Nella serie antologica di Paramount+ ci sono due processi. Quello giudiziario che stabilisce l’innocenza e uno più intimo che certifica problemi e verità sociali
Su Paramount+ è disponibile Accused la serie antologica creata da Howard Gordon (Homeland) basata sull’omonima miniserie inglese di Jimmy McGovern. Prodotta e messa in onda su Fox, nel corso degli episodi sono protagonisti diversi volti noti del piccolo schermo: Michael Chiklis (The Shield), Megan Boone ( The Blacklist), e Rachel Bilson ( The O.C.).
IL TRAILER – Accused
L’assenza di colpa – Accused
Nel marasma televisivo di serie antologiche che non hanno un perché, si distingue Accused creata da Howard Gordon “responsabile” di molte pagine di storia della serialità contemporanea tra cui non si fa fatica a citare 24 e Homeland. Accused si distingue, in un’epoca in cui le serie insistono ad evidenziare la propria complessità, per una struttura evidentemente semplice e ripetitiva. Lo spettatore sa cosa sta vedendo, e il successo della serie è provato da una palese trasparenza della storia che non ammette interpretazioni o cambiamenti ulteriori. Una serie si vede dai primi episodi per come è concepita, e cosa può eventualmente suggerirci. E Accused si caratterizza per un concepimento fluido, semplice e da subito comprensibile.
La serie di Gordon mette in luce il recupero del procedurale generalista, a cui la miniserie Paramount+ guarda con una certa passione. Togliendosi subito etichette semiologiche sulle aspettative violate o le pretese di chi guarda. Ogni episodio di Accused ha un inizio e una fine dentro il processo dell’accusato. Nel mezzo il vero episodio, ossia un limpido flash su come i fatti sono iniziati e le motivazioni per le quali il protagonista antologico rischia una condanna. Accused pone da subito le proprie intenzioni che nella forma della scrittura possono sembrare simil retoriche. La serie potrebbe apparire eccessivamente perbenista con un finale a lieto fine a tutti i costi. Ma non stupisce tale dinamica se la si vede verso chi la serie è rivolta.
Il legal drama tra vecchio e nuovo
Un pubblico appunto generalista che si ciba di legal drama ma che nel contempo vuole una finestra sul mondo, sulla società e le sue problematiche. E Accused promette proprio questo incentrandosi sulla figura anomala dell’accusato all’interno del genere processuale. Nei primi due episodi, caratteristica che ad occhi e croce continuerà negli altri tredici episodi, l’accusato è vittima di chi ha offeso. La tv americana ha sempre esposto e fuso l’accusato come colpevole nei cui confronti non si poteva che avere un unico giudizio, la colpa separata dall’innocenza.
Serie come CSI e NCIS hanno un caso del giorno dove viene costantemente ricercato il vero colpevole e una volta trovato è lui che ha il peso insindacabile della colpa. In Accused invece avviene qualcosa di molto diverso e a suo modo originale. Rispetto alle varie storie possono emergere due piani nella serie. Il mondo ingiusto contro le buone intenzioni dell’accusato e i suoi rimorsi. In entrambi questi livelli nel corso della storia il vero colpevole è la situazione che lo accusa e il processo la giustizia idealizzata. Quella che deve certificare per forza la sua innocenza.
La storia di Ava e Scott – Accused
Nel primo episodio Scott ( Michael Chiklis) è un neurologo alle prese con un figlio difficile che diventa un terrorista. Nel secondo Ava (Stephanie Nogueras) è una madre surrogata sorda pronta a tutto per difendere la natura del suo bambino. La struttura è la stessa, i due protagonisti apparentemente no ma complessivamente si. Entrambi sono sotto processo ma per reati ipotetici diversi. Ava per sequestro di neonato, Scott per non aver rivelato ciò che sospettava, le tendenze stragiste del figlio. Ambedue gli episodi comunicano la morale di Accused. Riflettere su tematiche che nel bene e nel male sono dentro la società non solo americana.
Se Scott viene trattato nel prologo processuale come un reale colpevole, Ava fin dall’inizio è l’innocente che ha fatto la cosa giusta. La serie punta ancora una volta il dito non sugli imputati ma sul mondo esterno. In particolar modo Ava’s Story: la ragazza sorda ostaggio consapevole delle proprie azioni e che deve combattere contro il pregiudizio dei nuovi genitori di avere a tutti i costi un figlio normale. Tra i due l’episodio più interessante, quasi interamente scritto e messo in scena con la lingua dei segni, simboli dell’attaccamento famigliare che sostituisce quasi totalmente il parlato.
Ava rischia dai dieci ai quindici anni per sottrazione di minore, eppure, per come è scritto l’episodio, sembra la sola che abbia idea di cosa voglia dire fare del bene. In questo episodio, girato come un film tv educativo, la ragazza madre ha un’affinità particolare e di contrasto con la famiglia per la quale ha generato il figlio. Di incomunicabilità col futuro padre, che non accetta la natura del neonato, e di comprensione collaborativa con la madre Jenny. La verità processuale, che alla fine ne viene fuori, è tipica della tv americana conservatrice. I contrasti vengono cancellati e riuniti in una universale posizione: l’ordine morale di cosa è giusto è più importante del codice giudiziario americano.
Liberarsi della situazione
Diversa la tipologia almeno intenzionale nella storia di Scott. Tutto fa presagire ad una vera colpevolezza. La folla fuori dal tribunale arrabbiata e rissosa, Scott nell’aula, distante emotivamente dalla moglie e che sembra andare incontro al suo destino. In questa apertura a freddo si incastra un episodio politico, più ampio di narrazione rispetto al secondo. La storia di Scott vive di un padre di famiglia ridotto all’estremo da un figlio ribelle, violento e per il quale sembra non ci sia ritorno. Il personaggio di Michael Chiklis si concentra nella difficoltà di essere padre. E Scott fa di tutto per recuperare suo figlio. Lo sprona a credere in se stesso, finanzia i suoi sogni e accetta di pagare un viaggio con un suo amico. Ma il protagonista ben presto deve fare i conti con la realtà che l’episodio pone al suo percorso e a quello del figlio. Eliminare il suo stesso sangue o continuare a provare a reinserirlo nella società?
Una domanda verso cui ruota tutta la storia e che ancora una volta inserisce i protagonisti di Accused nell’essere schiavi della situazione. Ava e Scott dipendono dall’evoluzione involontaria del loro mondo; la madre surrogata attivamente, il neurologo passivamente, nel rimorso di non aver fermato prima il figlio. Ma i due vengono spinti dalla serie ad una subalternità rispetto al tribunale. Entrambe le storie vivono del processo interiore su cosa ‘potevano fare’ e hanno fatto e su cosa non hanno fatto a causa del legame relazionale. Accused libera il colpevole dalla colpa strutturale ma non da quella dell’anima. E Howard Gordon, tra le righe ma ben espresse, ci costringe a riflettere sul mondo in cui viviamo. Una dimensione chiusa e aperta solo se lo vogliamo per davvero.
Nei primi episodi di Accused l’accusato non è mai tale, e la serie Paramount+ evidenzia come la colpevolezza vada trovata altrove. Nell’umanità e nella tragedia della vita.
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