Gingerbread For Her Dad, primo lungo documentario della regista Alina Mustafina, sbarca al Torino Film Festival. Viene proiettato per la prima volta in Europa, dopo aver recentemente partecipato al BUSAN International Film Festival.
Riscoprire gli antenati
Il film vede come protagonista la stessa regista Alina, insieme alla madre e alla nonna Lyabiba. Le tre donne compiranno un viaggio dal Kazakhistan fino alla Polonia, con la volontà di rendere omaggio al bisnonno della regista, morto durante la Seconda guerra mondiale e sepolto in una fossa comune. L’occasione si rivela preziosa anche per approfondire il legame che le unisce, ma anche per entrare nel vivo delle proprie origini.
Alina Mustafina, regista di Gingerbread For Her Dad
Alina è una regista, scrittrice e giornalista kazaka. Laureata in giornalismo e regia in Kazakhistan, successivamente frequenta la New York Film Academy (UAE) e la ESCAC – Escola Superior de Cinema i Audiovisuals de Catalunya (Barcellona).
L’opera prima di Alina è il cortometraggio Rescue Masha (2018), selezionato a Istanbul, Mosca e Riga. Ander(2020), invece, è stato realizzato insieme al prezioso supporto di Rithy Panh e ha vinto come miglior documentario presso l’Ajyal Film Festival di Doha.
Nomadi
«Mi definisco una nomade, proprio come i miei antenati. Sono una kazaka con due bambini turchi e due nonne tartare. Vivo all’estero da quando ho quattordici anni e da allora mi sono spostata in cinque paesi diversi. Adattandomi da ogni parte, mi sono allontanata dalla mia famiglia finendo per sentirmi un’estranea anche nel mio paese. Parlo quattro lingue, nessuna delle quali è la mia lingua madre. Un paio di anni fa ho deciso di tornare nella mia città natale e vivere lì per un po’, cercando risposte alle mie domande: dov’è la mia casa? dove sono diretta? a quale posto appartengo?
Ho scelto di cercare queste risposte insieme alle donne della mia famiglia intraprendendo un viaggio verso l’Europa dell’Est, dove il mio bisnonno morì durante la Seconda Guerra Mondiale e fu sepolto in una fossa comune. Ho convinto mia madre e mia nonna a intraprendere questo viaggio sperando di trovare risposte alle domande che preoccupano non solo me, ma anche il mio paese. Domande sull’identità di quei Kazaki che, come me, non parlano la propria lingua d’origine, non hanno sangue russo, e tuttavia pensano, parlano e creano in russo».
Con questa dichiarazione della regista, osserviamo come uno dei temi principali del film sia la ricerca della propria identità e della terra d’origine.
Alina fa notare come la realizzazione del documentario prenda avvio nella sua terra natale, il Kazakhistan, che non vede da molti anni. Viaggiando per il mondo ha finito per perdere il senso delle origini, non sentendosi legata a nessun posto particolare. Grazie a questo viaggio, però, Alina comprenderà per la prima volta cosa significa sentirsi veramente a casa, in una terra che le appartiene.
L’indagine personale effettuata dalla regista sulla propria provenienza diventa un pretesto per riflettere in modo più ampio sullo status dei Kazaki, ma anche su tutte quelle persone a cui non è concesso sentirsi parte di un’unica popolazione. Infatti, Alina riflette su cosa significhi sentirsi fuori luogo in un paese straniero, privi di alcun tipo di senso comunitario con i propri simili.
L’ultimo viaggio
Come affermato dalla stessa regista in occasione della presentazione del film al TFF, questo è, probabilmente, il primo e l’ultimo importante viaggio di sua nonna Lyabiba. Alina ha il desiderio di aiutarla a riconciliarsi con il proprio passato, mai del tutto superato. Infatti, Lyabiba ha perso il padre quando era solo una bambina e ciò le ha procurato enorme sofferenza. Inoltre, il corpo del padre è stato gettato in una fossa comune in Polonia, lontano dalla famiglia. In questo modo, non vi è nemmeno stata la possibilità di poter piangere e ricordare il proprio caro in un luogo fisico.
Lyabiba, quindi, sceglierà un punto simbolico in una foresta dove poter commemorare il suo tanto adorato papà, lasciando sul terrendo dei biscotti pan di zenzero e un po’ di terreno portato con sé dal Kazakhistan.
Ciò che colpisce e commuove è la pura gioia che prova l’anziana non appena raggiunge la casa dove ha trascorso l’infanzia. La scena in cui, visibilmente emozionata, abbraccia l’albero di casa e dice di averne sentito la mancanza è uno dei momenti più forti e toccanti del film.
Tre generazioni
Tra le altre tematiche affrontate, il documentario esplora anche il legame che unisce nonna, figlia e nipote. Alina si domanda che cosa unisca lei, la nonna e la mamma. Le tre donne affronteranno un viaggio completamente sole, portandole a passare gran parte del tempo insieme. Lyabiba, ormai molto anziana, non potrebbe mai viaggiare senza il sostegno (fisico, ma soprattutto morale) di figlia e nipote. Ogni tappa del percorso, quindi, è affrontata grazie al loro supporto.
Alina e la madre, inoltre, si addentreranno in profondità nel rapporto che le unisce. Il dialogo tra le due sarà fondamentale per la comprensione reciproca e per analizzare questioni mai affrontate prima d’ora. Un viaggio così impegnativo sarà in grado di far emergere l’affetto che l’una prova nei confronti dell’altra e che, spesso, nella vita quotidiana tende a non manifestarsi completamente.
Al termine di Gingerbread For Her Dad, le protagoniste otterranno una nuova consapevolezza di sé e dell’altra. Nondimeno, Alina, Lyabiba e la figlia avranno rafforzato il sentimento che le unisce.
Conclusioni
Nel suo primo film importante, Alina Mustafina dimostra di essere una regista dalla grande sensibilità. Infatti, riesce a cogliere tutte le sottigliezze dei sentimenti, mescolando inquadrature evocative, quasi fossero dei quadri viventi, ad altre più vicine alla vita che accade, in cui le emozioni hanno il giusto tempo di emergere e dispiegarsi in modo spontaneo.
Per la nostra intervista a Giulio Base, direttore del Torino Film Festival, clicca qui!
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