“Non volevo diventare una suora” – sono queste le parole che, nei primi minuti, introducono lo spettatore nel documentario Mother Vera di Cécile Embleton e Alys Tomlinson. Presentato al Festival dei popoli a Firenze nella sezione concorso internazionale lungometraggi, Mother Vera ci mostra e scompone la quotidianità di una giovane suora bielorussa, attraverso la quale, la protagonista, ritrova la sua identità.
Nel silenzio assordante di un isolato monastero in Bielorussia, assistiamo, prima, alla vita routinaria, e poi, all’evoluzione di una giovane suora, Mother Vera. Le registe raccontano le attività che scandiscono la quotidianità della protagonista, il momento della preghiera, della cura degli animali e dell’aiuto verso i più bisognosi.
È attraverso la modulazione di queste attività che si inizia a srotolare la matassa che compone il controverso passato della suora, la quale arriverà poi a mostrarsi allo spettatore senza veli (letteralmente) e senza filtri.
Un delicatissimo bianco e nero accompagna il percorso di liberazione e di ricerca identitaria che si pone come nucleo centrale del film.
La liberazione di Mother Vera
Mother Vera è un po’ un viaggio alla scoperta di sé stessi. La protagonista, per buona parte del lungometraggio, si rivolge in modo diretto allo spettatore. Così facendo, oltre a svelare il suo passato, interroga anche chi la sta ascoltando, obbligandolo in qualche modo ad immergersi nella sua storia.
Dopo alcuni minuti dall’inizio è possibile capire come la vita in monastero non sia stata voluta, ma sia stata in qualche modo necessaria. Tra una preghiera e l’altra, il passato oscuro di Vera inizia ad emergere. Racconta la sua tossicodipendenza, il tradimento del marito e quindi il bisogno che l’ha portata ad isolarsi in questo monastero ortodosso nella steppa bielorussa vent’anni prima.
Il documentario si sviluppa seguendo come due linee narrative, quella monastica e quella passata che proseguono su due binari paralleli incontrandosi solo alla fine. Tenute insieme dal bianco e nero, esse si fondono nel momento in cui si assiste alla liberazione e al ritrovamento dell’identità (perduta) della protagonista.
Il bianco e il nero lasciano spazio ai colori, che rimangono tenui e delicati, tanto che è quasi impercettibile il passaggio a cavallo tra i due momenti. Il bianco e nero accompagna il percorso di emancipazione, di redenzione che Mother Vera decide di intraprendere non appena entrata in monastero; sentendola parlare, se da un lato ha avuto la possibilità di purificarsi, dall’altro ha perso la sua vera essenza.
Sotto la guida di due registe donne, Mother Vera diventa un “documentario di formazione”, in cui viene posta al centro la ricerca della propria identità e della propria personalità. Il passaggio dalla vita in monastero alla vita fuori è garbato, ma allo stesso tempo segnato da un gesto dal forte impatto emotivo e visivo.
Embleton e Tomlinson portano sul grande schermo un ritratto femminile insolito e sorprendete, in grado di esplorare temi universali, partendo da un percorso di redenzione e di ricerca della propria identità.
Let’s continue.
Let’s move on.
Amen.
Qui il programma il programma completo del festival, dal 2 all’11 novembre.
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