Presentato in concorso al Lucca Film Festival nella sezione cortometraggi, Mum è l’ultima opera scritta e diretta da Julia Patey, con Alexandra Sagurna, Tobias Licht e Caroline Ott, distribuita da Gorrilla Film Distribuition.
Mum – Lost in translation
Come specifica in uno dei cartelli iniziali, il cortometraggio si sviluppa attorno a un’ambiguità semantica. Il termine “mum”, infatti, può essere usato come sostantivo (con significato “mamma”) o come aggettivo (“muto”).
La protagonista Madra, interpretata da Alexandra Sagurna, è un’artista audiovisiva i cui dubbi sul suo matrimonio in declino producono un suono udibile solo a lei che presto comincia a tormentarla.
Toril, marito di Madra, interpretato da Tobias Licht, è un uomo che pone sé stesso, la propria arte e la propria mascolinità al di sopra di ogni cosa, a cominciare dalla sua dolce metà.
Ambiguità di termini e situazioni
Il momento in cui lo spettatore comprende appieno il doppio significato del titolo del corto è durante la scena forse più cruda dell’intera opera. Julia Patey immortala Toril forzarsi su Madra in un amplesso al culmine del quale, quando lei sembra volerlo fermare, lui la zittisce mettendole una mano sulla bocca.
Il riferimento alla mascolinità fragile dell’uomo è chiaro, pronto ad ostentarla non solo nella sua arte (la scultura su cui lavora in segreto per la durata del corto è vagamente fallica), ma soprattutto nell’imposizione dei suoi ideali su Madra, che deve essere, secondo lui, madre muta, devota ai suoi capricci.
Il rumore udito solo dalla protagonista è dunque una chiara metafora all’idea di maternità che il marito sembra imporle, oltre che al silenzio a cui la costringe.
Vendetta silenziosa
Il compimento del destino del marito sul finale corrisponde alla vendetta della protagonista: quando egli collega la sua scultura rimane fulminato e Madra non muove un muscolo per soccorrerlo.
La donna, in questo finale, trova un senso di giustizia: l’inserimento della spina nella presa è una forte simbologia sessuale, dove ora è lei ad avere la meglio.
Julia Patey – “Do not get comfortable”
Questo è infatti il motto della giovane regista canadese che mette a disagio lo spettatore rivelandogli verità scomode attraverso uno stile cinematografico tagliente.
Il lavoro di Julia Patey mira, infatti, a creare un’esperienza sensuale per lo spettatore utilizzando cinematografia immersiva e un sound design ASMR. Il suo obiettivo è quello di colpire profondamente lo spettatore, destabilizzandolo per mostrare situazioni familiari in un modo completamente nuovo.
Se davvero il diavolo è nei dettagli, in Mum Julia Patey riesce a catturarlo in ogni sua sfumatura di inquietudine. Dall’insistenza sul giallo malaticcio delle illuminazioni degli interni, alla luce fredda degli esterni, fino alla dedizione ai particolari, la regista crea con successo un thriller mozzafiato.