Arriva prima di cena la notizia della morte di David Lynch e impone l’imprevisto e il no sense su una scomparsa a cui facciamo fatica a dare un perché. Ragione che, probabilmente, va ricondotta, come per altri cineasti, alla sua innegabile dote di configurarsi come ‘aggettivo’ prima che come autore. Perché David Lynch ha rappresentato più del suo neo-noir o della commedia nera surrealista. Da gran pittore qual’ era ha delineato un astrattismo della forma che poteva sopravvivere anche senza bisogno di reggersi sulla linearità della narrazione.
Intorno al delitto ha creato la sua eredità prima che diventasse tale, costringendoci ad interrogarci con Twin Peaks se il mondo che vedevamo fosse una perenne esperienza ultraterrena. Ha introdotto il pubblico nell’estetica disturbante e nel sonoro inquietante con l’esordio di Eraserhead.
Ha analizzato la deformità fisica nella percezione dell’ordinario, ponendoci dinnanzi al bivio morale tra alienazione e compassione attraverso The Elephant Man. Ha esplorato l’America suburbana con Blue Velvet e riscritto il noir con Lost Highway per poi disilludere Hollywood col suo film-manifesto Mulholland Drive entrando nel mondo della decostruzione della logica e nel labirinto dell’inconscio.

David Lynch è il padre, il vecchio saggio della moderna autorialità non convenzionale. Una tra le ragioni per cui rimarrà scalfito oltre la prigione del corpo.
Per un’ estetica del surreale – David Lynch
Il cinema di David Lynch si può riassumere come ‘lo scavare sotto la superficie’. C’è sempre un mondo nei suoi film che attiva un altro mondo disfacendo quello precedente. Proprio come avviene ad ogni media che per sopravvivere deve essere l’evoluzione di quello precedente. Con il regista americano bisogna partire dal presupposto che la realtà non esiste o non è mai esistita, così come i suoi personaggi, maschere dell’assurdo farcite di no sense ed estetica parlata del grottesco. Strumenti, nella visione di David Lynch, che vanno ad essere il contorno dei molteplici mondi al centro dei suoi film. La narrazione è al di fuori delle sue opere astratte, rischiosa presunzione nell’industria cinematografica come quella americana che fa condurre le danze all’eroe tipo punendo buoni e cattivi. L’inquadratura è un paesaggio nella poetica lynchiana e il regista di Missoula tenta in tutti e tanti modi di renderla irreale attraverso il surreale.
In Eraserhead il protagonista ondeggia nello spazio in posizione supina. Lynch riprende il pianeta, stacca e ritorna sull’uomo in una stanza oscura vomitando qualcosa di simile ad un verme bianco. Il cineasta evidenzia già i livelli del suo cinema, quello dello sconvolgimento e della supremazia del mondo oltre il racconto. Un sistema chiuso di un luogo che sembra non esistere se non nella mente di Henry e dello stesso Lynch.

Il mondo del regista americano si apre nel suo primo grande capolavoro, The Elephant Man. Tratto dal curioso caso del deforme Joseph Merrick, la cui testa aveva la vaga forma di un elefante, David Lynch coniuga perfettamente il surrealismo del primo film e la fantascienza di Frankenstein Junior di Mel Brooks. La caparbietà con cui il personaggio deforme cerca di essere accettato dalla società per essere continuamente rigettato, mette in luce la passione del Lynch di questo periodo per la ripetizione del corpo.
Il dottore interpretato da Anthony Hopkins e l’Uomo Elefante cercano di reagire al mondo crudele e oppositore in cui sono immersi, e la Londra dell’Ottocento si riversa sul malcapitato deforme proprio come un evento che cerca di cambiare ma ripetendosi sempre. È un’opera surreale che ci spinge, più di altre sue opere, a superare i pregiudizi delle apparenze, inquadrando già il mondo nero lynchiano che non ammette perbenismo o seconde possibilità.
La non realtà e l’immaginazione – David Lynch
La celebre frase di Mulholland Drive nella scena del Club Silencio ( è un’illusione) continua quella che potrebbe definirsi la trilogia del sogno di Lynch, tra immaginazione e percezione. Difatti tra Lost Highway, Mulholland Drive e l’ultimo film Inland Empire, c’è una sorta di continuazione del viaggio dell’inconscio.
Trascendere la realtà per comprendere ciò che non si riesce ad afferrare sul piano razionale.
E Lost Highway si sofferma sul tema del doppio. Il protagonista interpretato da Bill Pullman soffre di un disturbo della personalità che lo costringe a crisi psicotiche proiettandolo nel volto del giovane Pete. Le inquadrature dinamiche e nebulose radicano insoddisfazione sessuale mista a una rabbia che ha come vittima il personaggio della Arquette, identificandosi in un doppio soggetto che trova un piacere morboso mai provato prima.

Se Strade perdute si concentra sul confine labile del doppio, il film manifesto Mulholland Drive mette in contrasto la realtà col sogno. Partendo sempre dalla decostruzione del noir di questa ultima fase ( l’incidente e la memoria come soluzione a ciò che non si ricorda) , il film è diviso da un livello onirico che si oppone con forza alla realtà losangelina, in una tragedia greca dove la fragilità interpretativa culmina col suicidio come metafora della confusione dell’animo umano. Betty e Rita (Naomi Watts e Laura Harring) con Camilla e Diane conducono lo schema mentale in un inesorabile labirinto in cui nessuna comprensione è ammessa.
L’ultimo suo lavoro risalente al 2006, Inland Empire è un’assoluta contemplazione dell’indecifrabile, e del criptico inesorabile. Ci sono tutte le tematiche vicine al mondo di David Lynch: lo spazio-mondo, la totale illusione, la bolla perenne del sogno disturbante. Ancora una donna in balia di una maschera. E Laura Dern nella sua Nikki/Susan è avvolta nell’immedesimazione del suo personaggio. Lynch ci sussurra un’ultima volta come il volto del cinema sia quello della distorsione. Letture umane che tagliano l’incubo dell’inconscio umano, fragile e perso nel proprio labirinto di continue sfaccettature.
Twin Peaks e la fusioni dei generi
La serie anni novanta, comprensiva di due stagioni, rappresentò uno spartiacque in un contesto in cui tv e serialità stavano ormai avvicinandosi sempre più al mondo del cinema. E il Twin Peaks di Lynch si iscrive prima di tutto per la fusione dei generi. Forse qui nasce il tipico no sense di David Lynch, in una forma comica che ancora una volta, usando il grottesco e il surreale, sottolinea il vero compito del regista americano: costruire degli spazi artefatti, illusori, per mettere in scena ogni forma d’incubo.
La morte di Laura Palmer diviene brevemente nel corso delle due stagioni il pretesto per allargare la narrazione ad una sperimentazione seriale che somma i generi e le velleità di Lynch. È fantascienza Twin Peaks, un dramma, una commedia nera, un thriller, un giallo atipico. Ma è la Loggia Nera che ne rappresenta nella serie lo schema metafisico e soprannaturale che evade lo spazio e il tempo.

Parla di un ecosistema spaziale Twin Peaks , una matrioska in un’altra matrioska dove la Stanza Rossa è l’anticamera della Loggia. Personaggi antropomorfi , nani che ballano, personaggi cosi assurdi da sembrare volutamente incomprensibili. La serie di Lynch è sempre stata la sua quintessenza, un umorismo tagliente e anti-dialogato che si distorce perennemente con la storia ma non con il mondo rappresentato.
Il cineasta, qui in veste di showrunner, rifugge le classiche dinamiche da procedurale investigativo. Non ci palesa il contrasto valoriale tra buoni e cattivi, indagine e ipotetici colpevoli. In Twin Peaks l’omicidio di Laura Palmer non va risolto con le regole classiche del genere, ma costringendo i meccanismi seriali a scommettere su se stessi reinventandosi continuamente. Ciò ci riporta alla definizione spaziale di Lynch, discontinuo e sospeso; il bianco e nero del pavimento si fonde con il rosso delle tende della Stanza Rossa. Un inconscio collettivo che trova nello spazio lynchiano il simbolo eterno della sua arte.
Con David Lynch ci lascia un visionario del punk cinematografico. I suoi film rimangono delle pitture psichedeliche indefinite e incomprensibili ai più riuscendo ad estetizzare l’onirismo dandone una precisa forma. Amato, odiato, carismatico, e anti-sistema, Lynch ha sempre fatto ciò che voleva.
“Il film è mio e ci metto tutti i conigli che voglio.”