L’animazione è una tecnica che si è sempre rapportata con la rappresentazione della natura. La possibilità di umanizzare e antropomorfizzare gli animali- che è valsa la fortuna di Walt Disney– ha portato con sé la necessità di riprodurre un ambiente naturale. Le storie classiche per bambini, a cui l’animazione continua a rifarsi dalla sua nascita, hanno sempre determinato una geografia che pone al suo centro l’ambiente archetipico della foresta. E così, dal primo lungometraggio animato della storia, Biancaneve e i sette nani (1937), da Oriente ad Occidente, la natura ha avuto sempre un ruolo protagonista.
Non stupisce che ad un certo punto l’attualità si sia riversata sul grande schermo, nel grande racconto di una natura da salvare.
E così mentre al cinema la Dreamworks fa uscire Il robot selvaggio, l’ultima edizione di Alice nella città ha visto nella sua selezione Savages!, avventura in stop motion su una bambina che cerca di salvare la foresta del Borneo dai disboscamenti, e il lettone Flow- Un mondo da salvare. Acclamato al Festival di Cannes 2024 e vincitore di quattro premi al Annecy International Animation Film Festival 2024, Flow è in lizza per l’Oscar 2025 come miglior film straniero. Nelle sale italiane dal 7 novembre per Teodora Film.
Dalle sue origini ad oggi, con l’egemonia della CGI, il cinema d’animazione non rinuncia quindi a raccontare l’ambiente e a lanciare un messaggio ecologista.
Flow: il futuro dell’animazione somiglia ai videogiochi?
Flow- Un mondo da salvare è considerato una delle sorprese dell’ultimo festival di Cannes, dove si è fatto notare grazie all’endorsment di Guillermo del Toro, che lo ha celebrato su X indicandolo come il possibile futuro dell’animazione. È il secondo lungometraggio del regista indipendente lettone Gints Zilbalodis, figura anomala in questo mondo super settorializzato, che si muove con destrezza dalla sceneggiatura, alla regia, alla produzione, fino alla composizione.
Con Flow realizza un’avventura animata con un 3D low budget, ambientata in un mondo pian piano sommerso dal livello dei mari in continuo innalzamento. Senza neanche una linea di dialogo, lo spettatore segue con incredibile trasporto le peripezie di un gattino nero che deve unire le forze con una “found family” (ovvero una famiglia acquisita) di animali domestici e selvatici, per sopravvivere. Il messaggio è quello di una cooperazione costruttiva e necessaria.
Con il suo stile d’ispirazione videoludica, Gints Zilbalodis mette al centro gli ambienti, esaltati da lunghi piani sequenza mozzafiato. La natura navigata dai protagonisti del film sembra potenzialmente sconfinata e- nonostante la poca raffinatezza dell’animazione poco texturizzata se paragonata ai film Disney- riesce a creare un effetto completamente immersivo.
Flow ci fa immergere nella natura come nessun altro film d’animazione fino ad ora.
L’animazione asiatica: L’ambientalismo di Miyazaki
Non si può parlare di animazione e natura senza citare Hayao Miyazaki. Uno dei fondatori dello studio Ghibli, si è da sempre mostrato vicino alle cause dell’ambientalismo, e in particolare ha più volte denunciato gli effetti negativi dell’industrializzazione del Giappone.
Il suo capolavoro, premiato con l’Oscar al miglior film d’animazione nel 2001, La città incantata, denuncia gli effetti dell’inquinamento sulle aree rurali. La protagonista Chiyo deve lavorare in un bizzarro stabilimento termale per salvare sé stessa e i suoi genitori e tornare a casa. Si ritrova quindi ad avere a che fare con mostri melmosi e neri come la pece, in diritto di sporcare il mondo, facendo leva sull’avidità umana.
Non è naturalmente l’unico esempio nella filmografia del Maestro in cui emerge il suo grande rispetto per la natura. Nausicaä della Valle del vento del 1984 è considerato il primo manifesto ambientalista di Miyazaki. Una storia ambientata in un futuro post-apocalittico, dove la giovane Nausicaä è l’unica a nutrire ancora speranze per una terra il cui ecosistema sembra essere irreparabilmente compromesso. Una pellicola complessa, che si chiede se l’uomo riuscirà mai a vivere sulla Terra senza comprometterla irrimediabilmente.
Pixar: Dai giocattoli di plastica alla natura
Dall’Oriente all’Occidente nel segno di Miyazaki. Sì, perché proprio il direttore creativo di Disney Pixar, il tre volte premio Oscar Pete Docter, è un grande fan del regista giapponese. Docter è una figura fondamentale in Pixar, fin dalla sua fondazione, avendo scritto il soggetto di Toy Story. Proprio questo film- il primo lungometraggio in animazione 3D della storia- aveva come protagonisti dei giocattoli perché ai tempi non si era in grado di avere una resa realistica degli umani così come degli ambienti naturali.
Da allora si è fatta molta strada ed è proprio grazie a Docter che tra il 2008 e il 2009 abbiamo due dei film più amati degli studi d’animazione: WALL-E, di cui scrive il soggetto, e Up!, che dirige. WALL-E, ambientato in un mondo futuro ricoperto dai rifiuti dove un robottino scopre la bellezza della natura distrutta dall’uomo, è considerato un film marcatamente ecologista. Come in Miyazaki il tema della natura è contrapposto a quello di uno sviluppo tecnologico sfrenato e soffocante.
L’anno dopo Up! ci regala la visione di una giungla sudamericana rigogliosa, che riesce a rendere la vivacità della natura anche con la costruzione a polimeri dell’animazione 3D. Degli ambienti che non hanno nulla da invidiare alle foreste incantate a cui i fondalisti della vecchia Disney ci avevano abituato con capolavori come Biancaneve e i sette nani, La bella addormentata nel bosco, Tarzan etc.
L’animazione- da quella tradizionale a quella in CGI- continua quindi a raccontare la natura e l’importanza di prendercene cura. Forse proprio a causa di quel grande malinteso che la vede come una tecnica destinata agli spettatori più giovani.
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