seguito in maniera ufficiale da una conferenza stampa a Tokyo nel mese di ottobre.

The wind rises, tuttavia, ha qualcosa di reale, come se i fantasiosi voli pindarici di tutti questi anni, lassù nei cieli della fantasia, avessero richiesto una forma di chiusura con un progetto che è tra quelli più sentiti narrativamente e più vicini, appunto, all’intimità del regista. L’ispirazione deriva da un personaggio esistito, Jiro Horikoshi, un ingegnere aeronautico che ha modificato la storia dell’aviazione giapponese con un progetto di velivolo bellico, lo Zero. Nei sogni di bambino e di adulto, Jiro ritrova una guida e un modello professionale, il conte Gianni Caproni, progettista anch’egli, figura cardine nella storia dell’invenzione bellica italiana, negli anni della Prima Guerra.

Jiro è un ragazzo brillante e caparbio, che insegue il suo sogno sin da bambino, quando realizza che a causa della sua miopia non potrà mai pilotare un aereo. La sua parziale privazione gli regala enorme forza per far decollare la sua attività dietro il tavolo da disegno, presso la Mitsubishi, all’inseguimento di un modello di aereo splendido e perfetto. Sebbene il personaggio rimanga il centro emotivo di The wind rises, il contesto storico ha una sua affascinante importanza, in particolare per i vent’anni che transitano attraverso la Prima Guerra Mondiale, il terremoto di Kanto del 1923, la Grande Depressione o il più tardivo fascismo. Il progetto di Jiro è un brillante percorso ingegneristico che muove il Giappone dall’arretratezza tecnologica verso l’evoluzione produttiva e il recupero di competitività industriale.

Miyazaki, anche questa volta, è riuscito nell’intento di creare una storia animata per tutti. Una favola meravigliosa dove l’eroe compie un viaggio di crescita e di successo per nulla banale, in un periodo denso di cambiamenti e rivoluzioni, ricco di citazioni letterarie e pure critiche all’operato discutibile della potenza (la guerra con la Cina e il Maciukuò, per citarne alcuni). Il tentativo ostinato di Jiro, che è una vera e propria vocazione di vita per il suo aereo a spina di sgombro, si scontra nella mente del protagonista e del regista stesso, contro la finalità del mezzo: gli intenti malvagi delle creature volanti, che rimangono vincolate all’uso bellico pur nella loro bellezza e meraviglia, battagliano esteticamente con il pacifismo dell’autore e del suo alter ego. Eppure, tutto ciò non sminuisce il valore del protagonista, che pare quasi scollato dalla finalità diretta di quei mezzi, sospeso nell’oblio delle sue visioni e avvolto dall’idillio dell’amore perfetto.

In effetti, la vita di Jiro è come fosse una duplice storia d’amore, con il cielo e con Naoko; un incontro predestinato, pare, con il quale Miyazaki vuole mostrare l’assoluta sublimazione del genio di Jiro: la sua capacità di creare si lega indissolubilmente all’amore che riceve da Naoko, come se le esistenze di entrambi si completassero emotivamente e fisicamente nel rapporto di coppia. Questa volta il rapporto raccontato pare così reale, da affrontare la povertà, la malattia, addirittura il contatto fisico e sessuale, avvolto in una densa atmosfera poetica ed emozionale dai tratti tipicamente orientali.

Grazie a personaggi abilmente ritratti e caratterizzati, il film include le fasi dell’innamoramento (in una elegante danza eolica), la sofferenza dissimulata, la rabbia e le lacrime profuse. Curato nel dettaglio il rapporto con l’ingegnere Caproni, mentore e consigliere fantastico, che è non soltanto un omaggio al Bel Paese (così come il vino che ritorna qua e là), ma un premio alla condotta di vita: Le vent se lève, il faut tenter de vivre, risuona ridondante per tutto il film. Rimarrà poi nel cuore il personaggio di Kurokawa, quell’ingegnere bassetto con i capelli saltellanti, che non può prescindere dall’essere ostinatamente scorbutico, ma non risparmia lacrime e goffe gentilezze per il suo geniale protetto.

Nei mondi di Miyazaki, i problemi sembrano banalmente solo quel gradino in più da salire per potersi avvicinare alla perfezione della meta; la sua abilità nel raccontare è imprescindibile dalla rettitudine della cultura giapponese di cui, in questo film, è arrivato a celebrare addirittura il percorso storico. Non credo ci si possa aspettare altrettanto facilmente quel talento nell’esaltare la dignità di storie globali su una identità totalmente nazionale, egregiamente nazionale. Alla storia dell’animazione mondiale, come pure a me, personalmente, mancheranno profondamente tutti i Totoro, le Nausicaa, gli Howl e gli altri figli di questo padre procreatore di fantasia che ci ha cresciuto nei suoi cieli incantati.

Rita Andreetti

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