Fra i titoli presentati alla trentaquattresima edizione del Noir in Festival a Milano, c’è un lungometraggio italiano che lega innocenza e famiglia al mistery e all’omicidio. Parliamo del film Indelebile, lungometraggio già presentato al Venice Gap Financing Market. Proprio durante i giorni del festival abbiamo avuto modo di intervistare il regista Simone Valentini (Grain – Portrait of Fabio d’Emilio) e l’attrice Giulia Dragotto (protagonista della serie TV ANNA).
Il film segue le vicende dell’adolescente Veronica che torna, per le vacanze natalizie, nel paese del nonno (Fabrizio Ferracane), lasciato quand’era bambina. Lasciando, a casa, una situazione complicata. La tranquillità del villaggio viene presto interrotta dalla scomparsa di una donna, che porta gli abitanti a temere che sia ritornato il “mostro”, un serial killer locale mai scoperto e responsabile di diversi femminicidi. Sentendo i racconti locali e notando delle inquietanti coincidenze, la giovane Veronica inizia a sospettare che il temuto assassino sia il nonno.
Vi informiamo che l’intervista presenterà degli spoiler riguardo il finale del film.
L’intervista a Simone Valentini e Giulia Dragotto
Il mondo rappresentato in Indelebile è un microcosmo, un paese dalla luce innaturale ed un mondo statico. Nonostante ci siano degli echi di omicidi, di eventi gravi legati al passato, tutto quello che succede, quando succede è sempre in una realtà molto lenta e distorta. Quali sono gli elementi con cui avete giocato nella rappresentazione del mondo della storia?
Simone: Paradossalmente la realtà in cui il film è ambientato è l’unica cosa che ho veramente vicina nella mia vita. Perché i miei genitori vengono da un paesino di provincia e ho notato che c’è proprio uno spirito conservativo all’interno di queste realtà. Tante volte possiamo trovarle anche nei macrocosmi come quelli del mondo del lavoro o della politica, ma con il direttore della fotografia, Gabriele Remotti, abbiamo cercato di restituire una situazione di stasi.
Una stasi che anche l’evento più sconvolgente può non andare a toccare, perché in realtà ogni personaggio è più focalizzato sul mantenere il suo status all’interno di una comunità. Piuttosto che quello di smuovere l’intera comunità per risolvere un problema più grande. In Italia, mi duole dirlo, tantissime volte l’unico vero elemento che ha smosso delle comunità, anche se per periodi brevi, sono i grandi disastri ambientali. Ci rendono un pochino più vicini ma nelle piccole realtà comunque c’è sempre un’ottica voyuerista che tende a guardare da lontano e ad essere interessata, ma mai a fare veramente qualcosa.
Giulia, il tuo personaggio in questo film vive un momento di crescita molto forte, molto intenso e molto veloce. Com’è stato per te prendere questo ruolo? Che sfide ha comportato? Tenendo conto anche che Veronica parla molto tramite i suoi silenzi.
Giulia: Io mi rivedo abbastanza in Veronica. Lei da piccola lascia questi suoi “amichetti del paese del nonno” e va a vivere in città. Di conseguenza vive la sua vita diversamente da come la vivono loro e forse, banalmente, cresce un po’ più fretta, ma quello che vive nel film la porterà a crescere ancora di più. Quindi si trova in un luogo che per lei è sia “casa” ma anche “fuori casa”. Si trova in un contesto che non le appartiene più, a cui era legata da ricordi che ora non ci sono più.
Questa è stata la fatica più grande, perché io arrivo da una famiglia molto calorosa. E vivere con un nonno, interpretato da Fabrizio (Ferracane), con cui ho instaurato un rapporto meraviglioso, e che adesso chiamo veramente “nonno”, già è stato difficile. Poi nutrire dei sospetti, girare delle scene in cui ci trattavamo male a vicenda, per me è stato faticoso. Proprio questo, nutrire un sospetto verso qualcuno a cui vuoi tanto bene, è stata una grande difficoltà.
Simone: Piccolo insight, ha imparato a guidare il motorino per il film, cosa che non mi ha detto quando abbiamo fatto il primo incontro, dopo ha preso la patente proprio come il personaggio.
(Entrambi ridono)
Beh d’altronde anche Ryan Gosling ha imparato a suonare il piano apposta per girare La La Land.
Simone: Vero, tutto sommato ci siamo limitati ad un “Ciao”.

Una delle tematiche principali affrontate nel film è la perdita d’innocenza. Veronica torna in questo piccolo paese, che da bambina ricordava come un posto idilliaco quasi paradisiaco, e rivedendolo si rende conto che non è perfetto come pensava, così come le persone che frequentava. Questa tematica è emersa fin da subito nello sviluppo della storia?
Simone: Mi ricollego in parte alla domanda di prima, dicendo che se un posto è così “fermo” e tu cambi molto, il tuo punto di vista ha una percezione di cambio molto maggiore. Per il personaggio di Veronica infatti c’è questo lungo rientro ed è l’unico momento in tutto il film dove la macchina da presa è posata. Poi non l’abbiamo più posata, perché dopo quella scena, cambiando lei il suo sguardo su quel luogo, inizia a notare tutto con occhi diversi.
Quando stavamo scrivendo con il gruppo di scrittura, ci siamo interrogati su cosa succede quando fai ritorno in un posto e la risposta è stata che ci sono due elementi contrastanti: uno è il ricordo, che è protettivo e quasi mai veramente fatto per memorizzare, il secondo sei tu, che sei cambiato tanto e hai lo sguardo di oggi. Cosa succede quando questi due elementi si fondono? Cambi come persona.
Giulia, quali sono stati i momenti più complicati del film da girare per te? C’è stata qualche scena che si è rivelata particolarmente difficile da recitare?
Giulia: Vi farà molto ridere in realtà. Partendo dal presupposto che si tratta di un film profondo e che di conseguenza non ci sono scene “semplici”, io personalmente penso che non esistano. Ma, ad essere sincera, ho avuto tantissima difficoltà nella scena della videochiamata con gli amici.
(tutti ridono)
C’erano scene in cui urlavo da disperata, scene in cui litigavo violentemente col nonno e dove stavamo per ammazzarci. Per me invece la scena della chiamata con gli amici è stata devastante perché io parlavo con un telefono che in realtà era uno schermo verde, quindi non parlavo con nessuno. L’effetto è stato messo in post produzione, è stato orribile, infatti ho molta paura, sono terrorizzata riguardo questa scena. Scherzi a parte, penso che ogni scena sia complicata nel suo essere, si tratta di una visione soggettiva. Ci sono persone che ritengono più difficili le scene dove c’è tanto dialogo, dove la battuta è molto lunga, io invece ritengo più difficili le scene in cui non si parla, perché devi trasmettere tutto senza l’uso della parola e questa è una sfida importante. Però in questo specifico caso, la scena della videochiamata è stata devastante.
Un momento molto forte di Indelebile è il finale. Per Simone, com’è stato concepirlo, c’era già l’idea di finirlo in quello specifico modo? E per Giulia invece, com’è stato viverlo? Com’è stato lasciare il personaggio dopo un’esperienza così intensa?
Simone: In realtà, per il finale, c’è stata una lunga discussione. Gabriele, il direttore della fotografia, non era per niente d’accordo su come era stato scritto. In realtà è nato da un’idea di Laura Chiassone, secondo cui sul finale c’era bisogno di sporcare molto Veronica, per lasciarle qualcosa che si sarebbe portato dietro per tutta la vita. Ed effettivamente il momento in cui hai un fucile in mano, basterebbe un “mani in alto” e lo si potrebbe così.
In questo caso invece il personaggio di Veronica, che infatti in quella scena ha un giubbotto antiproiettile, fa un piccolo percorso che la porta a diventare simile, non tanto al nonno, quanto alla nonna. L’idea era proprio di darle qualcosa che l’accompagnasse per tutta la vita, ma che avrebbe potuto e dovuto condividere magari in età anziana con qualcun altro. Un’emozione tanto forte che devi tenere dentro ma che prima o poi trasmetterai a qualcun altro, quando potrai farlo. Ed è una cosa che capita spesso. Con mia nonna è successo, quando io sono cresciuto e lei è invecchiata: si è aperta a dei racconti che mai avrei pensato.
Giulia: Io sento di non aver abbandonato Veronica, come sento di non aver abbandonato Anna o Angela, io porto sempre una parte di loro dentro di me ed onestamente mi serve. Mi serve perché ancora sono piccola, le difficoltà sono sempre dietro l’angolo e io sono impreparata perché non ho chissà quanta esperienza. E quindi mi aiuta, perché interpretare altri ruoli, altre ragazze della mia età in diverse situazioni, Angela figlia di un famiglia della Ndrangheta, Angela in un mondo post apocalittico, Veronica in campagna con la sua storia pesante, mi aiuta a portarle sempre nel cuore. Non sopporterei lasciarle andare così.
Ritieni che il personaggio ti abbia fatto anche crescere a livello personale?
Giulia: Sì, io cresco sempre.

Per quanto riguarda la storyline degli omicidi, tutta la trama “mistery”, come è stata gestita? Quella che noi vediamo nel film è il concept originale o è stato rivisto in fase di scrittura?
Simone: Quando Laura (Chiassone) ha portato il film alla Twister, che è la società che l’ha prodotto, aveva scritto con Paolo Bernardelli il soggetto e la storia era in parte diversa. Era molto più vicina alle case del Mostro di Udine, forse il primo grande serial killer italiano che è rimasto nella storia, perché non è mai stato scoperto. Il grande What-If della storia era: cosa succede se un serial killer non viene mai scoperto? O muore o invecchia. Abbiamo aggiunto un layer di domanda, ovvero cosa succede se la nipote di un grande serial killer scopre che è invecchiato (in questo caso Veronica)?
Nella sceneggiatura abbiamo fatto un lavoro di non precisazione: essendo una serie di omicidi molto legati a fatti del passato e non di cronaca nera, abbiamo voluto dare una serie di informazioni, anche tramite il personaggio di Ciccio, che non fossero proprio precise. Come se non fosse una narrazione di cronaca, ma una verbale. Se ascolti bene tutte le parole dei personaggi, c’é sempre qualcosa non torna, e questo succede quando non ha vissuto qualcosa o non hai fatto un indagine al riguardo. Se una persona ne parla e la racconta, il tramandare verbalmente le cose spesso ne fa sempre perdere qualcosa. Oppure le “infiocchetta” per renderle più appetibili.
Ora che questo capitolo si è concluso, cosa vi ha lasciato Indelebile? Così vi ha portato questo film per il futuro?
Simone: Ti faccio uno spoiler. Nel mio caso mi ha portato a collaborare ulteriormente con Twister, perché ho finito venerdì di girare con loro il mio secondo film. Si chiama Per un po’, porta dentro una storia totalmente diversa, tratta dal romanzo di Niccolò Agliardi. Porta con sé un concetto molto importante per me, ovvero il tema di cosa danno i genitori, cosa la famiglia ai figli
Giulia: Io non mi creo aspettative per il futuro, ciò non vuol dire che non abbia voglia di continuare. Anzi, io farei questo sempre, ma Indelebile mi ha portato ancora più voglia di fare altro. Io mi sento sempre più assetata ogni volta che finisco di fare qualcosa. Ma preferisco ragionare evitando di farmi aspettative, così poi da non stare peggio, nel senso che preferisco stare coi piedi per terra. Poi se le cose dovessero andare bene, sono felicissima, gioirei, perché quando sto sul set io vivo, sto bene. Spero soltanto che si presentino nuove occasioni e io farò l’impossibile affinché si presentino.