Italianesi è un documentario presentato all’Euro Balkan Film Festivaldi Roma 2024 che tratta un tema del quale poco o nulla si sa. La vita di molti nostri connazionali e dei loro discendenti che dopo la Seconda guerra mondiale, e con la salita al potere del regime di Enver Hoxha, sono stati impossibilitati a rientrare in patria. E hanno trascorso in Albania molti anni in condizioni, spesso, difficili, e molti rinchiusi in campi di internamento per il solo fatto di essere italiani.
Ne abbiamo parlato con il regista Saverio la Ruina
L’origine di Italianesi
Inizio ringraziandoti per la disponibilità e faccio una premessa. Il film l’ho trovato molto bello e, in certi momenti, toccante. Rivela un aspetto della storia del nostro paese ai più del tutto sconosciuto. È un lavoro tratto da un tuo monologo teatrale del 2011 dal titolo Italianesi, lo stesso titolo dato al documentario. La prima cosa che ti chiedo è: come sei venuto a conoscenza delle storie che racconti nel film?
Esatto, non ho saputo rinunciare al primo titolo che, in pratica, è la crasi fra italiani e albanesi. Un titolo che aveva funzionato al tempo del monologo e che mi era piaciuto molto. Poi uno, in qualche modo, si lega ai titoli e penso che questo esprimesse molto bene quello che vado a raccontare.
Sono venuto a conoscenza di queste storie attraverso un programma di Alda D’Eusanio, del quale, ora, non ricordo bene il titolo. Una persona a me molto vicina era venuta a conoscenza di queste storie narrate nel programma e me le aveva raccontate. Io, dopo aver visto il video della persona che si raccontava alla D’Eusanio, in un primo tempo ho pensato che si trattasse di una storia inventata. Quella di uno che, addirittura, era stato in un campo di concentramento in Albania per quasi tutta la sua vita e che poi, caduti il muro di Berlino e il regime comunista albanese, riusciva a venire in Italia alla ricerca del padre nel frattempo rientrato nel nostro paese dopo anni trascorsi in Albania.
Tuttavia, intrigato dalle vicende, mi sono messo in contatto con questa persona, che è Pierino Cieno, che compare nel mio film e che mi accompagna nel mio viaggio in Albania. E, contemporaneamente, ho fatto delle ricerche. Così, alla fine, è nato il lavoro teatrale dal quale deriva il documentario.
Le molte vicende personali riportate riescono a raccontare un aspetto della Storia di un paese
Nel film riesci a dosare in maniera equilibrata gli aspetti riguardanti la “macrostoria” appartenente a due paesi che, spesso, hanno intrecciato, nel bene e nel male, i loro destini, con le tante “microstorie” dei vari protagonisti che si raccontano davanti alla tua telecamera. E che hanno in comune l’unica “colpa” di essere nati in Albania da italiani impossibilitati a ritornare in patria alla fine della guerra e considerati nemici dell’Albania dal regime. È stato difficile raccontare attraverso le varie vicende personali, un determinato periodo storico?
Trovare un minimo comune denominatore tra le varie storie per me è stato complicato perché bisognava fare delle scelte. C’era qualcuno finito nei campi d’internamento, altri che vivevano nella società civile. Storie individuali molto diverse. Venivano riservati trattamenti diversi a seconda delle condizioni sociali delle persone. Spesso è capitato che in molti casi il padre italiano venisse fatto rimpatriare e così si arrivava al porto di Durazzo con l’idea che le famiglie potessero andare via. Ma poi, con l’inganno, a essere imbarcati sulle navi erano solo gli uomini mentre le donne albanesi venivano bloccate insieme ai figli e separate dai mariti e padri.
Per quanto riguarda gli aspetti legati alla “macrostoria” certo, avrei potuto utilizzare più materiale d’archivio. Ma, vuoi per scelta, vuoi perché il budget era limitato, ho scelto di affidarmi completamente alle parole dei protagonisti in maniera che le loro testimonianze permettessero di ricostruire un determinato periodo storico.
Un profondo senso di sradicamento e di mancanza di identità
In tutti gli intervistati si percepisce in maniera molto netta, al di là dei patimenti fisici e psichici che ci sono stati e che molti hanno subito nel loro periodo di internamento, il profondo senso di sradicamento, di mancanza di certezze, di identità relativamente alle proprie origini. C’è un personaggio, nel film, che dice una cosa estremamente significativa. Quando tu gli chiedi “di dove sei?” lui fatica a rispondere perché la risposta è diversa a seconda del senso che si vuol dare a quella domanda.
Esatto, esatto. L’aspetto dello sradicamento che tu hai colto è una cosa fortissima. Spesso queste persone si chiedevano: “ma sono italiano? Sono albanese?”. Addirittura a un certo punto erano arrivati a chiedere un luogo, magari una piccola isola nell’Adriatico a metà strada tra i due paesi, dove vivere e poter dire: “ecco, io sono di questo posto”. Poi altri, come Pierino Cieno o Ambrogio, un altra persona che interviene nel film, entrambi internati, sentivano forte le loro radici italiane tanto che, quando sono giunti in Italia si sono chinati a baciare la terra.
Italianesi e la risposta delle generazioni
Italianesi ha vinto quest’anno un premio al Tirana Film Festival. Come è stato accolto questo film in Albania? Esiste, oggi, una coscienza da parte delle persone, in particolare delle nuove generazioni, riguardo ai fatti che tu racconti?
Non proprio. Pensa che, addirittura, le giovani generazioni non vogliono sapere nulla neanche della loro storia, figuriamoci della nostra storia dentro la loro storia. Invece quelli delle generazioni precedenti si ricordano degli italiani perché, comunque, di italiani in Albania, almeno fino al 1955, ce n’erano veramente tanti. Ecco, questo è un film che sarebbe da portare nelle scuole albanesi per far conoscere ai giovanissimi una parte della loro storia.
Nel ringraziarti per averci concesso questa intervista, concludo chiedendoti se c’è la possibilità di poter vedere questo tuo film nelle sale e/o in televisione.
Guarda non è previsto. Io, poi, spero che si riesca in qualche modo a proporlo alla Rai. Bisogna vedere se ci rispondono e se lo accettano per mandarlo in onda.
Gli articoli di Marcello Perucca